“Oggi il tema della migrazione torna al centro della scena politica mondiale, un racconto migratorio che improvvisamente diventa cronaca di guerra. Assistiamo increduli alla più grande migrazione di persone dalla Seconda guerra mondiale”. Su ilLibraio.it la riflessione dell’autrice Arianna Fanelli, in libreria con il romanzo “Gli ultimi americani”: “Migrare non vuol dire soltanto spostarsi da un luogo all’altro del pianeta. La vita stessa è una tenace e disperata migrazione dal dolore verso la felicità”
Ne Gli ultimi americani racconto tre vite, tre rotte migratorie che partono da lontano per arrivare a ricongiungersi a New York. Due dei miei protagonisti, un ragazzo e una ragazza sudamericani, scappano dalla guerra nel loro Paese. La terza, invece, è una scrittrice italiana che vive da tempo negli Stati Uniti. Ognuno dei tre personaggi fugge da un passato che continua a riverberarsi sul presente. Le storie, infatti, non cominciano mai a New York. Forse lì si incontrano, si mescolano e si confondono, si separano e finiscono ma non cominciano. Iniziano sempre altrove: un luogo lontano, un tempo passato, un viaggio rimasto per anni senza arrivo e senza ritorno.
Nel racconto le storie dei tre protagonisti si intrecciano – nasceranno legami d’amore e di profondissima amicizia. Sono loro gli ultimi americani: persone partite da tempo dai paesi d’origine eppure mai veramente arrivate. In qualche modo ancora in viaggio, alla ricerca di un posto dove ad attenderle non ci siano solo lotte e guerre. Confuse sul dover appartenere al luogo dove si nasce o a quello in cui si muore. Convinte che il loro migrare abbia in sé la promessa del ritorno. Ultime in ordine di tempo ma, a volte, anche nella scala sociale.
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Come gli uccelli, anche gli esseri umani fuggono dal freddo e dalla penuria di cibo, anche loro tracciano rotte e attraversano confini. La migrazione, in fondo, è una condizione di vita, è una ricerca costante di luce e di calore.
Migrare non vuol dire soltanto spostarsi da un luogo all’altro del pianeta. La vita stessa è una tenace e disperata migrazione dal dolore verso la felicità. La mia storia è ambientata tra New York e una hacienda colombiana. Racconta le politiche migratorie di Trump ma anche la “guerra a bassa intensità” tra lo stato colombiano e i guerriglieri. Narra l’infanzia e l’adolescenza dei protagonisti seguendoli fino all’età adulta – li ritrova alle prese con la fine di un matrimonio, la condizione di clandestinità, il senso di inadeguatezza di fronte alla domanda più importante di tutte, quella sul senso della vita.
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Oggi il tema della migrazione torna al centro della scena politica mondiale, un racconto migratorio che improvvisamente diventa cronaca di guerra. Assistiamo increduli alla più grande migrazione di persone dalla Seconda guerra mondiale.
Gli esseri umani hanno cominciato a migrare dall’Africa centomila anni fa. La migrazione è parte integrante della nostra evoluzione: come specie ci siamo evoluti migrando.
Negli anni della mia vita americana ho assistito a lente e inesorabili migrazioni dal Sudamerica agli Stati Uniti, dal Sud al Nord del mondo. Carovane di persone – donne, bambini, anziani, minori non accompagnati – in fuga da guerre, narco-stati, cartelli, marras. Molti di loro sono stati respinti al confine, altri sono finiti nei centri di detenzione, altri ancora sono stati separati dai figli.
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Per molto tempo, da italiana ed europea, ho ascoltato dibattiti inconcludenti sui migranti che attraversavano il Mediterraneo. Tante volte di fronte a queste migrazioni abbiamo proposto improbabili soluzioni ed emesso inappellabili sentenze: “aiutiamoli a casa loro” oppure “sono migranti economici, non fuggono da guerre”.
Oggi tutto sembra diverso: persino paesi governati da partiti nazionalisti aprono confini e accolgono profughi. Ora chiedono una distribuzione equa dei migranti tra i paesi dell’Unione Europea. Ci siamo riscoperti sorprendentemente accoglienti, forse per la prima volta ancora umani. La “fortezza Europa” sembra essere andata in frantumi.
Come è potuto accadere? Forse ci riscopriamo solidali perché questi migranti ci assomigliano – sono bianchi e cristiani – le loro case e le loro piazze ci ricordano le nostre. Forse abbiamo paura che i prossimi ad essere invasi potremmo essere noi. Forse la guerra alle porte di casa ci mette di fronte a un dato di fatto: come esseri umani, siamo tutti fragili, indifesi, in perenne transizione. Tutti in viaggio, tutti migranti per felicità. Tutte le guerre sono ugualmente atroci, anche se hanno dinamiche diverse – guerre d’invasione, a bassa intensità, asimmetriche, civili. La guerra è sempre dolore e morte da cui fuggire.
L’AUTRICE – Arianna Farinelli vive negli Stati Uniti dal 2001, ha un dottorato in Scienze politiche e ha insegnato per dieci anni al Baruch College della City University of New York. Nel 2020 è uscito per Bompiani il suo primo romanzo, Gotico americano.
L’autrice, spesso ospite di programmi televisivi di approfondimento politico e collaboratrice di quotidiani italiani, pubblica ora con Mondadori il suo nuovo libro, Gli ultimi americani, un romanzo sulle contraddizioni dell’America di oggi. Un’opera dedicata “a tutti coloro che migrano”; il racconto di tre rotte migratorie che convergono negli Stati Uniti, ma che arrivano da molto lontano.
Quando lo scrittore è malinconico racconta storie di uccelli: “Ogni primavera, gli uccelli migratori percorrono immense distanze volando verso Nord. E ogni autunno, tornando al Sud, volano lungo lo stesso percorso. È così da milioni di anni. Per gli uccelli la migrazione è una condizione di vita”. Alma lo ascolta nuda, sdraiata sul letto dello studio dove si incontrano quasi ogni giorno. La storia che lo scrittore ama di più è quella dei cuvivíes, che alla fine dell’estate volano per migliaia di chilometri dall’Alaska alle pampas argentine. Ma è una storia maledetta: quando gli uccelli arrivano sulla laguna andina di Ozogoche si gettano in picchiata nelle acque gelide dei laghi e muoiono all’istante. Gli scienziati non sono ancora riusciti a capire il perché, ma lo scrittore ha una sua spiegazione: “È un suicidio di massa, Alma, i cuvivíes non torneranno mai nelle pampas. La promessa del ritorno galleggia insieme alle loro carcasse sulle acque della laguna”. Alma non immagina che la storia di quegli uccelli finirà per assomigliare così tanto a quella dello scrittore.
Lo scrittore e Lola sono cresciuti insieme in un’hacienda colombiana, lui come figlio del padrone e lei di una governante. Ancora adolescenti, si sono innamorati, ma un evento doloroso ha finito per dividerli. Si ritrovano molto tempo dopo a New York, dove lui arriva come rifugiato politico e lei come immigrata illegale. La storia di Alma, invece, comincia in un quartiere povero alla periferia di Roma. Dopo molti anni negli Stati Uniti e la fine di un matrimonio, una sera partecipa a una competizione di storytelling. È qui che conosce lo scrittore, ormai famoso, e Lola. Quel primo incontro darà vita a un intreccio d’amore e amicizia che in modi inaspettati finirà per coinvolgere tutti e tre…