In un mondo diviso nella lotta per il controllo dell’acqua, un ingegnere idrotecnico ripercorre le vicende della propria famiglia, alla ricerca del padre misterioso e della sorella amata. Così, risalendo e discendendo delle correnti incontrollabili, il destino del singolo si perde nei flutti, come quello dell’umanità intera… – Alla scoperta del romanzo fluviale dello scrittore austriaco Christoph Ransmayr

Il Maestro della Cascata non esiste più. Ora che, in questo mondo, i ghiacciai si sono disciolti e l’acqua dolce è diventata la risorsa più ambita del pianeta, il suo non è – come nel passato – un ruolo sacro. Il suo è un ruolo politico.

In questo romanzo fluviale dello scrittore austriaco Christoph Ransmayr (Feltrinelli, traduzione di Margherita Carbonaro) l’occhio viene portato verso il confine di un mondo estremo, panorama già esplorato in La montagna volante (2006) e Cox o il confine del tempo (2018). Eppure, in qualche modo, lo scenario che ci troviamo davanti ha l’aspetto di una distopia vicina, di un’apocalisse annunciata dalle riviste scientifiche.

Il maestro della cascata

Il protagonista svolge uno dei pochi mestieri che permetta ancora di viaggiare in un mondo segmentato dai conflitti per l’approvvigionamento dell’acqua. É un ingegnere idrotecnico, un sapiente collaudatore di dighe e di chiuse. Mentre si trova sulle sponde del Rio Xingu, dove gli indigeni difendono l’acqua amazzonica dal monopolio del cartello, la sorella lo avverte di un tragico incidente.

A causa di un errore fatale loro padre – il Maestro della Cascata – ha causato la morte di cinque persone, precipitate nel fragore assordante del Fiume Bianco. E qualche giorno dopo, in circostanze incomprensibili, anche il padre è finito nella bocca delle rapide. 

Quello che fino ad ora era solo un ricordo lontano, torna di colpo a essere una presenza fantasmagorica: un padre esemplare ma iroso, uno spirito malinconico e ossessionato dalle acque impetuose del fiume. Come è possibile credere che si sia trattato di un incidente?

Inizia così un viaggio che non è solo a ritroso nella memoria, ma che retrocede in zone geografiche familiari, in spazi che difficilmente si possono collocare al di qua o al di là della linea del vero. Troviamo così una contea che controlla il corso del fiume Elba, l’isola indipendente di Cherso, sentiamo parlare di nuovo di guerre dalmate e di coloni veneziani.

In questo scenario dove l’abbondanza di acqua dolce fa da contraltare alla scelleratezza umana,  il protagonista torna sulle tracce della propria famiglia.  Il padre assassino, la madre migrante ed esiliata, la sorella Mira, unica persona che abbia mai amato. Se in Cuore di Tenebra la discesa nel fiume simboleggia la catabasi verso l’io primordiale, nel Maestro della cascata richiama invece l’impossibilità di opporsi alla potenza cieca della natura e – in egual modo – a quella dei rapporti umani.

Un’immagine, più di tutte, sembra innalzarsi a chiave di lettura dell’intera opera. Si tratta della descrizione del fiume Tonle Sap, che una volta all’anno inverte la propria rotta

Si fermava, come se la vicinanza dell’oceano facesse paura, si acquietava, restava immobile – e per la pressione del Mekong cominciava a scorrere all’indietro, piano e inarrestabile, verso le sue sorgenti, per mesi, finché al termine della stagione delle piogge la possanza del Mekong calava e il Fiume dolce, come se riprendesse coscienza, invertiva nuovamente il suo corso distogliendosi dalle sue sorgenti e dal passato, e tornava a volgersi al mare e al proprio dissolversi“.

Proprio come il fiume cambogiano la scrittura mira al futuro, al finale sconvolgente, ma spesso vira, torna indietro, disegna una serpentina di amori impossibili, di crisi collaterali. E al lettore, che cercava una distopia dell’ambiente, viene inflitto il genere peggiore: la distopia umana. 

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