“La stagione che non c’era” di Elvira Mujčić (scrittrice e traduttrice bosniaca naturalizzata italiana) è un romanzo che racconta di vite travolte dagli avvenimenti della storia: due giovani poco prima dello scoppio delle guerre jugoslave, che vedono scomparire e distruggersi il loro paese e il loro mondo, mentre riemergono odi atavici e nazionalismi esasperati. I destini individuali rispecchiano quello generale, nel racconto della fine dei sogni e delle utopie e dell’inizio della tragedia…
È forse quasi impossibile ricostruire l’inizio della fine. Soprattutto quando a finire è un mondo intero: un sistema politico, una nazione, un progetto comunitario con tutte le sue utopie, le sue contraddizioni, le sue storture.
Il mondo che crolla, la Storia che si stravolge e diventa sangue e odio, una tempesta che trascina e seppellisce tutte le memorie personali e collettive, è quanto vivono Nene e Merima, i protagonisti di La stagione che non c’era di Elvira Mujčić, edito da Guanda.
Il romanzo è ambientato nella Jugoslavia tra il 1990 e il ’91 e non racconta delle guerre ma, appunto, prova a catturare il prima, quando le crepe si sono aperte, diventando via via sempre più grandi e tragiche.
Nene è un giovane con aspirazioni e velleità di artista, che è scappato a Sarajevo per sfuggire all’atmosfera opprimente della provincia e si è immerso nel sottobosco vibrante e bohèmien della capitale, inseguendo insieme agli amici dei vaghi progetti, tra alcool, imprese notturne e performance dissacranti. Merima è una sua coetanea, amica degli anni di scuola, che invece ha scelto la strada della politica. Anche se avverte come tutti gli altri le spaccature profonde che stanno attraversando la società jugoslava crede ancora, in modo sincero e disperato, al sogno della fratellanza dei popoli, di un socialismo che superi le differenze nazionali. Entrambi però, in quell’anno, sono tornati a S., la loro piccola città della Bosnia orientale. Nene portandosi dietro una sensazione di fallimento, di incapacità di comprendere cosa fare di sé, e la frustrazione di esporsi di nuovo all’incomprensione dei genitori e alle maldicenze del paese, che lo considera un tipo strano e poco raccomandabile. Merima ha una bambina piccola, Eliza, dono tanto bello quanto difficile: è una bimba senza padre, nata da un amore stroncato proprio dal riemergere di nazionalismi atavici e rivendicazioni di sangue.
Scopri il nostro canale Telegram

Ogni giorno dalla redazione de ilLibraio.it notizie, interviste, storie, approfondimenti e interventi d’autore per rimanere sempre aggiornati

Intorno a loro tutto, sempre più rapidamente, scivola verso il baratro. Nene “all’inizio non era riuscito a vedere negli eventi di quei giorni qualcosa che lo riguardasse intimamente, poiché non aveva mai creduto che i grandi avvenimenti del mondo potessero entrare nell’animo umano per incidere un cambiamento sincero. Era sempre stato convinto che fossero le piccole, futili e meschine quotidianità personali a fare la differenza nella nostra vita”. E invece, saranno proprio i grandi avvenimenti a risucchiare i due ragazzi e tutti gli altri.

Elvira Mujčić nella foto di Salvatore Madau
Elvira Mujčić è nata nel 1980, è arrivata a Brescia a 14 anni e ha scelto di scrivere questo romanzo in italiano: “Non so se scriverei così nella mia lingua madre o se le mie parole sarebbero trascinate giù da un peso diverso, da un dolore profondo: la mia è una scrittura che prova a stare in volo”. Effettivamente uno dei tratti che più colpiscono di questo romanzo è l’equilibrio tra la tragedia e un senso di levità, di leggerezza: nelle parole e nei pensieri di Eliza, che osserva il mondo degli adulti senza comprenderlo fino in fondo ma intuendone le angosce. Ma anche nella perplessità di Nene, che fa da contraltare allo strenuo attivismo di Merima con la sua convinzione che “la libertà di non appartenere è la più grande forma d’amore per se stessi e per il mondo”.
Dentro La stagione che non c’era scorrono tante vite che si intrecciano, risuonano e cercano inutilmente un riparo mentre si profila la tempesta. Il romanzo assomiglia così da vicino al progetto artistico che a un certo punto Nene prova a coltivare: una collezione di memorie di quanto è stato, da mostrare a un archeologo del futuro per provare a raccontare cos’è stato un intero paese: “Tu credi che un giorno, non so, fra venti o trenta o cinquant’anni, qualcuno saprà che Paese era questo? Cioè, voglio dire, al di là dell’idealizzazione o del disprezzo, com’era davvero? Mi chiedo: ci saranno dei reperti, delle tracce, qualcosa sopravviverà ? E se ci saranno, chi analizzerà i nostri cimeli come li leggerà? Sembreremo dei marziani? O peggio, ci archivieranno come impostori?”.
Scopri la nostra pagina Linkedin

Notizie, approfondimenti, retroscena e anteprime sul mondo dell’editoria e della lettura: ogni giorno con ilLibraio.it

Ed è così che veri protagonisti del romanzo sono gli avvenimenti storici, filtrati attraverso le parole spaventate o incredule degli uomini e delle donne, annunciati dalla radio o dalla televisione (Mjucic ha scelto brani originali tratti da giornali e trasmissioni dell’epoca, e tradotti personalmente).
Ciò che sta accadendo si rifrange in notizie piccole e grandi, in cambiamenti impercettibili e slavine improvvise. Dall’ultimo sussulto di un sogno riformatore di Ante Markovic — per il quale Merima si impegna con un entusiasmo che Nene non riesce a sentire — ai fischi alla nazionale jugoslava da parte del pubblico croato, da coccarde cetniche della Seconda guerra mondiale che spuntano a riunioni di partito a un poliziotto che afferma con sicurezza “va così, se non sei tra la tua gente devi abbassare la testa e soccombere”.
Può interessarti anche
Qualcuno sceglierà di partire, qualcuno di rimanere a S., altri prenderanno altre strade, terribili o strazianti. La stagione che non c’era non seguirà i protagonisti nell’inferno delle guerre jugoslave.
Non sappiamo cosa sarà di loro, chi sarà sopravvissuto, dove li avranno portati il susseguirsi sempre più convulso di decisioni ed eventi. Il romanzo si chiude su un’attesa, un momento di sospensione prima che tutto si faccia buio. Ciò che resta è la volontà di portare in salvo qualcosa, di mantenere vivo un ricordo, la memoria di ciò che è stato. Di osservare le rovine di un secolo che è stato anche il nostro e che parlano a noi, adesso, di inquietudini del presente.
Scopri le nostre Newsletter

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

Fotografia header: Elvira Mujčić (foto di Paolo Falcucci)