“Il conforto della vastità” di Gretel Ehrlich è una raccolta che parla di paesaggio americano e delle persone che lo vivono; una lirica di amore profondo per il West, il rodeo, il sangue, la fatica, gli allevamenti di vitelli e, più di tutto, per la vita selvaggia

Bisogna dirlo ancora prima di cominciare: nonostante non se ne sia sentito tanto parlare, Gretel Ehrlich è una scrittrice formidabile. Ha una voce riconoscibile, uno stile aulico e profondo, un ritmo coinvolgente. Le sue parole e le sue visioni sono taglienti, autentiche e non perdonano, come i territori in cui vive, le vastità dell’Ovest americano, il Wyoming.

Gretel Ehrlich in una foto di Richad Birnbaum

Gretel Ehrlich in una foto di Richad Birnbaum

Il conforto della vastità (Black Coffee, 2022, traduzione di Sara Reggiani) è una piccola raccolta, uscita per la prima volta negli Stati Uniti nel 1985 e pubblicata in Italia da This Land di Edizioni Black Coffee, una collana che annovera tra gli altri i suoi titoli anche Antropologia del turchese di Ellen Melloy (2020, traduzione di Sara Reggiani) e Attraverso gli spazi aperti di Barry Lopez (2021, traduzione di Sara Reggiani), dei gioielli rari, insomma, proprio come Il conforto della vastità.

Gretel Ehrlich è una californiana, bionda, abbronzata. È la metà degli anni ‘70, ha una trentina d’anni quando capita in Wyoming a girare un documentario. Quella terra le sembra dura, inospitale, ma reale sotto tutti gli aspetti. Mentre è lì, tra pecore e bovari, il suo compagno di progetti artistici e di vita muore, e lei, a poco a poco, lascia le redini di quella parte della sua esistenza e decide di rimanere in Wyoming, ad allevare bestiame e, a sua volta, a vivere la vita dura e quotidiana delle terre riarse e allo stesso tempo gelide.

Si vede che questo libro è nato come un diario: gli eventi sono frammentati, senza un vero e proprio ponte tra gli uni e gli altri, se non forse un vago ordine cronologico, legati tra loro solo dalla fatica dei corpi, dalla puzza del bestiame, dalle profondità infinite degli spazi, da un’unica costante poesia dei luoghi e della gente. La durezza dei comportamenti dei cowboy è inversamente proporzionale alla dolcezza che dimostrano in alcuni istanti, la ruvidità dei rancher contrapposta alla delicatezza che riservano ad alcuni animali.

Quello che si manifesta dentro Ehrlich è un distacco dalla vita che le era sempre sembrata normale e vera, e un’immersione in una realtà inclemente ma che le dimostra in ogni istante la sua unicità, la sua franchezza.

Ci sono esseri umani che scelgono – non per luogo di nascita o per responsabilità famigliare – di vivere una quotidianità più radicata alla fatica del lavoro, alla natura, a un vivere più antico e tradizionale. È quasi una presa di posizione, più che una reale alternativa, non possono fare diversamente.

E così la scelta di Ehrlich di trattenersi in Wyoming diventa, per le persone che le sono care, un rifiuto della società così come l’aveva sempre intesa, con le sue regole, le sue piccolezze e mediocrità. E provano a farla tornare con le loro parole, le dicono che sta buttando la sua vita, che “si sta nascondendo” lì. Mentre quello che prova l’autrice è di essere viva e sincera per la prima volta.

Il conforto della vastità è un’opera elegante, profonda, che si collega a tutta una fiorente letteratura naturalistica americana, facendo però un passo in avanti: descrive gli uomini, le donne, le tradizioni che ancora abitano il vecchio West. Racconta un lato meno noto, quello sì dei cowboy e dei rodeo, rivelando allo stesso tempo una loro fragilità e una bellezza inaspettate.

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