Per Alma tornare a Trieste riapre il mondo dei ricordi: non si tratta solo di ripensare ai luoghi e alle persone che hanno abitato la sua infanzia e adolescenza, ma anche alla storia e alla guerra che si combatteva al di là del confine. Nel nuovo romanzo di Federica Manzon, la storia personale e la guerra dei Balcani si fondono in una vicenda che porta con sé riflessioni profonde e interrogativi sulle relazioni, sull’identità e sul rapporto con il passato…

Tornare non è semplice per chi, come Alma, ha provato a ricominciare daccapo a Roma e si è trovata invece per trent’anni a paragonare la capitale alla sua città natale, combattendo con i propri ricordi e la nostalgia. Ora è tempo di tornare a Trieste, complice l’eredità del padre da ritirare dalle mani di una persona speciale ma mai compresa del tutto.

Alma di Federica Manzon

Muove da queste premesse Alma, il nuovo romanzo di Federica Manzon, in libreria per Feltrinelli. L’autrice (e direttrice editoriale di Guanda, ndr), che fin dai tempi del romanzo d’esordio Come si dice addio (Mondadori, 2008) sa raccontare con profondità le emozioni contraddittorie che portano con sé le partenze e i ritorni, si concentra su una protagonista che si fa assoluta, già a partire dal titolo. Pur adottando la terza persona, è attraverso una focalizzazione centrata su Alma che percepiamo il mondo: così possiamo capire fino in fondo l’intrico di sentimenti non pacificati che si porta addosso tornando in una città e da persone da cui è fuggita, anni prima.

Il passato inonda il presente, e lo fa mentre Alma passeggia per le vie di Trieste, guarda il suo mare, ritrova i luoghi che hanno segnato la sua infanzia e l’adolescenza. Tutti elementi che fanno di Alma un romanzo non “esportabile” in un’ambientazione altra.

Come i luoghi, anche il tempo, infatti, è una componente fondamentale di quest’opera: Alma non solo rievoca le vicende personali, ma anche il dramma della guerra che ha devastato i Balcani negli anni Novanta, la dittatura di Tito, la rivoluzione.

Ripensarci adesso, quando una nuova guerra imperversa in quei luoghi, smuove un fortissimo desiderio di capire cosa stia davvero accadendo “di là”. Non lo prova solo la Alma giornalista, ma anche e soprattutto l’Alma che ha vissuto a pochi passi dal confine, eppure si è sempre sentita esclusa dalle vicende jugoslave, forse perché “è sempre, anche, una questione di lingua” (p. 221). O forse perché la storia balcanica è sempre, oggi come ieri, “un groviglio di fatti di difficile interpretazione” (p. 131).

D’altra parte, Alma non è mai appartenuta ai luoghi o alla cultura di cui le parlava a stento suo padre, figura evanescente che andava e veniva dalla vita della figlia e della moglie perennemente in attesa di un suo ritorno. Alma non ha mai davvero saputo cosa facesse suo padre per Tito, quali fossero i suoi compiti, perché l’uomo, quando tornava a casa all’improvviso, cercava di tenere la figlia fuori dai drammi coevi, ostentando una leggerezza costruita a tavolino.

Invece lui ne parlava in privato con Vili, il figlio di amici di Belgrado, portato via dalla cittadina perché potesse vivere un’infanzia al sicuro. Alma non ha mai scoperto il contenuto di quelle conversazioni. Se la piccola Alma era invidiosa di quella confidenza tra Vili e suo padre, col passare del tempo ha trovato un modo tutto suo per stare con Vili, condividendo un rifugio segreto e altri loro spazi, ora concreti ora immaginari. Il loro, in ogni caso, non è mai stato un rapporto sereno:

“Alma non si è mai chiesta se a spingerla ogni volta verso Vili fosse il fatto che lui veniva dalla parte del mondo a cui apparteneva suo padre e che per lei significava fantasmi e desideri, oppure il fatto che, anche se per ragioni diverse, sentiva che condividevano un’uguale irrequietezza, il bisogno di non dare conto delle proprie intenzioni e andarsene. Lo avrebbe amato lo stesso se lui non fosse stato l’esiliato del Danubio?” (p. 120)

E, quando gli anni passano, Vili si sente “un esiliato troppo giovane per starsene con le mani in mano. Vuole tornare dalla sua gente” (p. 134). Ecco perché decide di testimoniare la guerra nei Balcani come può, ovvero attraverso fotografie che troveranno posto sulla carta stampata. Benché Alma desideri partecipare anche lei a suo modo, Vili non fa che ricordarle che lei non appartiene a quei luoghi. Dunque, il suo posto è altrove, e Alma deve tornare oltre il confine.

Se le incursioni del passato occupano gran parte del romanzo, anche la storia presente ha un peso importante. In questa cronologia mossa, che ci porta continuamente dalla grande Storia alla storia di Alma, Federica Manzon inserisce riflessioni sui conflitti, sulla violenza che comportano le rivendicazioni di un’identità nazionale, sulla testimonianza che si può portare attraverso la fotografia e le parole, per quanto si riscontrino spesso manipolazioni della verità nel mondo giornalistico.

Profondo e costante è l’interrogativo di Alma e di altri personaggi sul tema delle radici: mettere radici è una buona cosa? O, come il padre di Alma e Alma stessa, è meglio mantenersi liberi, sfuggendo continuamente alla briglia delle relazioni?

Accanto a queste tematiche, ritroviamo poi la storia di un legame che racchiude al tempo stesso amicizia, amore e fratellanza, nonostante Alma senta di non conoscere davvero Vili. D’altro canto lo riconosce e lo accetta com’è, ben sapendo che entrambi manterranno una “decorosa riservatezza” sui propri dolori (p. 174).

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