Nel nuovo romanzo biografico, “La ragazza di Savannah”, Romana Petri racconta una delle voci più importanti della narrativa americana: Flannery O’Connor, dosando sapientemente dati biografici e finzione narrativa. Ne emerge un ritratto molto umano di una donna che ha messo al primo posto la scrittura e la fede, mai davvero disgiunte l’una dall’altra…
“Mio Signore. Vi metto nero su bianco che diventerò una scrittrice. Se voi lo vorrete” (p. 65): prende forma così, come una promessa rivolta a Dio, la vocazione di Flannery O’Connor alla scrittura. Una scrittura, sia chiaro, mai disgiunta dalla fede. Il tutto, però, seguendo lo stile originale e irripetibile che già si intravvedeva nella Mary Flan bambina.
L’originalità e l’unicità del suo pensiero, della sua scrittura e della sua vita sono capisaldi del romanzo biografico che Romana Petri costruisce attorno a Flannery O’Connor: La ragazza di Savannah, edito da Mondadori.
L’autrice non è nuova a questo genere: ha trattato di Antoine de Saint-Exupéry nel recente Rubare la notte (Mondadori, 2023) o tre anni prima in Figlio del lupo si è concentrata sulla vita di Jack London (Mondadori, 2020), per citare due tra tante opere emblematiche.
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Ad accomunarle al nuovo La ragazza di Savannah c’è anzitutto un enorme rispetto per la vita portata in scena: la narrazione si fonda su un’ampia documentazione, ed è chiara, per quanto sapientemente dissimulata, l’attenzione a non coprire mai il dato biografico con un eccesso di finzione.
Anche nella Ragazza di Savannah non manca, in ogni caso, un genuino trasporto celebrativo, ma si tratta di un omaggio che non edulcora il reale; semmai, Petri vi mette in luce la genialità di una personalità complessa. Fin da bambina, Mary Flan ha dovuto fare i conti con alcuni difetti fisici che sono stati oggetto di scherno da parte dei coetanei, ma ha sempre avuto piena consapevolezza di quanto l’ironia (declinata spesso anche come autoironia) e la fede potessero aiutarla.
A queste componenti, si aggiunge una genialità che si esprime in fantasia anticonformista e provocatoria e trova nella scrittura piena realizzazione.
Se il padre comprende subito le potenzialità artistiche di quella figlioletta così creativa e piena di passioni inconsuete (come quella per le galline, che la accompagnerà per tutta la vita), la madre è più restia. Da un lato, preferirebbe vederla disegnare; dall’altro, è preoccupata per il suo avvenire e per questo rivolge alla figlia domande di questo tenore: “Sei sicura che scrivere sia un mestiere? […] Un romanzo? […] Credi che ne sarai capace?” (p. 69). Non bastano i suoi tentennamenti a scoraggiare i tentativi di Mary Flan, consapevole com’è che la scrittura è fatica, abnegazione, e comporta un labor limae continuo, quasi ossessivo:
“La scrittura è allenamento, è una disciplina, ma anche qualcosa di più. Guardi la realtà, ma per trovarle un significato devi usare tutti i sensi. […] Beh, ti dico che scrivere significa impolverarsi sulla strada della vita. E che per farlo hai bisogno di un granello di stupidità” (p. 87)
Eppure, nonostante le sue paure, la madre Regina rappresenta un sostegno fondamentale nella vita di Mary Flan, davanti alle avversità.
Come viene appuntato da Romana Petri, il loro è un rapporto “complicato ma solido” (p. 197): in fondo, sono due donne “alle quali è toccata in sorte questa bizzarria di continuare a dividere la stessa casa per sempre” (p. 262). Qualche episodio di scarsa sopportazione reciproca c’è, perché le donne non potrebbero essere più diverse; eppure permane un affetto sincero e crescente, popolato di piccoli riti, di preghiere condivise e di speranze per il futuro.
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Famiglia e scrittura, dunque, ma anche fede (incrollabile) e frustrazioni per amori non corrisposti. La scrittrice di Savannah vive tre grandi innamoramenti, ma si tratta sempre di illusioni o di interesse transitorio, come si nota ad esempio negli scambi epistolari che via via si diradano. Uno di questi legami avrà invece modo di trasformarsi in un’amicizia solida, perché Flannery O’Connor stringe relazioni che durano nel tempo e che vengono coltivate spesso attraverso lunghe lettere.
Spostarsi dalla propria casa prima e soprattutto dall’azienda agricola Andalusia dove vivrà con la madre, infatti, diventa sempre più difficile. Fintanto che a trattenerla sono i crescenti impegni di scrittura e riscrittura, la scrittrice trova modo di assentarsi per partecipare a convegni, conferenze, presentazioni, lezioni universitarie. Poi, però, la terribile diagnosi di Lupus, quando Flannery ha solo ventisette anni, le fa rintoccare davanti il timore di morire prematuramente, come accadde al padre.
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La sua preoccupazione è in ogni caso quella di fare in tempo a scrivere ciò che ha in mente, e intanto a trent’anni, con la prima raccolta di racconti, vende in poco tempo quattromila copie e va in ristampa. Se in tanti le riconoscono meriti straordinari e la contano tra i nomi più influenti della narrativa americana, scollandola almeno in parte dalle sue origini del Sud, i detrattori non mancano. Ma questo non sembra preoccupare Flannery O’Connor, che rivolge loro commenti sprezzanti e spesso inattesi, mostrandosi anche in questo controcorrente: “Vogliono il finalino edificante? Bene. Non leggano i miei libri” (p. 206).
A interessarla, semmai, è il posto che occuperà nella storia della letteratura, il contributo che può portare alla politica americana e alla religione, senza mai chiudersi in una turris eburnea avulsa dalla storia. E intanto i lettori amanti dei romanzi metaletterari avranno modo di inserirsi nell’officina della scrittura, perché Romana Petri scava tra lettere e citazioni, consentendo di capire più da vicino la magia ma anche il rovello che caratterizzano la sua scrittura. Se dovessimo scegliere una sola di queste frasi per definire l’immenso lavoro di Flannery O’Connor sulla macchina da scrivere, sarebbe questa: “È un libro troppo buono per non poter essere migliore. Deve stare ben dritto sui suoi piedi più di quanto ci stia ora” (p. 190).
Con La ragazza di Savannah stringiamo tra le mani un romanzo prezioso, che si fa testimonianza di una vita fuori dall’ordinario, invito alla lettura appassionato delle opere di una tra le penne più divisive e talentuose della narrativa americana. Aggiungiamo, infine, che Flannery O’Connor, con la sua tenace voglia di vivere e di scrivere, è un esempio eroico di riscatto, di perseveranza e di autodeterminazione. Resistendo alla malattia. Resistendo all’oblio.
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