a Wilbur Smith in occasione dell’uscita in prima mondiale di Figli del Nilo ISBN:8830416614

Wilbur Smith non si trattiene mai dal manifestare a fondo il piacere che prova ogni volta che viene in Italia. Gli piacciono l’atmosfera calorosa e vivace, l’abbigliamento – soprattutto camicie e scarpe –, il cibo. E, certamente non da ultimo, lo straordinario successo dei suoi libri nel nostro paese, che ne fanno uno dei luoghi dove è più letto nel mondo. Come si spiega? Se lo chiede lui stesso. “Che cos’è veramente importante per il successo?” mormora tra sé, e l’unica risposta che trova è: “Una straordinaria fortuna”.
Non a caso, ancora una volta il suo nuovo Figli del Nilo viene pubblicato in anteprima mondiale nella nostra lingua. Il lancio in Inghilterra avverrà soltanto in aprile, e in seguito quelli in Australia e negli altri paesi.
Perfettamente consapevole dell’importanza che ha il suo rapporto con il pubblico, è molto contento di rispondere a domande che gli vengono poste non da un giornalista ma da InfiniteStorie.it per conto dei suoi lettori italiani.
Ecco quindi le domande e le risposte.

1. Non ho mai letto un suo romanzo. Se lei me ne potesse consigliare uno solo, quale mi indicherebbe? E perché? (2 visitatori)

È molto difficile rispondere. Ne ho scritti 28, sono tutti figli miei, o perlomeno del mio lavoro, e li amo tutti alla stessa maniera. Inoltre, per consigliare un libro è indispensabile conoscere i gusti del lettore a cui si rivolge il consiglio, che tipo di genere o ambientazione preferisce. Per esempio, se il lettore è un amante della grande avventura, non avrei esitazioni a consigliargli di cominciare dal mio primo romanzo, Il destino del leone. Se invece gli piacciono i grandi affreschi dell’antichità storica, con mito, misticismo, magia (e naturalmente l’avventura, che è una componente costante della mia narrazione) gli suggerirei di cominciare da Il dio del fiume.

2. In una sua intervista ho letto che lei ha visitato molti dei luoghi descritti nei suoi romanzi. Quale le è particolarmente caro? E perché? (Cristina)

Non potrei nemmeno scrivere di un luogo che non conosco. Nel raccontarlo, ho per così dire bisogno di vedermelo davanti agli occhi. Quindi ho visitato e percorso con gli occhi bene aperti tutti i luoghi in cui ho ambientato i miei libri. Ogni luogo presenta un suo fascino particolare, un suo particolare motivo di interesse, che lo scrittore ha il dovere di penetrare e svelare. Amo dunque in particolare l’Egitto, crocevia delle culture dell’antichità e culla della nostra civiltà. Ma i luoghi che occupano un posto senz’altro speciale nel mio cuore sono quelli dove sono nato e cresciuto, e dove mi rifugio ancora adesso quando ho bisogno di quiete. I grandi spazi dell’Africa del Sud. Infatti ci tornerò fra una decina di giorni, al riparo dal chiasso del mondo, per prepararmi al tour de force dei lanci del nuovo romanzo nei paesi di lingua inglese. Voglio controllare di persona se è vero che, nella mia tenuta sudafricana, le varie specie di animali selvatici che vi ho raccolto e vi proteggo in libertà sono in magnifica “fioritura”, come mi assicurano le persone che le accudiscono. Negli ultimi mesi sembra che sia piovuto molto, e per l’Africa la pioggia è più che mai la sorgente della vita, del benessere.

3. Ogni volta che scrive un nuovo libro, ha già una traccia dell’intera vicenda o la inventa a mano a mano che procede nella stesura? (Ornella B.)

Ogni nuovo libro mi si presenta davanti come un grande mare da navigare. So che ci sono alcune isole dove dovrò per forza fermarmi, ma non posso sapere fin dall’inizio quale sarà l’itinerario che me le farà raggiungere e poi mi farà proseguire da una all’altra. Sarà l’ispirazione a dettarmelo. All’inizio penso di sapere quale sarà la meta finale, ma non è affatto detto che siano la stessa storia nel suo svilupparsi, gli stessi personaggi con le loro azioni, a consigliarmi, persino a impormi, una meta diversa da quella che avevo progettato all’inizio. Insomma, a farmi deviare verso un finale diverso.

4. Tra i Courteney di Monsone e quelli del Destino del Leone c’è un vuoto temporale di circa un secolo. Ha intenzione di colmare quel gap in uno dei suoi prossimi romanzi? (Un visitatore)

Il grande progetto complessivo è quello. Completare il ciclo. Ho sempre un grande interesse per quel filone, non da ultimo per la terra in cui esso si sviluppa, la mia terra. Quindi cercherò senz’altro di riempire quel vuoto. Ma non sono in grado di dire quando lo farò, se con il prossimo libro o fra due o magari tre. A governare queste cose è sempre l’ispirazione.

5. Lei si ritiene più “Figlio dell’Africa” o “Figlio del Nilo”? (Roberto e Mariella Luminati)

Senz’altro figlio dell’Africa. Ma il Nilo è una grande parte dell’Africa. Come ho già detto, sta con tutto l’Egitto alla base della nostra cultura e della nostra storia (e non soltanto delle nostre).

6. Quali erano le sue letture da bambino? L’hanno influenzata nella scelta di scrivere romanzi d’avventura? (5 visitatori)

Leggevo tutti ciò su cui potevo mettere le mani. Credo di avere letto tutti i libri della biblioteca della mia scuola. Ma naturalmente, e forse inevitabilmente, privilegiavo il tipo di libri verso i quali mi portava il mio spirito, quello stesso spirito che un giorno mi avrebbe spinto verso la scrittura di romanzi d’avventura. Tutti i libri di Henry Rider Haggard, per esempio: Le miniere di re Salomone, e gli altri. Quelli dei grandi esploratori dell’Africa, alla Stanley. Mi hanno di sicuro influenzato profondamente, ma credo non fosse un caso se mi sentivo particolarmente attratto verso di essi.

7. Cosa ne pensa delle scuole o dei manuali “per diventare scrittori”, come quello scritto da Stephen King? (3 visitatori)

Ho ovviamente visto il libro di King e so del suo successo, ma non l’ho letto. Scuole e manuali di scrittura hanno sicuramente la loro funzione, ma non credo che nessuno dei grandi scrittori classici se ne sia mai servito. Credo fermamente che la migliore “scuola di scrittura” sia sempre stata e continui a essere la lettura, lo studio dei libri degli altri. Buoni o mediocri che siano, c’è sempre qualcosa da imparare.

8. Che rapporto ha con le nuove tecniche elettroniche (libri on-line, ebook eccetera)? Cambieranno il modo di fare il romanzo? Lei che cosa usa per scrivere? (yazar)

Non un grandissimo rapporto, anche se ne ho il massimo rispetto. Quella che viene detta “new economy’ è un fenomeno di grande e totalizzante importanza, ed è inevitabile che alla lunga vi debba rientrare anche il libro. Ma il mio interesse si ferma lì. Appartengo a una generazione diversa, una generazione per la quale rimane fondamentale il vecchio, buon libro di carta. Fino a qualche anno fa, non soltanto scrivevo con la mia fida penna, ma mi sono spinto al punto da dichiarare che non l’avrei mai abbandonata. Però poi, esattamente dalla stesura del Dio del fiume, mi sono dovuto smentire: ho imparato a usare un PC e non ho potuto non apprezzarne la straordinaria utilità e comodità. Non posso dire di amarlo svisceratamente, ma certamente non potrei più farne a meno. Come ho detto, appartengo a una generazione diversa, ma vivo in questo nostro tempo.

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