Umberto Saba è stato a lungo considerato un “libraio riluttante”, anche e forse soprattutto sulla base delle sue stesse affermazioni pubbliche, dei suoi libri, delle sue memorie…

Sul poeta non si discute, sul libraio le opinioni sono controverse. Umberto Saba (potremmo aggiungere che anche sul pessimo carattere non si discute) è stato a lungo considerato un “libraio riluttante”, anche e forse soprattutto sulla base delle sue stesse affermazioni pubbliche, dei suoi libri, delle sue memorie. “Dopotutto, per nostra fortuna, più poeta che mercante” scrisse di lui un grande “mercante” umanista come Alberto Vigevani, con la cui storica attività di cacciatore di libri la bella bottega triestina ancora esistente in via San Nicolò, comprata da Saba nel 1919 e attraverso varie soluzioni societarie conservata fino quasi alla fine (la lasciò nel ’55 al collaboratore Carlo Cerne, due anni prima di morire) non poteva rivaleggiare sul piano del prestigio antiquario. Ma forse voleva tributargli un omaggio o chissà, avanzare una velata critica. Resta il fatto che la “Libreria antiquaria Umberto Saba”, dove si incrociavano tutti gli intellettuali, da Italo Svevo a Gianni Stuparich al poeta dialettale Virginio Giotti, per non parlare di Bobi Bazlen – col quale si passò da una grande amicizia a una faida interminabile – non fu un aspetto secondario della travagliata esistenza dello scrittore.

Sulla base di documenti e archivi fin’ora inesplorati, Simone Volpato e Marco Menato hanno ricostruito in La biblioteca di Virgilio Giotti e il suo sodalizio con la libreria di Umberto Saba (Bibliohaus) non solo la lunga collaborazione con Giotti, raffinato poeta dialettale, ma anche un sorprendente ritratto del Saba imprenditore. In parallelo è da poco uscito per le edizioni della Libreria Antiquaria Drogheria 28 un’edizione completa dell’epistolario tra Saba e Pier Antonio Quarantotti Gambini (1910-1965), scrittore istriano importante per il nostro Novecento  ricordato soprattutto per L’onda dell’incrociatore, che gli dette successo e fama quando uscì per Einaudi nel ’48 (lo si trova ora in un’edizione Sellerio), ripagandolo in parte di un’ingiusta accusa di fascismo ma non certo dal dolore per la “patria perduta”, l’Istria occupata dalla Jugoslavia titina e a essa assegnata dai trattati di pace.

Il romanzo, ambientato nel ’35, narra l’affacciarsi alla maturità di un gruppo di ragazzi triestini, tra seduzioni, amori, violenza e disincanto, mentre al porto arrivano tre incrociatori reduci da una parata fascista nel mar Rosso e si alza un’onda di morte. L’incubazione è però abbastanza lunga, e nell’epistolario dal titolo Caro 48. Carissimo Saba emerge come una sorta di racconto critico. Saba, molto più anziano, dà del tu al giovane amico chiamandolo, per vezzo, “48”, mentre Quarantotti Gambini non deflette dal Lei (lo farà persino in una lettera-commemorazione postuma, con un tratto d’eleganza raro). E’ noto agli specialisti che il titolo fu suggerito dal poeta, in un lettera del settembre ‘45 ; e a rileggerla ora nel contesto generale della corrispondenza acquista però un più ampio significato, perché Saba fece da mentore – e un poco anche da editor – non solo a quel romanzo ma a tutta l’opera dell’allora giovane scrittore.

Titolo indovinatissimo. Fu comunicato da Saba col suo solito tono un po’ dimesso, come se parlasse d’altro: “Caro amico. Mentre mangiavo una fetta d’anguria (forse l’ultima di quest’anno) in Piazza del Ponterosso, ho trovato – senza cercalo – il titolo per il tuo libro. L’ONDA DELL’INCROCIATORE. Guarda come apre e chiude bene – direi anche esattamente – la strana giornata in cui si svolgono tanti fatti curiosi, nella realtà e nel ricordo”. Lettura perfetta. Già nel ’37 gli scriveva del resto, a proposito del romanzo La rosa rossa, “che esso aggiunge per la prima volta l’Istria alle altre province della letteratura italiana”, e individuava “l’altro polo del libro” nel “tuo disperato amore per le cose che stanno per morire”; intuizione non da poco, quasi profetica. L’Istria di Quarantotti Gambini in quanto tale stava effettivamente per morire, ma nessuno poteva immaginarlo.

Questa “morte”, questa perdita è anche, com’è ovvio, uno dei temi portanti dell’intero epistolario: che per esempio ci rivela un episodio sicuramente dimenticato, e visto con gli occhi di oggi quantomeno bizzarro anche se non sorprendente. Gli intellettuali francesi, vecchio vizio, mentre le potenze vincitrici discutevano il futuro di Trieste divisa in opposte zone d’occupazione ebbero l’idea di firmare un bel manifesto in cui si chiedeva che la città venisse consegnata alla Jugoslavia. Quarantotti Gambini ne fu sconvolto, e a un convegno a Venezia contestò vivacemente Paul Éluard, firmatario che per l’occasione faceva finta di non saperne nulla. Possiamo immaginare qualche piccola gioia segreta di Saba… Ma l’interesse del carteggio sta anche nella sua stessa storia, piuttosto complicata: venne infatti pubblicato dalla figlia di Linuccia nel ’65 per Mondadori, scomparsi ormai i due protagonisti, dopo una snervante vicenda editoriale, col titolo Il vecchio e il giovane. Era un’edizione molto parziale. Ora il quadro è invece completo, e affascinante, soprattutto per quanto riguarda il Saba “editore”. Nella sua libreria aveva già dato ottime prove in tal senso, per esempio, e qui torniamo al rapporto con Giotti, nel realizzare piccole edizioni – dattiloscritte – delle proprie opere proposte nei cataloghi come preziosità bibliografiche. Giotti rilegava, disegnava le copertine, creava oggetti raffinati e affascinanti. E questo i collezionisti lo sanno da sempre.

Dallo studio sulla attività di commerciante emerge in più l’attentissima, quasi ringhiosa gestione di un’impresa, che non andava male, e che il poeta prendeva molto sul serio. In uno dei primi cataloghi pubblica persino un elenco dei “clienti morosi”, con nome, cognome e città, additandoli al pubblico ludibrio. Coi fornitori, poi, è piuttosto categorico. Scrive per esempio all’amico Aldo Fortuna, che gli procurava libri sul mercato fiorentino: “Bisogna andare estremamente cauti nell’acquisto di opere che pretendono a rarità: nel dubbio astenersi; e in nessun caso pagarle più di semplici libri usati”. Dopodiché, non si perita di proporre fogli sparsi di pergamena provenienti da un libro liturgico del XV secolo dichiarandoli non solo “rari” ma “adattissimi sia per venir incorniciati come addobbo di stanze, che per formare paraventi o paralumi”. Umberto Poli triestino, ribattezzatosi Umberto Saba, non era privo di un certo disincanto. Libraio sì, riluttante forse. Feticista mai.

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