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Perché leggere Amelia Rosselli

Alice Zanotti tutti gli appuntamenti mancati amelia rosselli

C’è una cosa che scrive Iosif Brodskij in Fuga da Bisanzio (Adelphi), nel saggio Per compiacere un’ombra: “Il meno che si possa dire è che ogni individuo dovrebbe conoscere almeno un poeta dalla prima all’ultima pagina, se non per prenderlo a guida nel viaggio attraverso il mondo, almeno per avere un metro con cui misurare il linguaggio”.

Il suo poeta d’elezione è stato Wystan Hugh Auden. Brodskij racconta di aver incontrato Auden prima nelle pagine di un’antologia di poeti inglesi contemporanei, un libro di seconda mano, poi in una fotografia, anzi in due, due scatti che hanno soddisfatto un bisogno, una curiosità.

Scrive Brodskij: “Si va sempre brancolando alla ricerca di una faccia, si desidera sempre che un ideale si materializzi“. Dopo aver letto tanto un autore viene voglia di sapere com’è fatto e quando Brodskij scopre com’è fatto Auden pensa che dietro quella faccia – per niente romantica, ironica o ferita – non ci sia una persona in carne e ossia ma la vita stessa. Ed è questo che si vorrebbe incontrare, dice Brodskij, e che si incontra quando si legge poesia.

Poi è successo che Brodskij abbia davvero conosciuto Auden. Quella prima volta non ha fatto che chiedergli “Mr. Auden cosa ne pensa di”, perché era l’unica frase che all’epoca riusciva a pronunciare in inglese senza fare errori. L’ultima volta che l’ha visto – è l’aneddoto che chiude il saggio – era il luglio del 1973. Auden era seduto a tavola e argomentava in merito al salmone freddo. Racconta Brodskij che la sedia era troppo bassa per farlo stare seduto comodo così la padrona di casa aveva avuto un’idea: invece di infilargli sotto un cuscino aveva pensato di usare due volumi dell’Oxford English Dictionary. Per Brodskij, Auden “era l’unico uomo che avesse il diritto di usare quei volumi come sedile”.

Quando ho letto Fuga da Bisanzio e in particolare il saggio dedicato a Auden, ho pensato che il poeta di cui parlava Brodskij, quello da conoscere e da tenere accanto nel viaggio attraverso il mondo, per me è Amelia Rosselli.

Di lei avevo letto Variazioni Belliche, Serie Ospedaliera e Documento all’inizio del nostro rapporto, che mi viene da chiamare così, un rapporto, una relazione, un innamoramento.

Per me è stato facile conoscerne il suo viso, cercando su Google si trovano, tra le altre, le bellissime foto di Dino Ignani: Amelia con i capelli corti e una sigaretta tra le dita, alle sue spalle una kefiah e una matassa di giornali; Amelia che sorride alla finestra; Amelia sdraiata sul letto, forse preoccupata da qualcosa.

E poi YouTube: c’è un video eccezionale in cui Amelia, impermeabile e camicia a righe, sta seduta su un prato, la schiena appoggiata a un pino marittimo, e descrive in modo molto dettagliato l’Antologia poetica curata da Giacinto Spagnoletti, in uscita in quel periodo, roteando una mano nell’aria mentre l’altra la teneva per terra, le dita sull’erba.

Ho scoperto, nel tempo, tante altre cose di lei, grazie al Meridiano Mondadori che raccoglie l’intera sua opera, anticipato da una minuziosa Cronologia ricca di passaggi da lettere, articoli di giornale, recensioni e testimonianze.

Non mi sarebbe mai successo di incontrarla, lo sapevo, ma spesso l’ho desiderato come se fosse ragionevole potesse capitare: a Roma, all’incrocio tra via del Corallo e Vicolo del Fico, o in giro per i Lungoteveri. L’innamoramento porta con sé la curiosità di sapere di più, possibilmente tutto, o almeno tutto il possibile. E significa anche inventare, immaginare e fantasticare su ciò che non si sa e non si saprà mai, per imbrogliare la distanza e riempire i vuoti. Ho inventato un luogo immaginario che fosse nostro, così è nato il mio romanzo.

Perché leggere proprio Amelia Rosselli, perché scriverne: per tante ragioni e per tante altre che non saprei elencare perché hanno a che fare con l’imprevisto, con l’inaspettato. Ci sono le ragioni legate alla sua poesia, e quelle che hanno a che fare con la sua vita. Delle prime hanno parlato molto meglio di me Emmanuela Tandello in La fanciulla e l’infinito (Donzelli), Laura Barile nel libro Laura Barile legge Amelia Rosselli, pubblicato da nottetempo nel 2014, Alessandro Baldacci nel suo Amelia Rosselli (Laterza), Stefano Giovannuzzi in Amelia Rosselli: biografia e poesia (Interlinea), per citare solo una manciata di titoli della vastissima bibliografia a lei dedicata.

Nel libro descrivo il suo laboratorio poetico come un’esperienza che assomiglia a una battaglia: nata a Parigi, esule negli Stati Uniti, adolescente a Londra e poi ragazza a Firenze e infine a Roma, Amelia Rosselli scriveva usando una lingua disubbidiente, inventava e mescolava l’italiano, il francese e l’inglese, creando una lingua nuova e antica insieme, la sua lingua, una lingua-onomatopea capace di fondere, spezzare e sovrapporre le parole.

Un’officina poetica in cui la musica ha fatto la sua parte, perché Amelia Rosselli ha studiato composizione ed etnomusicologia e sapeva suonare il violino e il pianoforte, ma non solo: ha progettato uno strumento tutto suo, un piccolo organo, di cui commissionò la costruzione alla Farfisa, e ancora le è capitato di suonare insieme a John Cage e di ululare in uno spettacolo di Carmelo Bene.

E poi c’è la vita, che nella poesia si infiltra, e la vita di Amelia è cominciata sull’isola di Lipari, prigione del padre Carlo Rosselli confinato alle Eolie perché colpevole di aver aiutato Filippo Turati a scappare dall’Italia fascista.

Scoprire Amelia Rosselli significa conoscere sua madre, Marion Cave, giovane attivista inglese appassionata di Italia e delle vicende del movimento operaio; vuol dire seguire il motoscafo che portò via da Lipari il padre Carlo, insieme ai compagni Fausto Nitti ed Emilio Lussu, evasione raccontata in modo avvincente nel libro Lipari 1929. Fuga dal confino di Luca Di Vito e Michele Gialdroni (Laterza); e ancora leggere dell’assassinio feroce dei fratelli Rosselli, Carlo e Nello, a Bagnoles-de-l’Orne, paese termale della Normandia dove Carlo era andato a curare una flebite alla gamba dopo aver combattuto la guerra in Spagna, perché la guerra in Spagna, per lui, era la guerra di tutto l’antifascismo. A spiarli, pedinarli e infine ucciderli – con la pistola e il coltello – sono stati i cagoulards, cospiratori francesi di estrema destra, assoldati da Benito Mussolini.

Leggere Amelia Rosselli vuol dire conoscere la sua nonna, di cui lei porta il nome, Amelia Pincherle Rosselli, scrittrice e drammaturga, vuol dire incontrare Rocco Scotellaro e la sua Basilicata, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Dario Bellezza, Elio Pecora, Dacia Maraini, Mario Tobino e tanti altri artisti e intellettuali dell’epoca. E significa entrare in contatto con la malattia, che nel libro è una pioggia prima fine poi tempestosa, con le voci che Amelia sentiva e con la sua tragedia.

L’AUTRICE E IL LIBRO – Alice Zanotti, bolognese classe ’85, vive a Torino, dove lavora al Circolo dei lettori. Tutti gli appuntamenti mancati (Bompiani) è il suo primo libro, un testo attraverso cui torna a vivere una delle intellettuali più notevoli e misteriose del secondo Novecento italiano.

Figlia del martire antifascista Carlo, cugina di Alberto Moravia, musicista, poetessa di assoluta unicità… Su e per Amelia Rosselli (1930-1996) molto è stato scritto, ma questo non è un libro su di lei: è un libro attraverso di lei. Alice Zanotti ha scelto di rileggere la sua vita non con il metro del biografo ma con la partecipazione visionaria di una giovane innamorata, che illumina dettagli minimi e liberamente immagina ciò che la storia non dice. La lacerante relazione con il padre e con la madre, le molte lingue ascoltate e parlate, le case, gli incontri, i libri, le voci: tutto si scompone e si ricompone come in una risacca che a ogni pagina ci consegna il ritratto struggente e impossibile di una donna dalla vita dolorosa ma dalla voce straordinaria e inimitabile.

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