Dopo due raccolte di racconti, “Tutto quello che è un uomo” e “Turbolenza”, il nuovo libro di David Szalay, “Nella carne”, nella shortlist del Booker Prize 2025, è un romanzo acuto, che getta un nuovo sguardo, necessario, sulla parabola del maschio contemporaneo. Un’opera capace di esplorare le dinamiche relazionali anche da punti di vista scomodi

Arriva per Adelphi un nuovo libro di David Szalay, scrittore nato in Canada, ma di origini ungheresi, già candidato nella shortlist del Booker Prize 2025.

Dopo due raccolte di racconti, Tutto quello che è un uomo e Turbolenza, un romanzo, Nella carne (traduzione di Anna Rusconi), che assume la forma di una parabola esistenziale della vita di un uomo, nell’accezione di un maschio immerso nella contemporaneità.

Se in Tutto quello che è un uomo chi legge osserva da più punti di vista le dinamiche di interazione tra uomini e donne di età tutte differenti, Nella carne è il racconto di una sola vita, quella di István, dal momento in cui ha 15 anni e si trasferisce con la madre in una nuova città, fino a quando diventa padre e marito. 

David Szalay, autore di "Nella carne"

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La direzione del romanzo si evince già dalle prime pagine: una discussione tipicamente adolescenziale sulle prime esperienze sessuali accende il focus sull’argomento cardine del libro: il costante senso di disagio intorno al sesso che affligge molti uomini.

L’idea del sesso e della possibilità di concretizzarlo, dall’immagine mentale che si forma nella testa all’atto stesso, condiziona da sempre il genere maschile, insinuandosi nella profondità della carne attraverso impulsi incontrollabili.

La carne è il fulcro dell’identità sessuale maschile. Di conseguenza, la mancata fermezza, il mancato controllo della propria mente e degli istinti è la vera debolezza dell’uomo. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, in questo romanzo il protagonista István non esercita un potere maschile sulle donne, ma lo subisce. Da possibile carnefice a vittima di sé stesso

Szalay è capace di raccontare con uno stile di scrittura minimalista i successi e i fallimenti nella vita di István. Le battute laconiche di risposta nei dialoghi e il tono distaccato della voce narrante creano un effetto di straniamento che permettono di identificarsi nello smarrimento esistenziale del protagonista, che osserva il proprio corpo agire da sé. Sembra come se István non sia capace di esprimere a parole la reazione del proprio corpo se non con un “okay”, un lasciapassare che equivale a un “non posso controllare la realtà, quindi lascio che la realtà controlli me”.

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Tutto quello che è un uomo di David Szalay

Riecheggiano le atmosfere cupe, intrise di fatalismo e pessimismo, tipiche della letteratura mitteleuropea, da Kafka a Musil.

Pur utilizzando l’inglese, la scrittura di David Szalay è versatile, risente di un attaccamento alle radici ungheresi e, allo stesso tempo, si appresta a rappresentare universalmente la condizione del maschio occidentale.

Che si trovi a Budapest, Londra o Vienna, István incarna un corpo maschile che è destinato a incontrare un corpo femminile, è una forma di mascolinità primitiva perché riconduce involontariamente le relazioni al mero scambio carnale, non riuscendo a trovarci qualcosa di più profondo.

István si sente in dovere di avere rapporti sessuali con tutte le donne che da lui sono attratte, dall’altra parte lui non sente di provare attrazione per nessuna di loro, ma ogni proposta è un invito a nozze, è l’impulso della carne a comandare.

La parabola esistenziale di questo maschio contemporaneo è costruita su tappe evolutive: all’inizio prevale la totale ignoranza giovanile del proprio corpo, poi dopo le prime esperienze di vita (tra cui la tappa del congedo militare) incomincia ad accumularsi la consapevolezza della condizione maschile. Per ultimo, il confronto padre-figlio e l’accettazione che un altro essere umano debba passare le stesse tappe della mascolinità.

David Szalay nella foto di Jonas Matyassy

David Szalay nella foto di Jonas Matyassy

La vita di István è costellata dall’instabilità: attraverso salti temporali cambia anche il luogo, dall’Ungheria si trasferisce in una grigia Londra odierna, modificando continuamente status sociale: da arruolato nell’esercito al lavoro manuale, fino ad autista personale, ma il lavoro sembra non scalfire la sua condizione esistenziale passiva.

Quando entra nelle vite di una famiglia di ricchi londinesi, l’abbandono di István raggiunge il culmine. Ciò che ne deriva, cioè un figlio, non è che un altro pezzo del percorso fatale a cui un uomo deve sottostare.

La conclusione sembra presagire che la costante di tutte le fasi della vita di un uomo sia la solitudine. Il maschio di per sé è condannato a confrontarsi con l’idea di non poter avere un punto di riferimento all’infuori di se stesso e della propria carne.

Nella carne di David Szalay è un romanzo acuto, che getta un nuovo sguardo necessario sulla parabola del maschio contemporaneo, aggiungendosi a libri come il recente Rifiuto (qui la recensione su ilLibraio.it, ndr) di Tony Tulhatimutte (edizioni e/o) nell’esplorare le dinamiche relazionali di oggi da punti di vista anche scomodi, ma ugualmente degni di essere raccontati.

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Fotografia header: David Szalay, autore di "Nella carne", nella foto di Jonas Matyassy

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