“Mappe dei nostri corpi spettacolari” è il romanzo d’esordio della scrittrice britannica Maddie Mortimer, che nel 2022 è stato inserito nella longlist del Booker Prize e premiato con il Desmond Elliott Prize per il miglior debutto letterario inglese. Il racconto della vita di Lia, che si intreccia indissolubilmente con un elemento “altro”: un tumore. Un male traditore e viscerale, che nel testo dà vita a una narrazione sperimentale, ricca e multiforme…
Una diffusione leggera appare nel fegato come ombra, bacio doloroso e profondo, mappa di macchie nere. E sia i dottori sia Wikipedia parlano chiaro: quando questa si diffonde si può curare, ma non sconfiggere.
A fronteggiare questa oscura e incombente ombra è Amelia – per amici e famigliari Lia – coraggiosa protagonista di Mappe dei nostri corpi spettacolari (Il Saggiatore, traduzione di Paola Moretti), esordio della scrittrice britannica classe ’96 Maddie Mortimer, che nel 2022 è stato inserito nella longlist del Booker Prize e premiato con il Desmond Elliott Prize per il miglior debutto letterario inglese.
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“Commovente fin nelle viscere, l’esordio di Mortimer è una storia ricca e multiforme che stupisce e travolge i lettori” si legge tra le motivazioni della candidatura da parte della giuria del Booker Prize.
Viscerale, ricca, multiforme. La scelta di queste tre parole per la descrizione del dirompente libro di Mortimer non è affatto casuale. Il racconto della vita di Lia, infatti, si intreccia indissolubilmente con un elemento “altro”, tanto alieno quanto brutalmente corporeo: un tumore.
Un indesiderato ospite che è – per l’appunto – viscerale, profondamente legato al corpo umano, che nel testo dà vita a una narrazione sperimentale, ricca e multiforme…
La malattia non annichilisce il racconto della protagonista. Anzi, lo ravviva. Il mostro – che spesso e volentieri nelle narrazioni possiede un carattere spiccatamente spielberghiano (la genialità dello Squalo, dove per la maggior parte del film non vedi mai il mostro) – in Mappe dei nostri corpi spettacolari viene narrato, esplorato e sviscerato ampiamente già dalle prime pagine, al di là dello stigma e dei tabù che sovente aleggiano attorno alla malattia.
Lo stesso tumore – grazie a una personificazione al contempo giocosa e lugubre – parla e prende vita, interrogandosi sui mali provocati e sulle vite spezzate (“Non sapevo di essere così importante, avrebbe detto il cancro quando avrebbe capito il disturbo, il terrore, gli orrori che aveva causato nelle maree delle loro vite. Sono dispiaciutissimo, non ne avevo idea”).
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I sentimenti, che per Lia maturano in posti diversi del corpo (“gli impulsi più genuini di un uomo possono partire da mani e cuore, da dita dei piedi, gola o cosce), per la protagonista partono innanzitutto dalla pancia. Ed è proprio lì che, dopo i primi nauseanti amori, il male traditore inizia a serpeggiare.
“Se c’è una cosa che si può fare con una facilità incredibile nei corpi, è aggirarvisi furtivamente senza che nessuno sospetti nulla”: il silenzioso e sibilante propagarsi della malattia in Mortimer entra in forte contrasto con l’impetuoso linguaggio utilizzato; un profluvio stilistico che – come l’espandersi sregolato del male – prende il controllo della pagina, la macchia, la svuota o, in uno slancio totalizzante, la riempie completamente.
La scrittrice britannica gioca abilmente con le parole, con il loro suono peculiare e con la loro unica forma. È esemplare da questo punto di vista il monito ripetuto ossessivamente dalla protagonista dopo una pesante ricaduta: “Lo abbiamo fatto prima e lo rifaremo adesso”. Un mantra che, rappresentato come un estenuante sali-scendi, incessante percorso di una montagna russa, simboleggia chiaramente gli inevitabili alti e bassi della vita (e della malattia).
La scrittura ipnotica, che attraverso eruzioni linguistiche e voci di vocabolario riporta schegge di conversazioni e corsivi – come un grillo parlante che sussurra all’orecchio di lettori e lettrici – rappresenta visivamente anche i legami e le relazioni di Lia: dalla severa madre, l’evangelica Anne, al devoto padre Peter, passando per il fedele compagno Harry e la figlia, la piccola Iris.
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Quest’ultima è costretta a vivere sulla propria pelle il male traditore che ha colpito la madre, ritratto attraverso lo sguardo fanciullesco: “Aveva disegnato una cellula con sembianze di creatura, aveva sbaffi di inchiostro come dita che cercavano di raggiungere ogni lato, e al centro della cellula c’era una bocca, ma la bocca non era minacciosa, al contrario, mostrava una specie di dispiaciutissimo sorriso“.
Un racconto composto da grappoli di corpi disordinati, che come disordinate cellule si muovono sfruttando l’entropia, in cerca di un senso che spesso – irrimediabilmente – sfugge. Lia riporta nero su bianco tracce, frammenti di frasi e monili rotti, appartenenti a un presente che sembra sfuggirle di mano.
Mortimer, attraverso un linguaggio colorato e vivido, racchiude in questo libro un viaggio nel corpo di una donna. Una ricca celebrazione della vita e dell’amore, del “guardare sempre avanti”, illuminando i momenti più bui di una famiglia grazie a un racconto vitale, energico, necessario. E a tratti – perché no – anche ironico e scanzonato, fatto di battute mordaci e liste della spesa da tenere bene a mente per vivere serenamente in società. Il tutto per umanizzare una donna che, nonostante tutto, si impone di combattere fino all’ultimo contro una malattia deumanizzante.
Appunti per me
Devo evitare di:
1. Raccontare il resto.
2. Interrompere.
3. Ingozzarmi.
4. Distrarmi.
5. Essere troppo sgradevole e/o negativo.
6. Sentimentalismi.
7. Postulare Dio.
8. Senso di colpa.
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