In “Heartland: al cuore della povertà nel paese più ricco del mondo” Sarah Smarsh ripercorre la propria infanzia e adolescenza nelle campagne del Kansas, dove la classe proletaria americana, bianca e cattolica, conduce un’esistenza di miseria, lontana dagli occhi delle città. In un dialogo con la figlia che avrebbe potuto dare alla luce, emergono le figure della madre e della nonna, incastonate in una costellazione di contadini, ubriaconi, orfani e miserabili, simboli di un’America troppo a lungo nascosta – L’approfondimento

La Sarah Smarsh di oggi è una giornalista affermata, ricercatrice presso la Harvard University’s Kennedy School of Government, scrittrice portata alla ribalta dal memoir She comes by it natural, biografia della celebre cantante folk Dolly Parton.

Ma esiste una Sarah Smarsh nascosta, una bambina, ragazza e poi donna che ha vissuto nel cuore produttivo degli Stati Uniti, ma anche nella sua zona d’ombra: la regione meno conosciuta, se non tramite stereotipi di classe e di genere; quella che dagli stessi americani viene chiamata “incrocio dei tornado”, o semplicemente “terra da sorvolare”.

Ma cosa conosciamo davvero del cuore rurale degli Usa?Heartland
Heartland: al cuore della povertà nel paese più ricco del mondo (traduzione di Federica Principi, Black Coffee) affronta faccia a faccia tutti i pregiudizi sui cosiddetti rednecks senza privarli della loro carica veritiera: semplicemente l’autrice si occupa di raccontare tutta la storia, non solo una parte. E per fare ciò ha trovato una propria agenda, una narrazione imprevedibile per fare breccia nel luogo comune.



In primo luogo, chi è il pubblico a cui si rivolge il libro? Sicuramente c’è la classe media americana, quella delle città e delle metropoli, quella globalizzata delle due coste che non conoscono la vita in roulotte, la povertà. In un senso più ampio, tutto il mondo dei lettori è chiamato a conoscere per intero la condizione di miseria dei contadini del Kansas, troppo bianchi per essere considerati neri, ma troppo poveri per essere considerati dai bianchi.

Ma il libro ha un’apostrofe singolare, un destinatario speciale: è la figlia di Sarah Smarsh, quella bambina mai nata affinché non si perpetuasse su di lei il ciclo dei vinti.

“Possono esistere due verità allo stesso tempo. Io sono grata per la mia infanzia, e non la augurerei a nessuno”.

Quella di quest’area degli Stati Uniti è dunque una storia di donne, in particolare di donne che non riescono a evadere dal vortice della vita contadina. Da Betty, instancabile lavoratrice con la sigaretta in bocca, pluri-divorziata con un magnetismo verso assassini, ubriaconi e scansafatiche.

Poi Jane, figlia di Betty e madre di Sarah, autentica ottimista con il senso dell’imprenditoria, ma distaccata nei confronti della propria bambina. L’intera storia, narrata a una bambina fantasma, diventa una figura per sottolineare il dolore della solitudine di un’intera classe, uguale nel dolore a quello di una madre sola. 

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Quello che emerge è un quadro di donne forti e ferite, unite dallo stesso destino: “ciò che nessuno notava mai era che insieme ai doni avevamo ereditato anche i «dispetti», circoli viziosi che per come la vedevo io si tramandavano da anni, se non millenni: i circoli viziosi della povertà. Tra i quali essere a tutti gli effetti una bambina e portare in grembo un figlio”.

La storia di questi personaggi si intreccia inesorabilmente con la storia del Paese dall’ultimo mandato di Jimmy Carter, primo presidente ad aver visto nel materialismo consumista il cancro della sua nazione, attraverso la presidenza di Ronald Reagan: sotto di lui, in particolare, i sussidi statali lasciano spazio al grande investimento per le compagnie.

Le campagne, una volta per tutte, si trasformano in possedimenti agricoli per l’industria.

Si tratta allora di un’autobiografia o di un saggio? In questa sorta di sperimentazione su di sé, la verità non può che essere un compromesso. Ripercorrere la memoria familiare, così come quella storica, è a tutti gli effetti un esercizio di saggezza.

Qual è il valore dei contadini americani? Quale è stato il loro apporto alla crescita del benessere statunitense? Qual è il prezzo da pagare per vivere sotto cieli immensi, vicini alla natura, a contatto con la più sincera e benevola crudeltà umana?

Quello di Heartland è un viaggio verso il centro. Verso il cuore geografico di un paese alla deriva, che proprio grazie alla rabbia dei trailer trash è diventato consapevole delle proprie idiosincrasie. Ma anche un viaggio verso il centro di sé, verso le vicende che hanno reso possibile la realizzazione della propria persona. E con esso, tutto il sacrificio che ha comportato.

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