Stefano Bartezzaghi è in libreria con il saggio “La ludoteca di Babele. Dal dado ai social network: a che gioco stiamo giocando?”. Per l’occasione, ilLibraio.it lo ha intervistato: “Forse nella letteratura dell’ultimo periodo si è un po’ perso il gusto astratto di giochi combinatori come quelli dell’Oulipo. Ma se penso a un romanzo come ‘Infinite Jest’ di David Foster Wallace, trovo che i temi principali della penetrazione del ludico in ogni aspetto della vita contemporanea vi si trovino perfettamente rappresentati”. E su videogiochi e social network…

Il gioco è uno dei “nutrimenti” insopprimibili e fondamentali dell’uomo, da sempre; ma negli ultimi anni è diventato un fenomeno pervasivo, continuamente intrecciato alla realtà, pronto a scardinarla e a trasformarla. A partire da questo assunto, Stefano Bartezzaghi, che sa bene cosa significhi costruire enigmi, ha riflettuto sulla trasformazione che il gioco sta attraversando nella società contemporanea nel suo La ludoteca di Babele. Dal dado ai social network: a che gioco stiamo giocando?, da poco in libreria per i tipi di Utet.

Vista la piacevolezza e l’acutezza del saggio, abbiamo intervistato Bartezzaghi.

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Nel suo libro, scrive che la nascita del suo nuovo libro è imputabile all’insoddisfazione per quanto è stato scritto finora sul gioco. Incompletezza, anacronismi…: quali sono a suo parere gli elementi mancanti in bibliografia?
“La bibliografia sul gioco (e certo il mio libro non fa eccezione) risente della quantità di sfaccettature che caratterizza l’argomento. In particolare mi è sempre sembrata mancare una riflessione sul modo in cui la dimensione del gioco è cambiata nell’età contemporanea, con la diffusione generalizzata di giochi e soprattutto di elementi ludici in ogni forma di comunicazione”.

Gioco e tempo: uno dei fenomeni più sorprendenti di cui parla è proprio la pervasività del gioco nella nostra “realtà”. Dove e come possiamo verificare questo nelle nostre giornate?
“Una volta il tempo e il luogo di lavoro, come anche quelli dello studio, erano assolutamente separati e impermeabili a ciò che non era pertinente all’attività preminente, come per esempio il gioco. Estrazioni del lotto, manifestazioni sportive, attività ricreative in genere si svolgevano quasi esclusivamente nei giorni festivi. Oggi il tempo del lavoro e il tempo per sé sono molto più intrecciati, il tempo si compone sostanzialmente dei suoi stessi ritagli. La mia idea è che il gioco è diventato, il più delle volte, il ‘ludico’: una dimensione frattale che può insinuarsi negli interstizi di ogni altra attività”.

Definisce i social network come una sorta di “meta-gioco”: vuole spiegarci questo concetto?
“Lo dico in un passaggio del libro abbastanza incidentale e quella di ‘meta-gioco’ non ambisce a essere una definizione categorica. Intendevo alludere al fatto che nei social network, e nel tono semiserio che conviene impiegare in quegli ambiti, troviamo rappresentata la frammentazione di serio e ludico di cui parlavo prima, e che oggi troviamo ovunque”.

Secondo Platone, «si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione». Il gioco può considerarsi uno strumento per conoscere implicitamente l’altro?
“Sì, senza dubbio: e anche per conoscere ‘l’altro-sé-stesso’. Fin da bambini si capisce come il gioco faccia emergere senza infingimenti lati del carattere che altrimenti potrebbero restare nascosti persino a sé stessi. L’ambizione competitiva, per esempio, è manifestata con chiarezza dall’agonismo. A questo proposito ricordo quante volte da bambino mi è stata cantata una canzone che allora era di successo: ‘Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere’”.

Gioco e letteratura: in un capitolo della Ludoteca, affronta lo stretto legame tra le storie e il gioco, definendo in fondo un videogioco come una «macchina che dà la possibilità di entrare in una narrazione» non predeterminata, in cui il giocatore ha un ruolo pienamente attivo.  Lei frequenta il mondo dei videogiochi e, nel caso, può indicarci quali titoli ha trovato narrativamente più convincenti?
“I miei rapporti con i videogame sono sempre stati abbastanza superficiali, come giocatore attivo. Mi è sempre però piaciuto osservare il gioco altrui. In anni lontani ricordo però un’immersione abbastanza approfondita in Eve, un videogame progettato e realizzato da Peter Gabriel, che conteneva anche delle sorte di kit virtuali per la composizione musicale, con cui mi divertivo a costruire jingle e motivetti”.

Da quanto emerge da un’analisi condotta lo scorso anno, tra il 2011 e il 2015 sono cresciuti notevolmente i giocatori di videogiochi d’età adulta. Tra questi, molte più donne si sono lasciate affascinare dal videogioco online. Secondo lei, la gratuità e l’immediatezza del gioco, complice la connessione a piattaforme di social media, ha “giocato” un ruolo sensibile nell’incremento?
“Se si pensa all’epoca in cui per giocare occorreva uscire di casa e recarsi in un luogo pubblico (bar, tabaccheria, sala giochi), e inoltre infilare la monetina, certamente la disponibilità gratuita e incessante di giochi direttamente presente nel proprio computer o comunque a casa propria ha enormemente allargato la platea dei giocatori. Inoltre il videogioco è un «guilty pleasure»: si apre il programma con la stessa clandestina autoindulgenza con cui si apre di notte il frigorifero o si accede al mobile-bar, quando nessuno se ne può accorgere”.

Soffermandoci ancora sui videogiochi, si è visto che questi sono stati impiegati anche per la preparazione strategica e tattica dei terroristi, aspetto di cui parla anche in un capitolo precipuo. D’altra parte, va aggiunto che i simulatori di volo sono impiegati dalle scuole di volo stesse, altri software esercitano i futuri chirurghi… Può delineare in breve quali pro e contro si riscontrano nell’uso sempre più massiccio di realtà virtuali?
“Non è un argomento che possa essere affrontato con brevità. Il realismo crescente dei videogiochi da un lato li rende perfetti per l’addestramento dall’altro lato determina inquietudini. Personalmente sono però spaventato dalla diffusione delle armi – e dall’incidenza di questa industria sul Pil per esempio italiano – più che da quella dei videogame”.

Per quanto riguarda la letteratura, cita gli esempi unici dell’Oulipo francese e i libri-game degli anni ’70, con storie a bivi e altri percorsi in parte decisi dal lettore. Dando uno sguardo al panorama odierno, la letteratura ha smesso di giocare?
“La letteratura, attraverso la forma della simulazione e quindi del ‘come se’, è in continua relazione con la sfera del gioco. Può però esserlo a diversi livelli di formalità e forse nell’ultimo periodo si è un po’ perso il gusto astratto di giochi combinatori come quelli dell’Oulipo. Ma se penso a un romanzo come Infinite Jestdi David Foster Wallace, trovo che i temi principali della penetrazione del ludico in ogni aspetto della vita contemporanea vi si trovino perfettamente rappresentati”.

Ogni scrittore ha un suo lettore ideale, secondo la critica; lei a chi pensava, scrivendo La ludoteca di Babele? A un giocatore compulsivo, a un non-giocatore, a un amante della sociologia, o…?
“Pensavo agli studenti dei miei corsi di Semiotica e di Teorie della creatività, alla Iulm di Milano, che seguiranno i miei futuri corsi sul gioco e, per loro tramite, a quel lettore curioso dei diversi aspetti della contemporaneità a cui penso sempre quando scrivo. È il tipo di persona che si incontra ai festival culturali, che esprime pareri tramite i social network, che a volte cerca un contatto epistolare: se non fossi convinto che esiste (malgrado i pessimismi diffusi e un po’ di maniera) mi cercherei un altro mestiere”.

Ricercare nella letteratura sociologica, tecnologica e psicoanalitica (tutta indicata con grande praticità in calce al saggio); ricorrere ai quotidiani misurandosi con la cronaca: la sua ricerca sul gioco proseguirà?
“Ho già in programma un altro libro, dedicato più specificamente al gioco con le parole. Sono convinto che il tema del gioco abbia una centralità nella società contemporanea e se questa mia opinione non si dimostrerà erronea sicuramente mi capiterà di tornare sull’argomento”.


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