Tratta dall’omonimo romanzo di Gillian Flynn, “Sharp Objects” è una miniserie diretta dal regista di “Big Little Lies”, Jean-Marc Vallée, con una protagonista che ricorda Rusty di “True Detective”. Nonostante racconti una storia di femminicidio, la serie si colloca in una posizione diversa rispetto a quella vasta gamma di racconti – letterari, cinematografici e seriali – che ruotano intorno al tropo della ragazza morta, affrontando un tema originale e fondamentale: quello della violenza delle donne sulle donne… – L’approfondimento

Per nascondere le parole che si è incisa sulla pelle – sesso, svuotata, verginità, perversa, persa -, Camille indossa solo pantaloni e maglie scure, che non lasciano intravedere parti del corpo. Non parla molto, fuma e beve vodka travasata in bottigliette d’acqua. Lavora come giornalista a St. Louis, ma quando a Wind Gap, la città dov’è cresciuta, viene ritrovato il cadavere di una bambina, decide di partire per trovare una storia da raccontare. Si trasferisce nella sua vecchia casa d’infanzia, una villa con pavimenti d’avorio e carta da parati in seta, dove vivono ancora la madre, il padre e la sorella adolescente che non ha mai conosciuto.

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La miniserie (otto puntate), prodotta da HBO, andrà in onda il 17 settembre su Sky Atlantic ed è tratta dall’omonimo romanzo di Gillian Flynn, autrice di Gone Girl, diventato nel 2014 un film diretto da David Fincher con protagonisti Ben Affleck e Rosamund Pike. Già nel precedente libro, Flynn aveva regalato ai suoi lettori una protagonista fuori da ogni canone: Amy Elliot Dunne era una donna magnetica, che dietro il suo aspetto innocente (era addirittura la musa ispiratrice della serie di libri per bambini creata dai suoi genitori), nascondeva una natura astuta e diabolica. Con Sharp Objects l’abilità dell’autrice si affina ancora di più, presentando un parco di personaggi femminili misteriosi e inquietanti: prima tra tutti Camille (interpretata da Amy Adams), una figura che richiama quella di Rustin Cohle di True Detective, non solo per l’aria martoriata e per il vizio di bere e fumare di continuo. Camille, come Rusty, ha subìto una perdita che ha distrutto la sua vita: sua sorella minore è morta quando lei era era ancora un’adolescente, e da quel momento fantasmi reali o immaginari (che importa?) la perseguitano e non la lasciano dormire. Ma c’è un’altra analogia che accomuna Sharp Objects con la serie di Nic Pizzolatto: anche in questa storia le vittime sono bambini. E un ulteriore elemento le rende ancora più indifese: sono femmine. Un dettaglio che incide notevolmente sulla narrazione, anzi, ne è forse il perno principale, considerando che i personaggi maschili non solo sono pochi, ma hanno anche un ruolo secondario. Infatti, oltre alla somiglianza con True Detective, la serie ricorda, per colori, atmosfere e per vicinanza delle tematiche affrontate, anche Big Little Lies: non a caso il regista, Jean-Marc Vallée, è lo stesso.

Escludere la presenza maschile da una storia di femmincidio è una scelta che colloca Sharp Objects in una posizione diversa rispetto a quella vasta gamma di racconti – letterari, cinematografici e seriali – che ruotano intorno al tropo della ragazza morta. Di questa sfera, solo per citarne alcune, fanno parte Laura Palmer di Twin Peaks e Susie Salmon del romanzo Amabili Resti di Alice Sebold (E/O, traduzione di C. Belliti), ma anche Allison di Pretty Little Liars e Anna Baker di Therteen Reason Why.

In quasi tutte queste narrazioni, l’incidente scatenante è il ritrovamento del cadavere o la sparizione della ragazza ma, dato che la giovane donna viene trovata uccisa fin dall’inizio, la narrazione non riguarda più lei, bensì la ricerca di chi l’ha assassinata. Questo, paradossalmente, non fa altro che rendere la figura femminile importante soltanto nella misura in cui può essere un “catalizzatore per il divertimento di investigare”, come scrive Alice Bolin nel saggio Dead Girls: Essays on Surviving an American Obsession.

Dead Girls

Bolin spiega che in un “Dead Girl Show” la ragazza cessa di essere una persona per diventare solamente un corpo. Un corpo che è “sia un pozzo che un bersaglio per la malvagità sessuale”, un corpo che rappresenta “un’arena neutrale su cui elaborare i problemi maschili”, quasi sempre un corpo di ragazza bianca che è allo stesso tempo oggetto di “cupidigia adorante e rabbia violenta”. La donna, assassinata o scomparsa, non è un essere pienamente formato, ma piuttosto un personaggio vuoto, usato per aiutare gli uomini a risolvere i propri conflitti, interni o esterni.

In uno dei saggi che compongono la raccolta, Bolin sostiene che l’unica via che le donne possono intraprendere per sfuggire al controllo maschile sia la stregoneria. In una società in cui le ragazze sono costantemente spogliate della loro voce e della loro identità, la prospettiva della magia appare come uno strumento di ribellione. È forse questo il motivo che ha reso la figura della strega così affascinante, anche nella cultura pop (specialmente quella degli anni ’90). Le storie di streghe sono, fondamentalmente, narrazioni femministe su donne che rivendicano il proprio potere e riconquistano il controllo in un mondo che tenta di sottometterle. In fondo, cercare una formula o un talismano per compiere un incantesimo, non è molto distante da quello che fanno spesso le ragazze, quando, camminando la sera da sole per strada, sperano di scomparire per non essere viste. In questo senso, per Bolin, la strega diventa l’alternativa al tropo della ragazza morta.

Ma alla stregoneria può esserci un’altra soluzione: la sensualità. Il sesso e la seduzione conferiscono potere, e non è un caso che una donna forte, molto spesso, venga dipinta come una donna attraente e sessualmente libera. Pensando a personaggi di serie tv, non può non venire in mente June di The Handmaid’s Tale, che proprio attraverso la sessualità può ribellarsi a un sistema che invece cerca di castrare qualsiasi forma di erotismo e femminilità. Anche Camille di Sharp Objects conferma questa visione perché è – e soprattutto è stata durante l’adolescenza – l’oggetto del desiderio di tanti. Nel corso delle puntate, in diversi passaggi viene sottolineata la sua bellezza, il fatto che a Wind Gap sia una sorta di leggenda. Forse è anche per questo che la madre, Adora (Patricia Clarkson), la demonizza e cerca di tenerla lontana dalla sorella più piccola, Amma (Eliza Scanlen). Perché Camille incarna un modello di femminilità distante da quello che la donna vorrebbe imporre alle figlie: buone maniere, vestiti di classe e profilo discreto. Adora le tratta (o almeno, ci prova, perché Camille non si lascia piegare, mentre Amma riesce a fingere e a portare avanti praticamente una doppia vita) come se fossero delle bambole, come se fossero oggetti, facendo luce su uno dei temi che rendono Sharp Objects una serie non solo originale, ma anche fondamentale: quello della violenza delle donne sulle donne.

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