Quando vince il Premio Nobel per la Letteratura nel 1996, in Italia non si sa quasi nulla della poetessa polacca Wisława Szymborska (1923 – 2012). In poco tempo, però, i suoi versi conquistano grande popolarità, grazie a uno stile semplice e ironico, a un linguaggio colloquiale e insolito, ma soprattutto grazie alla capacità dell’autrice di rappresentare le piccole cose quotidiane in modo “stupefacente” – L’approfondimento dedicato alla sua vita e alle sue poesie
È il 1996 quando il Premio Nobel per la Letteratura viene assegnato a una poetessa polacca, una certa Wisława Szymborska. Sono ancora in pochi a conoscerla, mentre in Italia è considerata addirittura una sconosciuta. Del resto non c’è da stupirsi: in quegli anni, nelle librerie italiane, era presente solo la raccolta di poesie Gente sul ponte (1986), edita da Scheiwiller, e più in generale la letteratura polacca non godeva certo di grande popolarità. Era raro trovare volumi di autori come Tadeusz Różewicz (pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 1964, nella collana dello Specchio) o Czesław Miłosz, anche lui vincitore del premio Nobel nel 1980 (pubblicato da Adelphi nel 1985).
Eppure questa donna, questa poetessa polacca di cui nessuno sembra sapere nulla, vince il Premio Nobel per la Letteratura, e da questo momento, in pochi anni, la sua fortuna cambia completamente. Tutte le opere di Wisława Szymborska vengono tradotte – non solo in Italia – stampate e ristampate di continuo.
È possibile cogliere riferimenti ai suoi versi praticamente ovunque: dalle riviste, alle pubblicità, alle canzoni, ai film, alle trasmissioni tv. Ozpeteck, nel suo Cuore Sacro, inserisce una scena in cui a un personaggio del film scivola dalla borsetta un libro di poesie della Szymborska, mentre Roberto Saviano, nella trasmissione Che tempo che fa, ne parla definendola “una poetessa che rimette al mondo le parole, le ricrea, le rigenera”.
Ovviamente prima del Nobel ci sono stati anche altri riconoscimenti, perché se è vero che la gran parte dei lettori italiani non la conosceva, in altri paesi Szymborska si è già fatta notare. Prima di tutto in Polonia, in cui è considerata una delle personalità più importanti del panorama culturale, ma anche in Germania, dove nel 1991 riceve il Premio Goethe, in Austria, che le consegna il Premio Perder nel 1995, e in Russia (nella traduzione di Anna Achmatova).
Di Wisława Szymborska non abbiamo tante informazioni, o meglio: sappiamo i dettagli della sua attività letteraria (date e pubblicazioni), ma pochi aneddoti, pochissime curiosità sulla vita privata o sul suo modo di intendere la poesia (“Preferirei rivendicare il diritto di non scrivere sulla mia poesia. Quanto più l’attività creativa mi assorbe, tanto meno sento la voglia di formulare un credo poetico”.).
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Sappiamo, tanto per cominciare, che nasce il 2 luglio del 1923 a Kórnik, e che il suo debutto poetico avviene il 14 marzo del 1945 sul terzo numero di Walka (Lotta), il supplemento settimanale del Dziennik Polski (Quotidiano polacco). La poesia in questione si intitola Cerco la parola e, a voler essere precisi, prima di essere pubblicata, viene tagliata e rielaborata dal caporedattore Adam Wlodek, con il quale la poetessa si sposerà nel 1948.
“[Le sue poesie erano] semplicemente di modesto valore. Così modesto che a noi non sembrava possibile usarne alcuna”, ricorda Wlodek. In ogni caso il componimento – come tutti gli altri che scrive in quegli anni, che poi finiranno nella Raccolta non pubblicata – ha vita breve: è incompatibile con il clima sovietico della Polonia e per tanto ne viene proibita la pubblicazione.
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Ma anche se è vero che in questi primi testi la scrittrice denuncia i crimini del nazismo e della guerra, sono le successive raccolte ad avere uno stampo molto più politico e impegnato. Parliamo di Per questo viviamo (1952) e Domande poste a me stessa (1954), scritte dopo che Szymborska aderisce all’ideologia comunista, scelta di cui si pentirà in seguito, abbandonando il Partito nel 1996. Quando parlerà della sua posizione politica di quel tempo, dirà: “Ero allora profondamente convinta della fondatezza di quello che scrivevo – ma questa affermazione non mi scagiona nei confronti di quei lettori che forse, in qualche modo… se non fosse per questa tristezza, per questo senso di colpa, forse addirittura non rimpiangerei le esperienze di quegli anni. Senza di esse non avrei mai saputo che cos’è la fede in una ragione unica. E quanto sia facile, allora, non sapere quello che non si vuole sapere. E a quali acrobazie mentali ci si può spingere confrontandosi con le ragioni degli altri”.
Nel 1957 pubblica Appello allo Yeti: dopo il processo di destalinizzazione il clima in Polonia sta cambiando, si respira più libertà, più leggerezza, e anche le poesie di Szymborska ne risentono. La poetessa si rende conto che la guerra e la dittatura hanno devastato l’Europa e il suo sguardo non può che rivolgersi agli orrori della storia recente, per esempio, nella poesia Ancòra, in cui rappresenta lo sterminio degli ebrei polacchi.
Ma le sue raccolte non parlano solo di guerra o di politica, anzi: il tema più ricorrente nella produzione della scrittrice è l’amore. E l’amore di Wisława Szymborska è un amore semplice e allo stesso tempo intelligente e riflessivo, concreto e insieme onirico e metafisico. Un amore raccontato sempre con una vena ironica, come se fosse un gioco, un segreto che si sussurrano all’orecchio i bambini.
Non si trovano quasi mai nei versi di Szymborska tracce di una scrittura pretenziosa, eccessivamente ricercata e artificiosa: sebbene il suo sia uno stile lineare, caratterizzato da un linguaggio colloquiale e diretto, ricorrono metafore insolite e immagini che, pur essendo quotidiane e reali, nascondono qualcosa di magico.
È questo che genera lo stupore, anche se, come specifica la stessa poetessa nel suo famoso discorso tenuto in occasione del conferimento del Nobel, “nella definizione di stupefacente si cela una sorta di tranello logico. Dopotutto ci stupisce ciò che si discosta da una qualche norma nota generalmente accettata, da una qualche ovvietà alla quale siamo abituati. Ebbene, un simile mondo ovvio non esiste affatto, il nostro stupore esiste di per se stesso e non deriva da paragoni con alcunché. D’accordo, nel parlare comune, che non riflette su ogni parola, tutti usiamo i termini: mondo normale, vita normale, normale corso delle cose… Tuttavia nel linguaggio della poesia, in cui ogni parola ha un peso, non c’è più nulla di ordinario e normale. Nessuna pietra e nessuna nuvola su di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segue. E soprattutto nessuna esistenza di nessuno in questo mondo”.
Nel 1962 esce la raccolta Sale, seguita nel 1967 da Uno spasso, che confermano il valore artistico di Szymborska e mettono a fuoco la sua poetica, costituita dall’attenzione alle piccole cose del mondo (“Le persone si instupidiscono all’ingrosso, e rinsaviscono al dettaglio. Dunque sosteniamo i casi al dettaglio”).
La successiva pubblicazione, Ogni caso del 1972, invece, mostra la capacità introspettiva e analitica della scrittrice, tanto che la forma di questi componimenti, come scritto nell’introduzione di Pietro Marchesani alla raccolta La gioia di scrivere (Adelphi), potrebbe essere definita saggistica, filosofica.
Intanto Szymborska divorzia da Wlodek, si lega allo scrittore Kornel Filipowicz, e inizia a collaborare con riviste e giornali: i suoi approfondimenti e le sue recensioni, dove si parla di letteratura, cinema, teatro, ma anche di turismo, botanica, economia domestica e cosmesi, vengono raccolti e pubblicati in un volume nel 1973, Le letture facoltative.
Escono nel 1976 Grande numero e Tarsio, una raccolta edita in 860 volumi, numerati e illustrati da Barbara Gawdzik-Brzozowska, mentre nel 1993, dopo la morte di Filipowicz, pubblica La fine e l’inizio, nella quale sono presenti le poesie Addio a una vista e Il gatto in un appartamento vuoto, dedicate proprio al compagno appena scomparso (“Qualcosa qui non comincia/ alla sua solita ora./ Qualcosa qui non accade/ come dovrebbe./ Qui c’era qualcuno, c’era,/ poi d’un tratto è scomparso/ e si ostina a non esserci”).
Fa parte della silloge anche Amore a prima vista, uno dei componimenti più rappresentativi della poetica dell’autrice, in cui viene raffigurato un sentimento che nasce da piccoli momenti fortuiti, incontri per strada, scontri tra la folla e chiamate telefoniche sbagliate. Eppure questo sentimento, fatto di maniglie, campanelli, corridoi e valigie – cose vere, reali -, ha anche un’essenza astratta e trascendente, come se appartenesse a un destino di cui non si possono che scorgere segnali indecifrabili.
È il 1995 e Szymborska viene nominata membro dell’Accademia Polacca delle Arti e delle Scienze di Cracovia, e riceve la laurea honoris causa dall’Università Asm Mickiewicz di Poznan. L’anno dopo uscirà Vista con granello di sabbia e le sarà assegnato il Nobel con la seguente motivazione: “[la sua poesia] con precisione ironica, permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di umana realtà“. Il primo volume pubblicato dopo il Premio è Attimo (2002), a cui seguono Due punti (2005) e Qui (2009).