Come porsi davanti a un romanzo quando sappiamo chi è e che cosa fa l’autore? Su ilLibraio.it una riflessione – che va oltre il dibattito sull’autofiction – di Mario Baudino: si parte da “L’animale notturno”, nuovo romanzo di Andrea Piva, già sceneggiatore e giocatore di poker professionista, e si arriva all’ultimo discusso libro di Gay Talese, maestro del “new journalism”, passando per i reportage di Daniele Rielli pubblicati da Adelphi

Ma quanti assi ha l’autore?

“Io sono un animale notturno, lettore. E vivo da solo”. Andrea Piva si congeda così, in uno scenario vagamente spettrale, alla fine del romanzo che porta per l’appunto questo titolo (L’animale notturno, Giunti). “Rubo quel che posso, e me ne sto nascosto da tutti”. Ovvero, gioco a poker online, sono un professionista molto bravo che guadagna quanto desidera. O quasi. Non siamo dunque a una vicenda immaginata e fittizia, o almeno non lo è se non in parte visto che Piva è davvero un noto professionista del poker e anzi questa sua caratteristica ci viene subito comunicata nel risvolto di copertina.

Andrea Piva Giunti

Davanti a un romanzo del genere il lettore non può non sapere: il suo sistema di attese si orienta verso un “patto” che potrebbe avere a che fare con la voga dell’autofiction, ma in modo del tutto particolare. Sarebbe molto difficile, tanto per fare un esempio, distinguere poniamo in un libro di Emmanuel Carrère gli aspetti autobiografici e quelli immaginari. Con Andrea Piva è tutto più semplice: a parte Internet e i forum di poker online che parlano di lui e con lui, basta leggersi uno dei magnifici reportage che Daniele Rielli ha pubblicato l’anno scorso per Adelphi in Storie del mondo nuovo, quello appunto sui giocatori professionisti in giro per il mondo. Uno dei personaggi principali è proprio Piva, testimone e consulente fidatissimo oltre che amico, a partire dal primo incontro all’aeroporto di Bari dove lo scrittore-giocatore aspetta il giornalista su “un Bmw zeta 3 nero discretamente tamarro”.

Storie dal mondo nuovo
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Rielli lo descrive con intima simpatia: “Scrittore (Apocalisse da camera, Einaudi) e sceneggiatore (LaCapaGira, Mio cognato e altri), Andrea Piva a un certo punto della sua vita ha deciso che ne aveva abbastanza del mondo del cinema romano e di quel genere di persone per cui un giorno sei una divinità atzeca da sfamare a oro e vergini sacrificali per via della tua visionarietà artistica e il giorno dopo tutto quello che ti offrono di scrivere sono storie di preti, medici e suore eroiche che salvano cani pastore”. Un ritratto perfetto, lo stesso che il protagonista fa di sé nel romanzo. Resta la domanda: il protagonista-Piva o l’autore Piva? Non è futile come potrebbe sembrare, posto che il nome in letteratura ha una notevole importanza, fa parte del libro, anzi già ci mette su un percorso possibile di lettura. Valga l’esempio di Proust, che non si nomina mai, salvo nella Prigioniera; e in un contesto dove spiega, sulfureo, che “se l’autore di questo libro e il protagonista della vicenda coincidessero, il nome sarebbe Marcel”.

Andrea Piva

Andrea Piva

Nel caso dell’Animale notturno, proprio per come è costruito, questa domanda è inevitabile, e la risposta è in gran parte sì, almeno per quanto riguarda il poker, e cioè tutta la seconda parte del romanzo: non coincideranno tutti i particolari – per esempio non necessariamente quello, gustosissimo, dei due anziani professori malati di gioco che spiegano al neofita la teoria dei giochi e lo mettono sulla buona strada per diventare un campione. Se si leggono le dichiarazioni in rete circa il poker, coincidono benissimo, invece, la biografia, l’iniziazione, il modo di vivere l’ambiente e di giocare. Sono però dichiarazioni allegre e solari. Non c’è per nulla quel tono cupo, simulacrale, funereo che invece il protagonista irradia intorno a sé nel libro.

Sarà davvero un animale notturno? Il dubbio è di quelli che rendono stimolante il romanzo, anche al di là della storia narrata e dello stile, a tratti particolarmente riuscito in una trasfigurazione ad alta percentuale ipotattica del parlato, tra ironico e barocco, che gli è valso accoglienze generose (a chiudere il cerchio quella calorosissima dello stesso Rielli su Ttl). Ma è anche un problema che si pone sempre più spesso a proposito di libri e autori, quasi che la letteratura fosse sentita come insufficiente e avesse necessità di qualcosa esterno ad essa. E’ successo certamente con Roberto Saviano, ma non solo.

rizzoli

In questi giorni esce in Italia Motel Voyeur (Rizzoli) di Gay Talese, che in America ha suscitato scandalo perché la vicenda piuttosto romanzesca del proprietario d’hotel che spiava le clienti, presentata come assolutamente vera, una storia da “new journalism” di cui Talese è stato uno dei massimi rappresentanti, si è rivelata in gran parte farlocca. Ma Talese non può “mentire”, la menzogna letteraria non gli è concessa, la sua deve essere una verità fattuale, come quelle del giornalismo, e non fantastica come avviene nel romanzo. C’è stata una lunga polemica, che si è conclusa in una vaga promessa di “rivedere alcuni particolari” in una prossima edizione, e al lettore italiano va bene così (a quello americano un po’ meno). Gliela si potrebbe raccontare per benino, ma non è detto che la troverebbe interessante.

Piva – ma non solo a lui – può fare invece quel che vuole. E sembra prendersi tutta la sua libertà letteraria nella prima parte, dove esplora il sottobosco del cinema e della tv a Roma, fra droghe, sesso più o meno distratto, grandi speranze e generose illusioni. Quando arriva il poker, sembra invece che la verità fattuale voglia prendersi la rivincita; cambia addirittura il linguaggio, sempre più simile a quello, poniamo, del reportage di Rielli: per impennarsi solo nel breve gotico finale. E’ questa la realtà trasfigurata del poker, o in generale del “voler diventare ricco” proclamato nell’incipit oppure, parafrasando Proust, dobbiamo concludere che se l’autore di un libro complesso e ambizioso e il protagonista delle vicenda coincidessero davvero, il nome sarebbe Adrea – e smetterebbe di giocare?

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