Nell’aprile del 1919, a poco più di un anno dall’arrivo delle guardie rosse, la fame e la violenza hanno messo in ginocchio la popolazione di Kiev: in questo contesto si inserisce “Il cuore rubato”, il nuovo romanzo di Andrei Kurkov, secondo capitolo della sua saga poliziesca dopo il successo di “L’orecchio di Kiev”, finalista al Premio Strega Europeo
Aprile 1919, dopo oltre un anno anni dall’arrivo dei bolscevichi nella città di Kiev serpeggiano fame e violenza. La città è allo stremo, la luce scarseggia, le case non riescono a scaldarsi, la maggioranza vive di minestra d’avena e Samson Kolečko, membro della milizia, è sempre senza un orecchio (mozzato dalla spada di un soldato cosacco nel primo romanzo di Andre Kurkov, L’orecchio di Kiev, traduzione di Claudia Zonghetti).
In questa nuova avventura, Il cuore rubato, sempre in libreria per Marsilio, Samson fa quello che fa di solito, indaga nel neonato corpo di polizia municipale su furti e furtarelli. Indagini in cui conta più il peso della burocrazia e la fedeltà che si deve ai superiori degli stessi fatti “criminosi”.
Accade infatti che la furia inquisitoria della Čeka (madre del futuro Kgb) si abbatta sullo smercio di carne, di cui è severamente vietata la vendita.
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L’indagine di Samson parte dunque dalle frattaglie vendute sottobanco al mercato ebraico, per poi allargarsi a traffici più incerti, fino ad arrivare al rapimento, da parte di ferrovieri dissidenti, di alcuni impiegati dell’ufficio statistiche, tra cui l’amata Nadežda.
Il rapporto tra Samson e Nadežda si è consolidato e pianificano forse un matrimonio. Riusciranno a coronare il loro sogno d’amore e tenerezza in un mondo trasfigurato in cui regna la legge del tutti contro tutti? Ad aiutarli, il terzo protagonista di questo libro, l’orecchio mozzato, che sente tutto e spesso tiene Samson lontano dai guai.
Già al primo romanzo di Kurkov in molti hanno posto l’accento sulla somiglianza con certa letteratura russa dell’Ottocento ed è innegabile che questo elemento ci sia. Pensiamo infatti al Naso di Gogol’ (“protagonista” dell’opera scritta tra il 1832 e 1834), non è la prima volta che un organo se ne va in giro agendo nella Storia e nel romanzo con una intenzione propria.
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Forse anche metafora di un corpo slegato da una propria volontà, come fu la società ucraina nel 1919, in anni in cui una nuova religione civile stava tentando forzatamente di prendere il posto di quella ortodossa.
Rimane l’ironia caustica e il gusto del surreale a cui appellarsi, come nei lenti interrogatori in cui il contorno ha più peso della sostanza:
“Se il detenuto è maschio, dopo aver fatto quanto appena elencato, aspettate ancora a interrogarlo. Neanche mezza domanda! Tirate fuori le sigarette, accendetene una e fissate il detenuto senza fiatare, ma con sguardo truce. […] chinatevi su di lui e soffiategli una boccata di fumo in faccia. Attenzione: dovete imparare a farlo in modo eloquente e al momento opportuno. L’argomento merita una riflessione a parte. Fuori le sigarette! […]
Fumatene una! C’è qualcuno che non fuma?
Samson alzò la mano sinistra.
Impari, non è una femminuccia!”
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Fotografia header: Andrei Kurkov, nella foto di Pako Mera