Isabella Santacroce torna con “Magnificat Amour”, una moderna commedia umana che procede intrecciandosi con molte vicende autobiografiche dell’autrice” – Su ilLibraio.it le prime pagine del romanzo

Non è semplice sintetizzare il percorso autoriale (ed editoriale) della scrittrice Isabella Santacroce.

Nata a Riccione nel 1970, dopo aver frequentato il DAMS di Bologna Santacroce debutta nel 1995, per Feltrinelli, con Fluo, che inizia la cosiddetta “trilogia dello spavento”, proseguita con Destroy e Luminal.

L’autrice ben presto è accostata ai “Cannibali“, anche se non è presente nella citatissima antologia del 1996 (Gioventù cannibale, uscita per Einaudi Stile Libero). Nel 2001 il passaggio a Mondadori, prima con Lovers, e poi con Revolver (2004) e Dark Demonia (2005, illustrato dell’artista Talexi). Nel frattempo, tra le altre arriva l’interessante collaborazione con Gianna Nannini per alcuni suoi testi.

Altri libri importanti sono stati Zoo (2006) e V.M.18 (2007), editi da Fazi.

Nel 2010 Rizzoli propone Lulù Delacroix, e nel 2012 Isabella Santacroce esce per Bompiani con Amorino, che chiude la trilogia “Desdemona Undicesima” (Amorino è anche al centro di una polemica con il Premio Strega, da cui il romanzo resta escluso).

Nel 2015 il ritorno alla Mondadori, con Supernova, che dà inizio a una nuova trilogia.

Fino a quando, nel 2018, la scrittrice decide di aprire la propria casa editrice, Desdemona Undicesima Edizioni, con cui pubblica una nuova opera, La Divina (acquistabile esclusivamente online) e ripubblica i suoi precedenti romanzi in edizione numerata e limitata, per poi avviare il progetto Versus – Autobiografia di un anno della mia vita.

isabella santacroce Magnificat Amour

Ora arrivano Il Saggiatore e Magnificat Amour, romanzo di quasi 500 pagine in uscita per il Saggiatore (editore che ha da poco proposto anche Pulsar, il nuovo libro dello scrittore e poeta Aldo Nove, oltre a una nuova edizione di Woobinda, esordio di culto datato 1996 dell’autore che, va ricordato, era presente nella già citata antologia dei “cannibali”) e dedicato “a santa Faustina Kowalska e a Babette Bijoux”.

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E veniamo a Magnificat Amour: Lucrezia e Antonia sono cugine, ma non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra. La prima è bellissima, dedita a una cura morbosa del corpo e “maestra dell’immondo, eroina di una vita di scempiaggini”. La seconda è bruttina, trascurata da tutti, “uno scarabocchio con l’incarnato olivigno” che a ventisette anni non ha ancora baciato nessuno. A irrompere nelle loro esistenze contrapposte, anche se legate dalla stessa necessità di riscatto, sarà Manfredi, un pianista di trentadue anni che si muove nella realtà come un fantasma, forse perché da bambino è stato un prodigio, ma oggi “nel suo sguardo ci sono secoli di luce su strapiombi di desideri mai avverati”.

Poi c’è suor Annetta, che Lucrezia conosce in una chiesa al termine di una notte di eccessi, una donna dalla purezza travagliata che sta scrivendo un libro intitolato Verso Dio e sembra aver capito che la più grande richiesta d’amore coincide con il peccato.

“Tra zie ex miss Cinema, parenti metafonisti, poeti alcolizzati e untuosi milionari, tutti in bilico tra autoesaltazione e martirio, i protagonisti di questa storia sembrano incarnazioni di voci paranormali che si manifestano in tempi e in luoghi diversi, ma prodotte dallo stesso misterioso ventriloquo”, si legge nella presentazione, che parla di “un romanzo-monstrum di grande esoterismo, una moderna commedia umana che procede intrecciandosi con molte vicende autobiografiche dell’autrice“.

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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, le prime pagine del libro:

Praesentia Lucretiae

Ho un cuore da un euro in una pochette Hermès da quattromila.
Di questa luce sono il ritratto, una fiammata di buio.

Praeterita Lucretiae

Non posso dirmi dall’infanzia infelice, mi volevo somigliante a un’attrice che ammiravo, bambina per me incantevole dalle movenze graziose. Di lei imitavo il sorriso, la testolina che compiva una lieve vibrazione, l’esuberanza intrattenitrice di quell’adorabile artista prodigiosa.
Sono nata in una famiglia votata alla bellezza per volere di mia nonna dalle nobili origini, rossa di capelli fino alla tomba, impeccabile. Aveva asservito tutti i consanguinei ai suoi codici estetici, nostra regina dolce e dispotica, una sovrapposizione di opposti.
Pativa per Antonia, mia cugina, sua nipote, figlia della sorella di mio padre, ex Miss Cinema genitrice di questo sgorbio fotocopia del marito, uomo attempato non di certo attraente, da lei sposato per goderne la ricchezza. Possedeva industrie, lavoratore indefesso, un vago retrogusto d’eleganza nell’insieme, talmente taciturno da sospettarlo muto, sfruttato dalla moglie e nefasto nel donare alla figlia il suo aspetto. Per mia nonna era sua la colpa, un dispetto, e se fino ad allora ne aveva scusato la bruttezza perché abbiente, poi non è più riuscita a perdonarlo.
Una famiglia di creature affascinanti veniva così nuovamente sfregiata dalla comparsa di quello scarabocchio con le occhiaie scure già a sette anni, l’iride di un verde marcito, l’incarnato olivigno, e l’imponenza di un gran nasone che pareva la gobba di Leopardi avesse trovato sul suo volto memoria.
Mia nonna penava vedendola crescere implacabile, immune a ogni cura, a ogni fiocco, riccio, abitino vezzoso che su di lei assumeva sembianze grottesche, aggravandone le disarmonie. Si confortava rimirandomi estasiata, il mio volto nelle sue mani carezzevoli, quanto sei incantevole, un mantra.
Capitava si sfogasse dicendosi addolorata per quell’altra, che forse però, chissà, sarebbe migliorata con il tempo, e invece niente, non si avveravano i miracoli. A quattordici anni la sua bruttezza aveva raggiunto vette da vertigini, tutto in lei si era amplificato come per opera di una lente impietosa, e un’acne volgare a deturparle la pelle completava il misfatto.
La Gnu, così era stata battezzata dai suoi coetanei adolescenti, che vedendola emettevano quel verso disegnando al contempo con le mani un’invisibile proboscide. E se lei ne soffriva, io godevo la fortuna di esserne il contrario.
Lei brutta e io bella, lei introversa e io allevata dall’attrice televisiva strabiliante. Già in tenera età ero solita la domenica esibirmi dopo il pranzo, il mio pubblico i parenti. Creavo sketch d’effetto, qualche passo di danza, moine, piroette. Ero meravigliosa, terrificante. Ricordo gli occhi verdastri di mia cugina osservarmi prossimi al pianto. Lei ignorata. Io sotto le luci della ribalta.

(continua in libreria…)

Fotografia header: Isabella Santacroce, autrice di Magnificat Amour

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