“Il sogno, mischiato alla volontà, dà vita all’ossessione”: Pietro Santetti ha lavorato come cavaliere professionista e nel suo primo romanzo, la storia di formazione “Uomini di cavalli”, parla del mondo equestre, poco raccontato dalla narrativa. Su ilLibraio.it concentra la riflessione sul tema del talento

“’Il ragazzo ha talento‘ dicevano, e mio padre allargava il petto incapace di contraddirli, ‘ha talento, ha talento’ continuavano a dire, ma non era vero. Perché il talento non esiste. Non nel modo che intendevano loro, almeno. Non si tratta mai di passione infatti, né di innate capacità: è l’ossessione; è sempre e solo l’ossessione a condurre l’uomo ovunque vada, a dargli una ragione per continuare a camminare, è sempre e solo l’ossessione a convincerlo a non fermarsi quando i piedi sanguinano con una lunga scia rossa alle calcagna. Dovrebbe essere chiaro che il talento non è una questione di muscoli, ma di fantasmi.”

Pietro Santetti foto di Dariusz Jasak (@myfriendario)

Pietro Santetti nella foto di Dariusz Jasak (@myfriendario)

Così reagisce Lucio Nèri, protagonista di Uomini di cavalli, quando additano la sua capacità eccezionale quanto precoce: riuscire a far saltare cavalli problematici, quasi fosse un dono caduto dal cielo. Le stesse persone che guardandolo si riempiono la bocca della parola talento come si trattasse di una qualità fisica innata non sanno però che il vero dono di Lucio è una questione interiore, l’ossessione, ovvero quell’infinita riserva di volontà che fa perseverare nonostante i fallimenti, quella completa assenza di distrazioni dal proprio obiettivo, la convinzione di poter diventare il migliore. D’altronde cosa sarebbe una predisposizione senza duro lavoro? Un’attitudine senza perseveranza? Come potremmo scoprire le nostre vere potenzialità se non puntando sempre più in alto?

Immaginiamo un ex-calciatore mai approdato al professionismo assistere a una partita del Milan e sospirare: “Ah, se solo fossi nato con il talento di Ibrahimović…”.

Immaginiamo un aspirante scrittore leggere Il vecchio e il mare e rammaricarsi: “Ah, se solo avessi il talento di Hemingway…”.

Si arrendono al fatto di non aver vinto alla lotteria del talento. Non considerano che i loro sospiri sono rivolti a persone che hanno scelto di non porsi limiti, non concedersi cedimenti, e che qui sta il loro vero talento. Ci sono milioni di persone fisicamente dotate, particolarmente intelligenti o sensibili, ma ce ne sono pochissime dominate da un desiderio così feroce da cambiare la loro vita e puntarla inesorabilmente verso traguardi talmente ambiziosi da essere invisibili ai più.

Certe strade, per essere percorse, vanno prima immaginate”, dice ancora Lucio.

Come lui Ibrahimović ripete di avere una sua visione, perciò non è intaccato da dubbi, mentre la sua arroganza non è altro che una fiducia in sé fuori dall’ordinario, sintomo della ferrea volontà di essere il più forte calciatore al mondo. Anche Hemingway voleva essere a tutti i costi il migliore, si metteva addirittura in competizione con i morti e rimpiangeva di non poter sfidare Tolstoj sul ring, come se l’esito dell’incontro avesse potuto sancire chi tra i due fosse il più grande.

Il sogno, mischiato alla volontà, dà vita all’ossessione. Ed questo il vero dono di Lucio e del suo migliore amico Ferro, “era l’unica cosa che ci interessava al mondo, non riconoscevamo limiti alla nostra volontà, e in virtù di questo: ce l’avremmo fatta”.

I due diciannovenni hanno un rapporto difficile con le loro famiglie, e per guadagnare l’indipendenza da esse decidono che avranno successo nel mondo dell’equitazione a qualunque costo. Riconoscono nell’altro la stessa determinazione come un marchio. Solo loro possono capirsi, solo loro possono sostenersi, nasce così un’amicizia simbiotica che li porterà a scontrarsi con un ambiente spietato come quello dell’equitazione, a imparare sulla loro pelle quanto il mondo può colpire duro, ma che l’amicizia, quella vera, può riscattare la vita anche nei momenti più bui.

Lucio non è il solo a individuare il talento in un certo tipo di mentalità o tarlo mentale. Basta pensare a LeBron James, uno dei più grandi giocatori di basket esistenti, che da ragazzo si rivolse a uno psicologo sportivo di fama internazionale e come prima cosa disse: “Voglio essere il più grande giocatore di basket nella storia”. E lo psicologo pensò: “Magnifico. Questo è un ragazzo veramente talentuoso”.

Ancora una volta, era la mente di LeBron, non i suoi doni fisici, ciò che l’avrebbe fatto spiccare. A pensarci bene, non è un caso che nell’ultimo decennio gli psicologi sportivi siano diventati il punto di riferimento di quasi tutti gli atleti e squadre professioniste. Con questo non voglio dire che basti un certo tipo di mentalità per eccellere in maniera assoluta. Ma di una cosa sono certo: nell’evidente inconcludenza dell’esistere l’ossessione è un dono inestimabile. Fatevelo dire da un ex-cavaliere professionista che ha avuto la fortuna di ritrovare nella scrittura la sua ossessione. Fatevelo dire da chi se ne è accordo troppo tardi. Dipende da noi avere la curiosità e il coraggio di vedere quanto lontano possiamo arrivare, e anche se non diventeremo i migliori al mondo, non avremo rimpianti, sapremo di aver speso il nostro tempo nel miglior modo possibile. E se non volete farvelo dire da me, fatevelo dire da Lucio, che un talento, o un’ossessione, di sicuro l’ha avuta.

“Ogni cosa fu piena di senso fintanto che i nostri occhi furono pieni di rabbia. Il poi, è un altro discorso. Il poi, non m’interessa. Su me e Ferro ci sono alcune cose da capire, ma questa rimane pur sempre l’unica verità da conoscere. Eravamo arrabbiati. Ed eravamo certi di volere qualcosa. E se ci avessero chiesto cos’è che volevamo, allora noi avremmo risposto: diventare il miglior cavaliere di salto ostacoli al mondo, e avremmo continuato: hai capito bene, ho detto che diventerò il miglior cavaliere professionista che sia mai esistito. Niente scherzi. Stai parlando con un pezzetto di storia. Ecco cosa avremmo risposto. A dieci, quindici o vent’anni. E la nostra voce non avrebbe tremato, perché il nostro futuro era spoglio d’incertezza. E il nostro sguardo sarebbe rimasto convinto, perché quello che volevamo non era un gioco. Era la nostra vita. Ed era bello poter soffrire in funzione di un traguardo. Fusi in un unico obbiettivo. Presuntuosi, determinati e insieme. Voglio dire: avete mai voluto qualcosa con così tanta forza da far scomparire tutto il resto? Se non sapete come ci si sente, allora ve lo dico io: ci si sente parecchio bene. Talmente bene che non dovrebbe esistere altro modo di vivere; se sai di cosa sto parlando. Talmente bene che poi sarebbe più giusto morire. Ma non è questo il punto”.

Uomini di cavalli pietro santetti

L’AUTORE – Pietro Santetti, nato a Firenze nel 1993, ha lavorato come cavaliere professionista in Italia e all’estero fino al 2015. Ha frequentato la Scuola Holden di Torino e quindi si è dedicato alla scrittura.

Uomini di cavalli, il suo primo romanzo (edito da Mondadori), è una storia che mette al centro un mondo che poco si conosce ma che, proprio grazie alla sua specificità, nel libro diventa metafora della lotta per la vita, e fa sentire nella bellezza ferita di un cavallo la smorfia del destino.

Il protagonista, Lucio, ha diciannove anni ed è quello che, nell’ambito dell’equitazione, si chiama cavaliere. Nel suo orizzonte ci sono solo cavalli. Poi ci sono i cavalieri che hanno fatto storia, e c’è l’amico, Ferro, con cui dividere il sogno di vincere. A fronte di tanta ambizione, il padre di Lucio è un intralcio. Intorno il mondo preme: sotto il vigile occhio di istruttori e commercianti di cavalli, si muovono ricchi investitori e le loro figlie. Tutto sembra a portata di mano, anche il sesso, e di ragazze si fa sin troppo facile conquista. Per Lucio e Ferro l’agonismo accende sogni di gloria e l’ansia sempre più forte di emanciparsi dalla famiglia e dalla grevità della provincia. Basta tuttavia pochissimo per precipitare nei giochi di sopraffazione e compromesso di un ambiente spietato, in cui le molestie sulle allieve sono all’ordine del giorno e la violenza sugli animali, se pur amati, è talvolta necessaria per andare avanti, o addirittura per salvarli dal macello. Gli equilibri si spaccano e Lucio, rotti i ponti con il padre e l’amico di sempre, si trasferisce in Svizzera per tentare il tutto per tutto, anche l’amore. La lontananza si potrà mai accorciare? Bastano i primi successi a dare fondamento alle sue aspirazioni? Di fronte al futuro, la giovinezza sembra perdere fiato…

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