“Ti ameranno”, nuovo libro di Meg Howrey, racconta una storia di tradimento, arte e ambizione, ambientata nel mondo del balletto, a New York durante la crisi dell’AIDS degli anni ’80 e nella Los Angeles di oggi – Su ilLibraio.it un estratto, che comincia così: “Nessuno vuole che diventi una ballerina…”

Il sogno dell’adolescente Carlisle Martin è quello di diventare una ballerina professionista, proprio come sua madre. Confinata in Ohio, vede suo padre Robert poche settimane l’anno, solo quando visita New York e il Greenwich Village, dove l’uomo vive col suo nuovo compagno, James. È proprio James, uomo brillante ma problematico, a trasmettere a Carlisle tutto ciò che ha di più caro nella vita: la letteratura, la musica e, sopra ogni cosa, la danza.

Quello che Carlisle vorrebbe più di tutto però è essere invitata a rimanere con loro, però non solo questo non accade, ma qualcosa crea fra padre e figlia una frattura profonda e insanabile.

Quasi venti anni dopo, quando Carlisle è una donna adulta che ha rinunciato al suo sogno per diventare invece una coreografa, riceve una telefonata che la costringe a rivivere quell’estate in cui il suo rapporto con il padre fino allora così adorato si è spezzato e le permette di vedere con occhi nuovi come la propria giovinezza abbia influenzato la persona che è diventata.

Divisa tra il risentimento e l’amore, Carlisle dovrà dunque prendere una difficile decisione e scegliere se perdonare Robert per averla esclusa dalla vita sua e di James o rimanere nella bolla di lontananza e risentimento verso il padre e tutto ciò che poteva essere e non è stato.

Quale è il prezzo del perdono, dell’ambizione e dell’amore? È la domanda al centro di Ti ameranno (Atlantide, traduzione di Clara Nubile), l’ultimo romanzo di Meg Howrey. L’autrice, ex ballerina classica, ha firmato romanzi come The Wanderers, The Cranes Dance e Blind Sighte, ed è co-autrice dei bestseller City of Dark Magic e City of Lost Dreams, pubblicati con lo pseudonimo di Magnus Flyte.

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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Nessuno vuole che diventi una ballerina.

Dai cinque agli undici anni, mi concedono il sogno di fare la ballerina, senza opposizioni. Ovvero, mia madre si lamenta che sto “diventando troppo alta per la danza” – letteralmente – ma quando ci trasferiamo da Cincinnati a un quartiere periferico di Dayton, smette di considerare la scuola di danza locale una minaccia. La direttrice è una donna gentile che ha studiato danza per anni. A volte, a casa provo a mostrare i passi a Isabel. Non funziona. Mi corregge eccessivamente, e quando protesto, si limita ad annuire in un modo educato che trovo ancora più scoraggiante. Ci rifugiamo nei nostri angolini.

Mio padre dice che dovrei fare ciò che mi rende felice. James dice che la felicità non è quella cosa che le persone pensano. James capisce, ma non è mio padre, né non vuole esserlo. «Se tu fossi qualsiasi altra ragazzina, Carlisle, sarebbe tutto un po’ melenso. Per fortuna, sei bravissima a prenderti cura di te stessa. Come un gatto. Che legge». Lui adora i gatti e i libri. Questo paragone mi rende orgogliosa.

Mia nonna continua a badare a me durante questi anni, mentre Isabel lavora, prende la triennale e poi comincia la scuola di fisioterapia. Mia nonna non proietta su di me le ambizioni che nutriva per sua figlia. Né mia nonna né mia madre hanno intenzione di “rivivere tutto quello”. Se voglio andare a lezione di danza, bene. È un’ottima disciplina, faccio esercizio, e la danza mi aiuterà a gestire le mie braccia e le gambe lunghe.

Mio padre e James, soprattutto James, sono molto più interessati ai miei progressi. Quando vado a trovarli a New York, assistiamo sempre agli spettacoli di danza o guardiamo i video. James mi consiglia quale ballerino osservare, e perché. «Presta attenzione a come corre sul palcoscenico Alessandra Ferri. Non vedrai nessuno di più elegante». Nella cucina di Bank Street, a volte mi mostra un passo, una posizione del braccio. A mio padre piace guardarci.

«Ma è magnifico, Carlisle».

Sono capace di danzare. Seguo gli insegnamenti, me li ricordo. A scuola di danza, raggiungo sempre il livello delle allieve che hanno diversi anni più di me, finché non ci sono più livelli da raggiungere, ma ho solo undici anni. La mia maestra suggerisce a Isabel di considerare corsi nazionali che offrano una preparazione più rigorosa. «E sono sicura che tu sei capace di scegliere i migliori», dice in tono rispettoso. Sa chi è mia madre, ovvio. Isabel può considerarsi prima di tutto una madre, e una fisioterapista come seconda cosa, ma quando viene a prendermi a scuola di danza, i movimenti dell’anca diventano più pronunciati, il collo si allunga di qualche centimetro. Una ballerina di Balanchine.

Ho dodici, tredici, quattordici anni. Gli anni in cui la danza può diventare la tua identità, per fortuna. L’alternativa è l’adolescenza. La danza, almeno, ha delle regole che puoi capire.

Per la danza è necessaria una devozione assoluta. Sembra ovvio, ma i parametri di questa devozione non lo sono. La devozione non riguarda precisamente l’amore. Un grande ballerino ha bisogno di una misteriosa alchimia di umiltà e ossessione. È una questione di principi morali.

Io ce l’ho, tutto questo? Non proprio. La danza è la forma giusta per contenere i miei pensieri, cosa mi succede quando c’è la musica. È facile per me immaginare, sognare me stessa nella danza. A lezione, resto sempre sorpresa quando mi sforzo per fare qualcosa, perché nella mia testa è tutto chiaro. Dovrei impegnarmi ancora di più. A volte, mi limito a sognare ancora di più. Non mi rendo quasi conto che è ciò che sto facendo. Credo di essere devota.

(continua in libreria…)

Fotografia header: Meg Howrey, nella foto di David Zaugh

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