Ci sono segreti che non si possono rivelare neanche alla propria famiglia, specialmente se intaccano l’idea che tutti hanno di noi. Lo sa bene il protagonista del romanzo di Sasha Vasilyuk: ripercorrere la sua vita significa fare luce su eventi che raccontano come attraverso sei anni di guerra l’uomo sia riuscito a salvarsi, nonostante il suo essere ebreo. Libro che indaga sulle scelte difficili che un giovanissimo uomo è portato a compiere per salvarsi in situazioni estreme, “Il vento è un impostore” offre anche una riflessione sul concetto di verità, sul potere, sulla guerra e sui traumi che si portano sempre con sé…
«Sto dicendo che finché proviamo anche solo un briciolo di vergogna, mentire è la nostra unica alternativa».
Non è raro che chi è tornato dalla Seconda guerra mondiale non voglia parlare di ciò che ha vissuto: dunque, per anni Efim Schulman è stato considerato da tutti, famigliari compresi, un veterano di guerra, che ha speso sei anni della sua giovinezza in mezzo al fuoco nemico ed è “arrivato a Berlino”.
Pochi sono i soldati ad aver vissuto tutti gli anni della guerra, fino al suo esito: quindi, pare normale che Efim sia rientrato a casa provato nel corpo e nello spirito. E così Nina, sua moglie, e i figli hanno raramente indagato sugli avvenimenti che hanno sconvolto Efim e si sono limitati a osservare la sua mano con alcune falangi mutilate come simbolo del sacrificio. Come spiegare, però, la strana lettera indirizzata al KGB che Nina ha trovato nel 2007 tra i documenti di Efim?
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Parte dal desiderio di capire più a fondo cosa sia davvero successo il romanzo d’esordio di Sasha Vasilyuk, Il vento è un impostore, in libreria per Garzanti con la traduzione di Roberta Scarabelli.
Ispirato alle vicende che hanno riguardato il nonno dell’autrice e all’effettivo ritrovamento di documenti che hanno gettato luci e ombre sul suo passato, il romanzo racchiude al suo interno una forte componente storica. Questa è affiancata da una riflessione (spesso amara) sul potere e sul prezzo carissimo che è stato chiesto a tanti giovanissimi soldati. A mano a mano che si procede con la ricostruzione della storia del protagonista, ci si accorge di come le circostanze abbiano messo in dubbio tutto, persino la sua identità.
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Infatti, Efim si trova a cambiare cognome, città, paese d’origine e a fingere di non essere ebreo. A seconda delle esigenze, lavora come contadino, meccanico, uomo di fatica, agrimensore… In questa dimensione in cui tutto è precario, a Efim restano il ricordo dei parenti lontani, di cui non ha più avuto notizie, amori recenti e fuggevoli e soprattutto grandi amicizie. Se le donne entrano ed escono nella sua vita (e, in effetti, ne incontreremo parecchie), gli amici incontrati in guerra permangono con i loro insegnamenti, i gesti di generosità, i momenti condivisi, anche quando per loro è sopraggiunta la morte o le strade si sono divise. A pochi Efim ha davvero rivelato la sua identità o il suo essere ebreo, perché si è abituato a inventare storie alternative: di pochi ha potuto fidarsi veramente. Il più delle volte, quando si conosce qualcuno, si accumulano menzogne, omissioni, manipolazioni della verità. Tutto, pur di sopravvivere.
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Il suo sapersi adattare alle situazioni più estreme, cercando sempre una via d’uscita e proteggendo la verità di essere ebreo, è una delle qualità più evidenti di quest’uomo. Tuttavia, ciò che Efim compirà per salvarsi non è sempre legale o meritorio, né denota l’eroismo patriottico fatto di grandi slanci e ubbidienza con cui si veniva cresciuti ai suoi tempi in ambito sovietico. Ed è anche per questo che è così difficile per lui aprirsi e raccontare le proprie esperienze:
«Ci hanno insegnato a non fare domande, ma solo a adorare il nostro paese e a temere i suoi leader. È difficile spiegare come orgoglio e paura possano coesistere nel cuore di una persona senza contraddizioni. Io c’ero, eppure ancora non ci riesco. È per questo che non abbiamo mai parlato delle cose davvero terribili, soprattutto se fatte dal nostro stesso governo. Ce ne sono alcune che anch’io ho sempre tenuto per me».
L’autrice in copertina nel numero autunnale della rivista gratuita Il Libraio
E poi c’è un segreto, pesante come un macigno sulla sua coscienza, che non ha potuto condividere neanche con la sua famiglia e che noi lettrici e lettori vediamo prendere forma di flashback in flashback, ben prima degli altri personaggi della storia. Infatti, Sasha Vasilyuk sceglie per il suo romanzo un intreccio elaborato, che accosta piani temporali diversi, in un continuo andirivieni di passato lontano e passato recente. Tempo e spazio variano, sfuggendo alla linearità, come tutt’altro che piana è la vita di Efim e di chi gli sta accanto.
Benché talvolta questa costruzione richieda ai lettori qualche sforzo nel riordinare gli eventi e nel ritrovare nomi e accadimenti, è chiaro l’obiettivo dell’autrice: questo è un romanzo di incontri, ed è proprio facendoci entrare nel turbine di parole, sguardi e addii che possiamo comprendere più da vicino quel vento che scompagina la vita dei giovani soldati.
Romanzo che non glorifica né mistifica le scelte dei sovietici in guerra, Il vento è un impostore ha rappresentato tantissimo per Sasha Vasilyuk e ha richiesto coraggio per pubblicarlo, sapendo che l’autrice sarebbe incorsa in sanzioni da parte della Russia. Eppure, questa sua ricerca di verità risuona inesausta in un’opera che riesce a incrociare la storia concitata di un ebreo alla grande Storia di più nazioni.
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