Mischiando suggestioni provenienti dalla storia familiare e invenzioni romanzesche, “La cena delle anime” di Maria Laura Berlinguer è una saga di famiglie: un percorso in cui due donne trovano sé stesse, il racconto di un amore impossibile… Nella sua riflessione per ilLibraio.it l’autrice si sofferma sugli esploratori nella Sardegna dell’800, sul fascino delle spade votive e su un rito che lega i vivi ai morti…

Gli esploratori, il fascino delle spade votive e un rito che lega i vivi ai morti

Nell’Ottocento la Sardegna non era soltanto un’isola arretrata e ai margini delle grandi rotte. Era una terra sorprendente, capace di affascinare studiosi ed esploratori italiani ed europei. Piccoli paesi come Padria, nel cuore del Meilogu, accoglievano i viaggiatori attratti da una civiltà antichissima: i pozzi sacri, le domus de janas, i nuraghi che caratterizzavano il paesaggio. L’isola, allora, era un enigma da decifrare. Non solo una meta esotica, ma un mondo complesso, diviso tra la rigidità dei latifondi e il desiderio di modernità.

Era anche una terra colta e raffinata, dove le famiglie benestanti ordinavano abiti a Torino e Parigi e discutevano di filosofia e scoperte archeologiche nei salotti privati. Le conversazioni spaziavano dall’orientamento astronomico dei pozzi sacri alla funzione simbolica dei bronzetti nuragici.

La cena delle anime maria laura berlinguer

Tra i protagonisti di quella stagione c’era Vincenzo Dessì, archeologo e collezionista sardo, al quale oggi, il Museo nazionale archeologico ed etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari, dedica un’intera ala. Le sue ricerche hanno consegnato alla storia reperti straordinari, tra cui le tre spade votive nuragiche di Padria: oggetti di raffinata fattura. Inadatte al combattimento, la loro presenza nei luoghi di culto ne rivela il valore religioso o spirituale. E io, discendente di Dessì, sono cresciuta ascoltando da nonno Aldo la leggenda di quelle spade. Da bambina le immaginavo scintillare alla luce della luna, come in un racconto mitico che unisce scienza e magia.

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Tra i luoghi simbolo di questo legame tra scienza e mito spicca il pozzo sacro di Santa Cristina a Paulilatino. Risalente a circa tremila anni fa, con la sua perfezione geometrica e l’orientamento astronomico, stupisce ancora oggi studiosi di tutto il mondo. Qui l’acqua e il cielo si sfiorano, e chi vi scende ha la sensazione di varcare una soglia, entrando in un tempo sospeso.

Se la scienza riporta alla luce pietre e metalli, sono i riti popolari a mantenere vivo il dialogo con l’ignoto. In Sardegna, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, le famiglie preparano ancora, in molti paesi, la cena delle anime, sa chena pro sos mortos: la tavola viene apparecchiata con le tovaglie più belle, i piatti della festa e i dolci fatti apposta per l’occasione, come i papassini. Si crede che la morte non segni la fine della vita, ma l’inizio di un viaggio in cui le anime dei cari continuano a esistere. In quella notte speciale, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia e le anime tornano nelle loro case. Non sono presenze minacciose, ma ospiti familiari, invisibili e benevoli, portatori di consigli e protezione. Un rito antico e poetico che racconta, meglio di qualsiasi cronaca, la continuità tra vivi e defunti, tra passato e presente.

In questo scenario, tra archeologia e mito, si inserisce la storia d’amore di Mimì Oppes ed Emanuele Manca, intorno a cui ruota il romanzo La cena delle anime. Mimì, giovane donna colta e inquieta, vive un matrimonio imposto, in una casa dove la tradizione è legge. Ma il suo cuore appartiene a Emanuele, un bandito affascinante, simbolo di ribellione e libertà. Il loro amore, clandestino e proibito, sfida convenzioni e destini, e diventa esso stesso atto di resistenza. È un amore che brucia e che segna, con il suo epilogo, il destino di più generazioni.

Nel presente, accanto all’archeologia, prende forma un altro livello di lettura: quello della psicogenealogia. Iride Dessì, archeologa e discendente di Mimì, accompagna il lettore in un’indagine che non è solo storica, ma interiore. Con l’aiuto di Piero, psichiatra specializzato in psicoterapia trans-generazionale, scopre come i silenzi e le omissioni di una famiglia diventino cripte che imprigionano segreti e dolore, tramandandoli di generazione in generazione.

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Tutto questo vive nel romanzo: non solo una storia, ma un atto di riconciliazione con le radici. Attraverso l’archeologia, i miti, la psicogenealogia e una storia d’amore, cerco di restituire la voce a una Sardegna colta, inquieta, dove ogni pietra ha una storia da raccontare e ogni leggenda è un frammento di verità.

Scrivere questo libro è stato un gesto di giustizia e di amore: ridare parola alle donne dimenticate, trasformare i silenzi in narrazione, e restituire al pubblico un’immagine autentica e nuova della Sardegna.

Dal libro: “Ogni famiglia ha i suoi segreti. Sono come fardelli. Qualcuno li porta nella tomba, altri rimangono sospesi, in attesa di essere svelati. E finché non lo sono le ombre non spariscono, non possono andarsene”.

Maria Laura Berlinguer e le spade di Padria

Maria Laura Berlinguer e le spade di Padria. Su concessione del Ministero della Cultura – Direzione Regionale Musei Nazionali Sardegna – Museo Nazionale Archeologico ed etnografico G.A. Sanna – Sassari

L’AUTRICE – Nata a Sassari, Maria Laura Berlinguer vive a Roma. Laureata in Giurisprudenza, ha presto lasciato la carriera forense per dedicarsi alla comunicazione e alle relazioni istituzionali. Nel 2016 fonda il sito che porta il suo nome, e oggi è ambasciatrice della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Come si legge nella sua biografia, la sua vocazione, però, è “dare vita a storie, luoghi e leggende meno noti, restituire autenticità alle radici della sua terra, di cui porta sempre con sé il colore del mare, il profumo dell’elicriso e del mirto. La Sardegna non è solo il suo punto d’origine, ma un universo di tradizioni, voci e immagini che si riflettono nei suoi racconti”.

Non a caso, con il romanzo La cena delle anime (HarperCollins Italia), mischiando suggestioni provenienti dalla storia familiare e invenzioni romanzesche, propone una saga di famiglie: un percorso in cui due donne trovano sé stesse, il racconto di un amore impossibile.

Maria Laura Berlinguer nella foto di Livia Selli

Maria Laura Berlinguer nella foto di Livia Selli

Veniamo alla trama: Iride Dessì vive da anni nel continente, lontano da Padria, il suo paese natale, nel cuore della Sardegna. Ma è costretta a tornarvi, per il funerale del padre. Il senso di spaesatezza di chi oramai vive altrove, in un luogo che non è quello in cui è cresciuta. La strana sensazione nel rivedere Piero, l’amico d’infanzia, il prediletto del padre. I sentimenti contrastanti nel ritornare nella grande villa dei Dessì, da secoli i maggiori possidenti di Padria. I rumori nella notte, la sensazione di sentire i fantasmi degli avi. E il tuffo al cuore nel vedere la foto di due donne giovani di un secolo prima, e poi nell’ascoltare i racconti di Tata, la donna che si è occupata di lei dopo la morte della madre, quando Iride era ancora bambina. Racconti che parlano proprio della donna della foto, Mimì Oppes, trisavola di Iride, giovane donna condannata a un matrimonio infelice con Augusto Dessì. Un matrimonio da cui la salvano l’amicizia con Elisabeth Hope, una donna inglese incredibilmente forte e indipendente. E l’amore per Emanuele Manca, il famoso brigante.

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