Dov’è oggi il male da esorcizzare, dove ha sede nell’epoca del virtuale e dello spazio de-localizzato, e perché siamo tutti più terrorizzati di prima? Qual è il ruolo dell’arte, letteratura inclusa? Su ilLibraio.it la riflessione di Giuliana Altamura, che torna con il romanzo “L’orizzonte della scomparsa”, e che chiama in causa René Girard, Bauman e un reality di Mtv

Nell’ottobre del 2014, quando ho cominciato a scrivere il mio secondo romanzo, mi trovavo a Parigi e abitavo in uno studio al 23° piano di un palazzo ai margini del 18° arrondissement, in un quartiere africano. Ogni sera, dalle 22 in poi, in strada scoppiava una rissa fra gruppetti di 8-10 persone che si spintonavano e si picchiavano con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, dai vetri di bottiglia agli infissi di legno abbandonati nell’immondizia.

Ero sola e mi ero rassegnata a cenare sempre in casa, guardando qualcosa in streaming nonostante la connessione pessima. C’era un programma su Mtv di nome Catfish, una specie di reality in cui i due produttori, Max e Nev, in ogni puntata aiutavano qualcuno a scoprire la vera identità del suo amore virtuale, che nella maggioranza dei casi si rivelava molto diversa da quella presentata sui profili on-line. Il climax dell’episodio si raggiungeva quando il tizio in questione – fino a quel momento accusato di falsità, crudeltà e ogni genere di nefandezza – era chiamato a rivelare in una sorta di catarsi le motivazioni del suo doppio gioco: si trattava per lo più di ragazzi con gravi problemi di socializzazione, ragazzi che non accettavano il proprio corpo o la propria identità sessuale, che soffrivano di depressione o avevano alle spalle storie difficili e vivevano segregati in una villetta a schiera di qualche sperduto suburbs americano. Non era colpa loro, insomma, se si erano finti qualcun altro. Non era colpa di nessuno.

Mi resi presto conto che guardare Catfish mentre 23 piani sotto di me – nella Parigi elettrica del pre-Charlie Hebdo –qualcuno urlava con un bastone in mano, mi dava un certo egotico sollievo. Quella trasmissione era una sorta di rito 2.0. La funzione del rito, nella notte dei tempi, era quella di additare un colpevole, una vittima sacrificale che si facesse carico del male dell’intera comunità, per poi ucciderla o cacciarla via, in modo tale che anche il male venisse allontanato assieme a lei. Finché, come scriveva René Girard, non si presentò spiazzante la figura di Cristo: la sua morte rendeva chiaro a tutti il concetto che la vittima sacrificale è innocente e che ci salverà tutti proprio in nome della sua innocenza.

Questo discorso è strettamente legato alla nascita del pensiero simbolico e dell’arte. Ci dev’essere stato un momento nella storia, un momento esatto, in cui ci si è resi conto che il sacerdote che celebrava il rito non era un dio, ma impersonava un dio. Ne era un simbolo, nel senso etimologico del tenere-insieme, e ne era consapevole esattamente come ne era consapevole chi l’osservava. Il teatro, in fondo, è nato così. Dal verbo osservare.

Ma dov’è oggi il male da esorcizzare, dove ha sede nell’epoca del virtuale e dello spazio de-localizzato, e perché siamo tutti più terrorizzati di prima? Per dirla col da poco defunto Bauman, il male nel mondo inter-connesso sta proprio nella mancanza di una ragione che ce lo spieghi, nel modo indiscriminato in cui opera. È davanti al suo essere dappertutto e al suo poterci colpire dappertutto che noi siamo tutti quanti innocenti.

Insomma, non è colpa di nessuno.

Qual è il ruolo dell’arte allora, letteratura inclusa? Cosa può fare se non diventare sempre più consapevole del processo che la genera, della propria natura che è poi la nostra? Siamo fatti di disordine e di ordine che si crea dal disordine, e che a esso rimane sempre sotteso: in questo sta la bellezza e l’orrore di ogni nostra impossibilità, compresa l’impossibilità tutta letteraria di dire l’indicibile.

E mentre Max e Nev si lasciavano alle spalle l’ennesima villetta nella provincia del Michigan, io avvertivo le grida fuori dalla finestra disperdersi nella notte della banlieu e,con lo stesso liberatorio senso di comprensione, mi disconnettevo e scivolavo in una paura e in una solitudine che erano soltanto le mie.

Giuliana Altamura

Giuliana Altamura – foto di Valentina Sommariva

L’AUTRICE – Giuliana Altamura, è nata a Bari nel 1984 e vive tra Milano e Parigi. Ha esordito per Marsilio nel 2014 con il romanzo Corpi di Gloria (Premio Rapallo Carige Opera Prima). Nel 2015 un suo racconto è stato pubblicato nell’antologia Quello che hai amato, a cura di Violetta Bellocchio (Utet). Oggi è in libreria con il suo ultimo romanzo edito da Marsilio: L’orizzonte della scomparsa.

L'orizzonte della scomparsa

IL LIBRO – Christian è un pianista talentuoso e tormentato che vive in un grattacielo di Montréal. Ha il televisore acceso su Mtv e sullo schermo c’è Lana, una ragazza di Orlando capace di catalizzare le fantasie più indicibili di chi la osserva. Sta per incontrare il suo amore virtuale, Blaxon. Ma chi è veramente Blaxon? Questo personaggio misterioso  lega le vite di Christian e Lana giocando con i loro fantasmi più segreti nell’oscurità del web. Quando Blaxon scompare, Lana accetta di partecipare a un reality per modelle a Parigi, mentre Christian comincia a indagare su uno strano forum religioso che sembrerebbe collegare tutte le parti in causa. L’orizzonte della scomparsa è una riflessione iper-contemporanea sul virtuale, sul significato dell’arte e sulle inquietudini della realtà che stiamo vivendo: una realtà dominata dal desiderio di controllo e sempre più esposta al proprio lato oscuro.

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