Giorgio Ghiotti, poeta e scrittore, ci presenta “Volevamo magia”, esordio di Matteo Quaglia. Il romanzo ritrae con onestà, e senza fare sconti, i giorni rapidissimi e vagabondi in quel momento feroce, commovente e indimenticabile che è l’attimo prima di venire sputati, come su un nastro trasportatore, nella vita adulta…

Intendiamoci prima di tutto su un fatto: Volevamo magia, l’esordio di Matteo Quaglia per nottetempo, con la magia ha davvero poco a che fare. Assente ogni trucchetto, ogni gioco di prestigio. Assente persino (e per fortuna) nella scrittura, piana e sorvegliata, colta senza mai fare sfoggio di sé anche quando – e accade spesso, specialmente rievocando gli anni dell’università – si abbandona al gusto delle citazioni.

Del resto, lo si sa, è una tentazione troppo sublime, nella giovinezza, conoscersi attraverso gli occhi degli altri, siano essi scrittori di fama, registi o ideali politici. A vent’anni dire “leggo Carrère” indica qualcosa di più che un semplice gusto letterario; vuol dire “sono proprio uno di quelli che amano Carrère”, un’attestazione di identità, con la presunzione incolpevole di credere che tutti abbiano letto e amato i nostri idoli.

È quanto accade al gruppo di amici del protagonista, voce narrante del romanzo che ritrae con onestà e senza fare sconti i giorni rapidissimi e vagabondi in quel momento feroce, commovente e indimenticabile che è l’attimo prima di venire sputati, come su un nastro trasportatore, nella vita adulta.

“Mi ero laureato e stavo cercando di capire cosa avrei fatto della mia esistenza. Non gli dissi che se mi ero allontanato dall’ambiente era per troppo amore, perché il troppo amore ti tiene imprigionato nei ricordi, e io sentivo la necessità di evitare con tutto me stesso ricordi di una vita che non si sarebbe mai più presentata così perfetta”, scrive il narratore. Eppure, finiti gli studi, le ombre di quegli anni si allungano sulla sua nuova vita, i ricordi lo acciuffano e i fantasmi lo stanano, facendo la loro comparsa sullo schermo di un computer, un pomeriggio inatteso.

 Volevamo magia matteo quaglia

Il protagonista, dopo la laurea, trova impiego (uno dei molti impieghi che sono più dei ripieghi in attesa che il futuro si compia rivelandosi all’altezza delle nostre aspettative, tradendole il più delle volte) in una compagnia assicurativa che da alcuni mesi sta monitorando una serie di incidenti sospetti, casi rimasti insoluti che stanno lentamente dissanguando le finanze della società.

Quando in uno di questi resta coinvolto Piero, ritrovato senza vita nell’auto di Ludovica insieme a un gatto nero (simbolo o emblema?) vivissimo, il rovello del passato inizia a lavorare freneticamente nella memoria del narratore. Piero, Ludovica: risponderebbero, ci fossero ancora, all’appello dei presenti negli anni di case in affitto e bevute notturne e proiezioni di cineforum dell’università. Quando Piero muore nell’auto di Ludovica, la ragazza che “trasforma gli uomini in gatti”, amore anelato e mai raggiunto sempre in debito di soldi con qualcuno del gruppo, il protagonista inizia a riallacciare le fila della sua vita – e qui il romanzo contamina la materia narrativa con tracce di noir e di giallo, iniettando nei lettori omeopatiche dosi di inquietudine –: perché, senza lasciare tracce e guardandosi bene dal fornire spiegazioni, un giorno Ludovica è scomparsa senza salutare nessuno degli amici di allora? Cosa ne è di lei adesso? E perché il corpo di Piero è stato rinvenuto nella sua auto in compagnia di un gatto?

Non c’è magia, ho detto, in questa storia (e infatti, già dal titolo, la si invoca e la si pretende); ma c’è l’incanto. Quello di chi, fedele a un’età irredenta della vita, appena approdato ai trent’anni senza adeguato equipaggiamento, privo di istruzioni, si guarda intorno come l’abitante di una terra spopolata. È nello sguardo del protagonista che va ricercata la funzione trasfigurante, persino ossessiva, del catalogo: mentre studia carte e documentazioni di quegli incidenti che rimandano a figure di attori orbitanti attorno al cinema indipendente “neo-horror del Nord Est”, il narratore si convince di vedere (suggestione o verità?) in quei mediometraggi la figura di Ludovica, e, mentre ne ricostruisce i passi e le vicende più recenti con l’aiuto di Bottiglieri (anima complottista dei tempi del cineforum e della rivista di letteratura Fucilazione), vede dispiegarsi sotto i suoi occhi una storia più adatta a un true crime che a una banda di investigatori improvvisati dotati di eccessiva fantasia.

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È pericoloso smuovere il terreno delle vite altrui. Alla fine si resta scottati dalla sconcertante, ovvia consapevolezza che ci è impossibile conoscere l’intero che è l’altro. E se non ci si sveste in fretta della nostalgia del “come eravamo” (un sentimento struggente che allunga come un elastico, in un gioco di illusione prospettica, gli sparuti anni della giovinezza) si rischia di ritrovarsi le giornate infestate da fantasmi. I fantasmi dei nostri desideri. Se poi quegli spettri iniziano ad abitare (ingrati coinquilini) le nostre case, a scortare i nostri passi in una città come Trieste, per sua natura fantasmatica, liminare, approdo e fuga di ogni anima di frontiera, lo scenario si fa persino più confuso, mescolando insieme voci, congetture, ipotesi con la realtà dei fatti. Una sottilissima follia che avvolge le menti. “È colpa del vento, il troppo vento che infuria su Trieste. Ti dà alla testa, è perfino capace di farti perdere la ragione, allo stesso modo dell’amore, o della rabbia.”

Componendo il suo romanzo d’esordio con una lingua che è il presente indicativo dello stare al mondo, Matteo Quaglia racconta con crudele esattezza il senso di smarrimento provato quando, creature d’incanto, ci troviamo a fare i conti con la fine della magia. O la fine dei vent’anni – le due cose spaventosamente si somigliano.

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L’AUTOREGiorgio Ghiotti (Roma, 1994), poeta, scrittore, vive tra Roma e Milano, dove studia italianistica contemporanea e collabora con l’editore Bompiani. Ha esordito nella narrativa con la raccolta di racconti Dio giocava a pallone (nottetempo, 2013) e nella poesia con Estinzione dell’uomo bambino (Perrone, 2015). Ha inoltre pubblicato il romanzo Rondini per formiche (nottetempo, 2016) e il saggio narrativo Via degli Angeli (Bompiani, 2016) con Angela Bubba. Tra i suoi ultimi libri ricordiamo, per la poesia, La città che ti abita (Empirìa 2017) e il saggio Costellazioni (Empirìa 2019).

Casa che eri ghiotti

Hacca Edizioni ha appena pubblicato il suo nuovo libro, Casa che eri, “un ritratto feroce di una generazione in bilico”, un romanzo che “esplora lo spettro sentimentale dell’uomo, dalle vette sino agli abissi”, e che parla di amicizia, gelosia e solitudine.

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