“Ciò che si dice di noi, ciò che si dice delle cose, è tutto ciò che ci permette di conoscere e riconoscere il mondo”. Gloria Origgi è in libreria con un saggio su un tema d’attualità, nell’era dei social: la reputazione
Nel film Birdman, vincitore dell’Oscar come miglior film nel 2015, sullo specchio del camerino di Riggan Thomson, attore hollywoodiano celebre vent’anni prima per il ruolo di protagonista nella serie dedicata al supereroe Birdman è appesa una citazione apocrifa di Susan Sontag: “A thing is a thing, not what is said of that thing”, una cosa è una cosa, non ciò che si dice di quella cosa. Thompson vuole rilanciarsi come attore teatrale, a Broadway, vuole ritrovare un’autenticità perduta nel successo del suo personaggio, Birdman, il suo doppio io che ancora lo perseguita suggerendogli di credere nell’ipertrofica immagine di sé che la popolarità da supereroe gli ha incollato addosso. Birdman lo provoca, lo richiama come il canto delle sirene al suo altro io, quello costruito dallo sguardo degli altri. Riggan resiste, combatte, si impegna nell’adattamento teatrale del famoso libro di Raymond Carver Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, e infine cede: non ci sono un io vero e un io inautentico.
Siamo quello che gli altri dicono che siamo. E basta. Non c’è identità profonda, non esiste una parte intima e nascosta di noi che sia solo nostra, un io reale cui appigliarsi fuori dai mille specchi che ci confondono e rifrangono la nostra immagine. Non esistiamo al di fuori di ciò che si dice di noi. Caricatura dello spirito hegeliano, la coscienza di Riggan Thompson – il suo Io – non è che il suo desiderio di essere riconosciuto, di essere pensato dagli altri. E, in fondo, di cosa parla Carver quando parla d’amore? Non parla proprio di questo? Quando, nel racconto che dà il titolo alla raccolta, Ed, l’ex fidanzato violento di Terri, scopre che lei non lo ama più e decide di uccidersi, non siamo davanti a un atto d’amore? Perché senza l’amore di Terri, semplicemente Ed non esiste. Il protagonista di Birdman è confuso: l’eco della sua immagine è ovunque, in una cacofonia di figure del riconoscimento che mischia il successo, la gloria, l’arte, la popolarità e, infine, l’amore. La vertiginosa verità a cui lo porta la sua confusione è che la citazione apocrifa sullo specchio è falsa e che il suo secondo Io ha ragione: una cosa è ciò che si dice di quella cosa.
Ecco la morale di questo libro: ciò che si dice di noi, ciò che si dice delle cose, è tutto ciò che ci permette di conoscere e riconoscere il mondo, perché essere è essere un valore in un ranking, in un sistema che permette di fare paragoni. Essere è poter essere comparati.
L’AUTRICE – Gloria Origgi, milanese, vive e lavora a Parigi. È direttore di ricerca al CNRS, Institut Jean Nicod dell’Ecole Normale Supérieure e insegna all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. I suoi interessi di ricerca vertono sull’epistemologia sociale, la filosofia delle scienze sociali e le scienze cognitive applicate alle nuove tecnologie. Ha pubblicato in Francia un libro sulla fiducia dal titolo Qu’est-ce que la confiance? Collabora con vari quotidiani e riviste italiani e stranieri. Per Egea ha pubblicato, con Giulia Piredda, Filosofia. E torna ora in libreria con l’attualissimo La reputazione – Chi dice cosa di chi.
Le ragioni di un anonimato prolungato o di una celebrità folgorante, del peggioramento o del miglioramento della nostra immagine, per lo più ci sfuggono. Eppure la reputazione attraversa da un capo all’altro le nostre vite. Nel saggio, attraverso un percorso multidisciplinare, Gloria Origgi mostra che la reputazione non è mai stata così cruciale come nelle società contemporanee.