Un capitolo dal romanzo “Amagi”, già un successo in Spagna, firmato dal giovane Sagar Prakash Khatnani…

Lo scrittore spagnolo di origine indiana Sagar Prakash Khatnani, classe ’83, è arrivato nelle librerie italiane con Amagi, romanzo di successo in patria grazie al passaparola. Un libro che, come abbiamo raccontato, è anche l’occasione per indagare sull’origine della parola libertà…

La trama? Yuseph sente che deve partire; lasciare tutto e tutti, anche il padre, cui lo lega un profondo affetto. Glielo dice ormai sempre più forte il cuore; glielo dice un misterioso sogno che fa ogni notte; glielo dice, infine, nel giorno del suo ventesimo compleanno, un vecchio saggio da cui l’ha mandato proprio suo padre: «La vita ti chiama, sei destinato a una ricerca importante». Yuseph non può più aspettare, comincia il suo viaggio… Sulle coste di un Mediterraneo senza tempo, attraverso deserti e città, Yuseph incontrerà schiavi, mercanti, monaci, ladri, principi – l’umanità intera, e vivrà storie memorabili che gli faranno conoscere il senso autentico dell’amicizia, dell’amore, ma anche del dolore, del disinganno, della solitudine…

Amagi copertina

Su ilLibraio.it proponiamo un estratto, per gentile concessione dell’editore dal decimo capitolo:

Quando Yuseph entrò, una densa nebbia d’incenso al patchouli copriva la stanza come un velo. Si avvicinò al letto adagio, col cuore in gola, come se intuisse l’esperienza disastrosa che lo aspettava. Sentì un mormorio, dei sospiri. Incredulo, volle vedere coi propri occhi. Arrivato di fronte al letto, scostò le tende e si trovò davanti un uomo languido e unto, che si tirò su sorpreso. Era nudo e Yuseph ab­bassò lo sguardo, imbarazzato, e cominciò a prendere le sue cose, infilandole in silenzio e di fretta nella sacca. Maya balzò su dal letto con un tintinnio, coperta com’era di gioielli da ca­po a piedi. «Che fai?» gli chiese con freddezza, seguendolo con lo sguardo.

Yuseph non rispose.

Sconcertata dalla sua arroganza, gli si avvicinò e insistette. «Ti ho chiesto cosa stai facendo. Rispondi», gli ordinò.

Yuseph si fermò, alzò lo sguardo e lo posò sui suoi occhi. «Me ne vado.» Per un istante, guardò lo sceicco sdraiato sul letto, con le gambe aperte senza vergogna, e fu invaso dalla furia e dal risentimento. «Non ho più un soldo. Non ho niente. Sono povero, non ti servo più.»

Si girò velocemente, chiuse la sacca e si diresse verso la porta. Maya lo seguì agile, facendo tintinnare i gioielli. Non aspettava altro che quel momento e, quando raggiunse Yu­seph, lo bloccò afferrandolo per un braccio. Il suo sguardo tra­diva un’emozione ineffabile. «Puoi continuare a cercare il mio orecchino. Mi riterrò soddisfatta.»

A quelle parole, Yuseph si sentì esausto, e gli si offuscò la vista. «Il tuo orecchino? L’ho cercato disperatamente giorno e notte in ogni angolo del giardino. Dove lo hai perso?»

Maya deglutì e rispose: «In questa stanza, Yuseph».

Il ragazzo spalancò gli occhi per la sorpresa e aggrottò la fronte. «In questa stanza?» Non riusciva a credere alle sue orec­chie. «Allora perché mi hai chiesto di cercarlo in giardino?»

Le sue parole suonarono così tristi che persino Maya ne ebbe compassione. «Perché fuori c’è più luce.»

Yuseph scosse la testa e indietreggiò, non si fidava più nem­meno di lei. «Mi prendi in giro? Più luce? Non bastava illumi­nare la stanza con una candela? L’ho cercato per ore là fuori, e invece è qua dentro…»

Maya gli si avvicinò lenta e passò un dito sul suo petto, fermandosi all’altezza del cuore. Lo guardava intensamente, parlandogli con gli occhi. «Finalmente hai capito. È quello che ho cercato di spiegarti in tutto questo tempo, ingenuo», gli sus­surrò. «Perché cerchi la felicità là fuori, se l’hai persa qua den­tro? Cercala dentro di te. Perché chi ha osato farlo, l’ha sempre trovata.»*

Yuseph la guardò incredulo mentre un’ondata di calore lo inondava dalla testa ai piedi. Di sicuro, aveva cercato l’allegria negli amici, nelle esperienze, nelle cose materiali e nelle donne, sperperando i suoi risparmi in cambio di briciole di felicità. E ciononostante si sentiva affamato, disilluso, insoddisfatto. Per­ché quello che cercava non era là fuori, nel mondo, ma dentro di sé. Semplicemente, doveva illuminare la propria anima e capire che nella vita c’era una sola persona capace di renderlo felice: lui stesso. Cominciò a piangere. Maya aveva cercato di spiegarglielo sin dal primo giorno, ma lui non l’aveva ascol­tata; perché il maestro appare solo quando l’alunno è pronto. «Non avresti dovuto aspettare così tanto a dirmelo», disse con gli occhi rossi.

Maya sorrise amaramente, guardandolo in silenzio. «L’atte­sa fa parte della lezione.»

A un tratto, lo sceicco si alzò dal letto con il sesso al vento, abbracciò Maya da dietro la schiena e le baciò il collo con l’au­torità di chi ha tanti soldi. «Basta con le chiacchiere, torniamo a letto», le sussurrò con voce roca.

Maya sapeva che Yuseph era pronto e sorrise con soddisfa­zione. Era stata la sua unica, vera amica. «Tutto questo, i soldi, il divertimento, il prestigio, persino io, sono stati solo una bella locanda dove passare la notte. È l’alba ormai, ti sei svegliato, Yuseph. Adesso devi andare, devi continuare a viaggiare, con­tinuare a cercare.»

Si guardarono per qualche istante. Avrebbero voluto con­gedarsi in un altro modo, ma la vita si era intromessa fra loro.

Prendendo coraggio, Yuseph si girò e si allontanò con la sin­golare certezza che qualcosa nel suo intimo stava cambiando.

Maya rimase sulla soglia e lo guardò andare via, piena di dubbi. Con gli occhi lucidi, si liberò dalle braccia dello sceicco e gli corse dietro. Avrebbe voluto gridare, ma non poteva. Cosa gli avrebbe detto? Si conoscevano appena. Continuò a correre mentre le lacrime le scivolavano via dagli occhi per perdersi nell’aria. Raggiunta la porta, Yuseph si era già perso nel buio della piazza, alla luce della luna.

Dopo pochi secondi, una prostituta le si avvicinò con aria sibillina e le appoggiò il gomito sulla spalla. «Non ti sarai inna­morata di quel ragazzo?» disse con un sorriso procace.

Maya non rispose; non voleva sprecare quegli ultimi istanti. Continuò a guardare Yuseph finché non lo perse di vista nella penombra della notte. Consapevole che non lo avrebbe più ri­visto. Gli augurò di incontrare difficoltà sufficienti a renderlo più forte, dubbi sufficienti a farlo riflettere, e l’amaro rimedio del dolore e della sofferenza; infine, gli augurò buona fortuna per quel nuovo viaggio. Poi si girò e scostò con un gesto il braccio della collega. Allungò il collo e tornò quella di sempre: Maya, la cortigiana di ArRibat. «Noi non ci innamoriamo mai, siamo prostitute, non apparteniamo a nessuno e nessuno ci appartiene», rispose, re­cuperando la dignità.

Si allontanò superba, sapendo che le braccia di uno scono­sciuto l’aspettavano a letto. Non aveva il coraggio di fuggire, ma sperava che Yuseph riuscisse ad arrivare dove voleva. Per­ché lei non ce l’aveva fatta.

(continua in libreria…)


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