Sarà questa una stranissima notte prima degli esami, in cui i nostri ragazzi, oltre alle consuete sensazioni di ansia e euforia che precedono la prima vera prova della vita, si ritroveranno a pensare a parole nuove: perdita, virus, mascherine, igienizzante, distanza, silenzio.
A Dicembre ironizzavo con i colleghi sul fatto che da qualche tempo sembrava non ci fosse preoccupazione maggiore che trovare una ricetta universale e perfetta per gli esami di stato. Ricordavo le buste dello scorso anno, che tanto avevano fatto tremare i nostri poveri figli che ci domandavano: “Mamma, papà, devo davvero estrarla a sorte, tipo roulette russa?” Sembrava tutto risolto. Perché saggiamente le buste erano state sostituite da documenti selezionati dalla commissione.
Può interessarti anche
Poi sulla scuola, già sommersa da sigle incomprensibili per chi non ci lavora (PCTO, PDP, PEI, PTOF, PECUP, BES, DSA), si è abbattuto un altro e ben più terribile acronimo: COVID – 19 che a sua volta se ne è portati dietro altri: DAD, PAI e PIA.
Quella che sembra una mal riuscita poesia futurista è invece una scuola che si è reinventata e non si è mai fermata. Ma chi ha pagato il prezzo più alto della didattica a distanza, sono stati gli studenti dell’ultimo anno, rimasti per mesi nel limbo a chiedersi come si sarebbe svolto il loro esame di stato.
Può interessarti anche
Il ‘come’ lo hanno scoperto giorno dopo giorno, fino a qualche settimana fa: non più le prove scritte alle quali i nostri ragazzi si preparavano da anni; non più quaranta punti di credito che concorrevano a determinare il voto finale, ma ben sessanta. Gli scritti sono stati in parte recuperati al colloquio, con l’aggiunta della discussione dell’elaborato delle materie di indirizzo e dell’analisi di un testo letterario studiato nel corso dell’anno.
A ben guardare dunque ci si è mossi all’interno di una continuità, per come si è potuto in una situazione di emergenza sanitaria. Ma non sono però questi i cambiamenti che credo renderanno tanto strano questo esame, quanto la sua anima ferita.
Può interessarti anche
È infatti un esame che arriva nella confusione generale e senza alcuna gioia. Per molti accompagnato dal dolore delle esperienze da poco vissute, per altri dal timore dell’esame in presenza.
È un esame che giunge senza che i ragazzi abbiano potuto salutare quello spazio in cui sono cresciuti e in cui sono cambiati: l’aula. Un’aula intesa come luogo di crescita sociale e di amicizia.
Insomma a ben vedere è un anno scolastico che si conclude in silenzio. Senza il suono dell’ultima campanella. Un suono lungo e forse anche fastidioso ma che ogni anno si colora di festa e allegria e che per intere generazioni è diventato il simbolo della fine di un ciclo. Il simbolo di un prima e di un dopo.