Pubblicato nel 1952, un decennio prima di “Lessico famigliare”, “Tutti i nostri ieri” riporta, attraverso lo stile intimo e profondo di Natalia Ginzburg, la testimonianza di una generazione che ha adattato amori e legami alla guerra – La rilettura

Con un esergo potente (And all our yesterdays have lighted fools the way to dusty death. Macbeth V,V, 22-23) Natalia Ginzburg (1916-1991) introduce nel suo Tutti i nostri ieri (Einaudi, 1952) le vite di due famiglie borghesi, vicine di casa, in un arco temporale di dieci anni, che abbraccia la seconda guerra mondiale.

Copertina di Tutti i nostri ieri di Natalia Ginzburg

Un fondo di rassegnazione segna le storie individuali con le quali l’autrice tesse una tela narrativa fitta: privi dei padri, i figli si ritrovano amici, unendo le loro solitudini con spazi di idealismo segnati da dubbi e paure. C’è chi di fronte all’avanzare del fascismo e allo scoppio del conflitto non fa altro che inveire e camminare per casa, chi parte per vedere com’è, chi si spara, per non vedere, e per far vedere che nessuno dovrebbe fare la guerra.

“«Po-litica», Anna pensò. Passeggiava per il giardino, fra i rosai della signora Maria, e ripeteva quella parola fra sé. Era una ragazzina grassoccia, pallida e pigra, vestita d’una sottana a pieghe e d’un pullover azzurro sbiadito, non molto alta per i suoi quattordici anni. «Po-litica», ripeteva pian piano, e adesso a un tratto le pareva di capire: ecco perché Danilo s’era messo a venire così sovente da loro: perché faceva politica con Ippolito e Emanuele.”

Anna è una ragazzina, lo sguardo che segue tutto e immagina chissà quale rivoluzione, barricate e amore eroico. Po-litica è una parola magica, che nasconde promesse. Finisce incinta di un ragazzino viziato e moglie di un uomo trent’anni più vecchio di lei, a badare a una casa lontano dalla sua famiglia.

Nei silenzi di Anna, fatti di sogni includenti, ma pieni anche dei grandi quesiti del vivere, si racconta la fine delle speranze, in una trama quotidiana piena di sentimenti umani per lo più confusi, perché veri.

Tutti i nostri ieri è un romanzo profondamente umano, che nella sua struttura multistrato passa da un personaggio all’altro con un occhio compassionevole e ironico. Ne esce un sommesso e malinconico racconto corale, di piccole storie umane sullo sfondo dei grandi e catastrofici avvenimenti: una storia di ricerca di rifugi, di case come nido e matrimoni come fughe. 

Quando Anna si trasferisce a Borgo San Costanzo, si trova di fronte a un nuovo mondo, a lei sconosciuto, quello contadino. Così diversa dall’ambiente borghese nel quale è cresciuta, la comunità rurale finisce per rivelare le stesse inquietudini, la stessa incapacità di parlarsi e di reagire. Sono drammi banali, paure elementari e conflitti domestici che affiorano in tutti, anche nei momenti più difficili, sotto le bombe o i rastrellamenti. Si muore per mettere in salvo degli asciugamani.

La Ginzburg racconta un mondo di personaggi tristi, soli, un po’ buffi perché descritti con tratti e particolari quasi comici: un ragazzino dai denti aguzzi, un turco che non fa altro che scampanellare, l’ebreo in braghette da tennis, l’amico di famiglia con i mutandoni troppo ruvidi, la giovane ossessionata dal seno piccolo. 

In tempi non comuni, quando la politica entra nelle case, le persone capiscono a malapena, non hanno controllo nella scelta tra ciò che è giusto e sbagliato. Il bene e il male si perdono piccole cose di tutti i giorni, nelle vite di “piccoli insetti pigri” che nulla possono o hanno voglia di cambiare.

“E risero un poco ed erano molto amici loro tre insieme Anna Emanuele e Giustino, ed erano contenti d’essere loro tre insieme a pensare a tutti quelli che erano morti, e alla lunga guerra e al dolore e al clamore e alla lunga vita difficile che si trovavano adesso davanti e che era piena di tutte le cose che non sapevano fare.”

Se è vero che siamo le nostre scelte, questi sono individui che non scelgono nulla, procrastinando, predisposti all’attesa più che all’azione. All’orizzonte hanno tutti la consapevolezza della shakespeariana polverosa morte.

Ma c’è anche la presenza di un bene morale che trascende ogni cosa: Cenzo Rena è il personaggio che incarna l’ideale umano, un’idea di bene, che è fatta di vitalità e generosità, amore per i contadini, ed eroico sacrificio: da iniziale allegra caricatura diventa un simbolo, un protettore dei deboli.

Cenzo Rena intravede il giusto, e persegue il coraggio: è la possibilità che si oppone agli altri personaggi che procedono invece rassegnati, per loro “la vita non è che un’ombra che cammina” (Macbeth).

In questo accostamento di arrendevolezza e audacia Natalia Ginzburg trova la chiave per la sua ricerca della verità nei rapporti umani, con i tutti i loro minuscoli dettagli.

“Emilio allora chiese se era un essere libero chi non pensava. E Cenzo Rena gli disse di non chiedere cose sceme. Era libero chi accettava di vivere quel che c’era da vivere. Era libero chi faceva dei suoi pensieri salute e ricchezza, non chi ne faceva una trappola per caderci strozzato.”

Magistrale racconto, scritto nell’immediato dopoguerra, nel 1952, è costruito come un lungo monologo, praticamente privo di dialoghi, venato dal pessimismo di chi usciva dal conflitto trafitto non solo nell’animo e lascia trasparire il doloroso vissuto dell’autrice, resa vedova dal conflitto: una ferita non rimarginata da cui scaturisce una comprensione sentita dei rapporti umani di fronte alle paralisi della storia, e la forza emotiva di un romanzo da riscoprire.

Tutti i nostri ieri è la testimonianza di una generazione che ha vissuto la guerra, che tocca l’essenza dell’esistenza umana: un decennio prima di Lessico famigliare, qui la vita vera è il fulcro, il linguaggio essenziale e autentico lo stile. C’è già in queste pagine tutta la pacatezza triste che è l’universo della Ginzburg, esemplare nella sua capacità di far dialogare l’intimo con l’universale, e nel dar voce ai comuni dilemmi dell’uomo: una rilettura preziosa, una lezione di semplicità narrativa e di profondità morale.

“Cenzo Rena gironzolava in accappatoio intorno alla casa e respirava il mattino, e diceva che si sentiva felice, stufo da morire di quel paese che si trovava sempre davanti agli occhi, stufo da morire e felice, non capiva come si potesse essere tanto stufi e felici nello stesso tempo.”

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Fotografia header: Natalia Ginzburg Getty Images 20-2-2023

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