Molti dubbi riguardano l’uso delle congiunzioni, o meglio dei connettivi, cioè di tutte quelle forme (preposizioni, congiunzioni, certi avverbi, certi pronomi, certe locuzioni) che servono a tenere insieme un testo, a renderlo più fluido, coeso, coerente… Su ilLibraio.it il capitolo dedicato ai dubbi sulle congiunzioni dal libro “Errori, orrori, regole e falsi miti dell’italiano contemporaneo”, a cura di Fabio Rossi e Fabio Ruggiano

Quale congiunzione?

di Fabio Rossi e Fabio Ruggiano

Molti dubbi riguardano l’uso delle congiunzioni, o meglio dei connettivi, cioè di tutte quelle forme (preposizioni, congiunzioni, certi avverbi, certi pronomi, certe locuzioni) che servono a tenere insieme un testo, a renderlo più fluido, coeso, coerente e a orientare il lettore e l’ascoltatore nel passaggio da una sezione all’altra (il confine tra connettivo e segnale discorsivo è assai fluido, come abbiamo in parte già visto).

Cominciamo subito con una forma usata inavvertitamente dai più (soprattutto al Nord) e avversata con toni apocalittici dai grammarnazi: piuttosto che come congiunzione disgiuntiva (‘oppure’), o aggiuntiva (‘ma anche’, ‘e anche’), anziché avversativa (‘invece di, anziché’).

Una frase come «Una sera di queste ci facciamo un aperitivo piuttosto che una pizza» (nel senso che l’aperitivo o la pizza van bene entrambi, purché ci si veda) è a rigore sbagliata, poiché la locuzione congiuntiva piuttosto che serve a porre in contrasto, e non sullo stesso piano, due elementi, scartando il secondo a favore del primo. Secondo la norma, dunque, l’esempio precedente ha come unica interpretazione quella secondo la quale ci vediamo soltanto per un aperitivo e non per una pizza.

Al momento, dato che le grammatiche e alcuni dizionari riportano soltanto il valore avversativo di piuttosto che (a tacere delle reazioni scomposte dei grammarnazi), e data anche la scomodità della coesistenza di due valori così diversi (sono pur possibili equivoci), possiamo dire che piuttosto che disgiuntivo-aggiuntivo, nonostante l’uso frequentissimo, sia ancora da considerarsi di registro basso. Ma per quanto tempo ancora? Forse poco, a giudicare dall’alta frequenza orale e scritta del significato disgiuntivo-aggiuntivo; e a giudicare anche dalla scarsa probabilità che quest’ultimo ingeneri equivoci. Ecco uno dei rari casi in cui ciò avviene:

È stupefacente riscontrare quanti italiani trentenni e quarantenni popolino le grandi università americane, piuttosto che gli istituti di ricerca e le industrie ad avanzata tecnologia nella Silicon Valley (tratto da L’Espresso del 25 maggio 2001, p. 35).

Stando al significato avversativo di piuttosto che, il senso della frase sarebbe che gli italiani popolino le università anziché gli istituti di ricerca e le industrie nella Silicon Valley; è probabile, invece, che l’autore intendesse che gli italiani popolano le une ma anche gli altri.

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Normalmente, è il senso della frase che fornisce la chiave di lettura (e anche nell’esempio, per la verità, è facile immaginare quale sia il pensiero espresso). Bisogna, comunque, dire che il significato avversativo è ancora ben radicato nella competenza degli scriventi, come dimostra la diffusione di piuttosto che avversativi in Twitter. Per esempio in questo tweet del primo dicembre 2019:

Con la speranza che sia un mese pieno di emozioni colorate e sgargianti. 31 giorni, gli ultimi dell’anno, magari per portare a termine, fotografare, provare. Insomma osare e se è necessario pentirsi, piuttosto che rimanere col dubbio del chissà se! #1Dicembre

In ogni caso, non sarebbe la prima volta che una congiunzione, tanto più se composta (o formata da più parole, cioè una locuzione congiuntiva), passa da un valore all’altro. Pensiamo a poiché, che da congiunzione temporale (è l’unione di poi e che, quindi in origine significa ‘dopo che’) è divenuta causale; a tuttavia, che da avverbio temporale, dal significato di ‘continuamente’ (ricordiamo i famosi versi del Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo il Magnifico «Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia», ovvero ‘che corre via senza sosta’), è divenuta una congiunzione avversativa; a indi, che da avverbio locativo dal significato di ‘da quel luogo’ è passata a congiunzione conclusiva (oggi indi è uscita dall’uso, ma è stata sostituita dal derivato quindi, letteralmente ‘ecco da dove’).

Pensiamo alle congiunzioni che attualmente hanno più funzioni, come mentre e quando, temporali e avversative, o ove, dove, laddove o là dove e onde, locative e avversative. Addirittura, per riavvicinarci alla nostra forma, lo stesso avverbio piuttosto ha origine temporale (più tosto ‘più presto’) e, per rimanere sul piano delle avversative, l’avversativa per antonomasia, ma, non deriva certo dall’avversativa latina sed, bensì dalla congiunzione comparativa latina magis, che significava ‘più’ (o ‘piuttosto’, significato che conserva nello spagnolo mas).

La trafila di magis > ma è assai prossima a quella di piuttosto che da paragone tra due elementi, il primo dei quali scalza il secondo, a semplice alternativa tra il primo e il secondo. Le lingue funzionano così, cambiano continuamente, nelle forme, nei significati e nell’accettazione o rifiuto da parte dei parlanti. Tra non molto, forse, tutte le grammatiche e tutti i dizionari dovranno rassegnarsi ad aggiungere il secondo significato di piuttosto che senza criticarlo, in attesa che quello disgiuntivo-aggiuntivo scalzi definitivamente, forse, quello avversativo.

Ma dubbi ben più gravi affliggono il sistema delle congiunzioni italiane, piuttosto che l’uso di un semplice piuttosto che! Molte incertezze suscita, negli scriventi inesperti, la ricchezza di congiunzioni nella serie, ancora una volta, delle avversative (ma, però, tuttavia, bensì ecc.) e in quella delle conclusive (dunque, quindi, perciò, allora, pertanto ecc.), spesso confuse con le esplicative (infatti), tra le altre. Ma e però, di cui abbiamo già parlato, non sono del tutto sinonimi, checché se ne dica, perché la prima congiunzione ha funzioni e significati più estesi rispetto alla seconda. Infatti alcune congiunzioni avversative esprimono una contrapposizione totale tra i due elementi collegati (bensì: «Oggi non è andato a scuola bensì in palestra»), mentre altre una contrapposizione parziale (però: «Il compito era difficile, però ho preso un bel voto»). Ma può andar bene per entrambi gli usi, tant’è vero che potrebbe sostituire sia però sia bensì, nei due esempi precedenti. Però e bensì, invece, non sono mai interscambiabili.

Infatti e quindi/dunque, benché simili, non sono interscambiabili, poiché quindi, dunque, pertanto ecc. instaurano un rapporto di causa-effetto tra quanto precede e quanto segue, mentre infatti aggiunge prove o esempi che contribuiscono a motivare quanto precede e dunque, per così dire, guarda all’indietro, come illustrano lo schema e gli esempi seguenti:

A, quindi B = A → B = da A deduco B: «Piove, quindi non esco»;

A; infatti B = A ← B = da B risalgo ad A: «Non esco; infatti piove».

Non a caso, infatti è collocato di solito dopo un segno interpuntivo più forte (un punto e virgola o un punto) di quello che precede quindi (una virgola o nessun segno), perché la relazione instaurata tra la reggente e la coordinata (in verità con evidente valore subordinativo) comporta uno scarto, e uno sforzo cognitivo, in più (il ritorno all’indietro, per l’appunto).

Rimaniamo sul terreno della causalità. Il perché causale può avere due diversi valori, cosiddetti l’uno causa de re e l’altro causa de dicto: «Ha preso l’ombrello perché piove»; «Piove. Perché ha preso l’ombrello».

Come emerge dagli esempi, il perché de dicto (il secondo) si addice spesso più al parlato che allo scritto e ha un valore più da segnale discorsivo che da congiunzione subordinante. Serve, infatti, a passare da un piano all’altro del discorso e non ha una stretta relazione con la reggente, al punto tale che è sempre preceduto da un segno di punteggiatura, talora forte, cioè un punto e virgola o addirittura un punto. Ma qual è esattamente la differenza tra le due frasi? Nella prima, il piovere ha avuto come effetto il prendere l’ombrello, mentre nella seconda (apparentemente incoerente) il prendere l’ombrello ha generato come effetto non certo la pioggia, bensì il mio dire (o pensare) che piove. Per questo si chiama causa de dicto, perché la subordinata causale è collegata a un’affermazione (o una domanda), non a un evento.

A complicare la natura del perché, poi, ricordiamo che esso può avere anche altri valori, oltre a quello causale, vale a dire quello di avverbio interrogativo («Perché piangi?»), di congiunzione interrogativa indiretta («Non capisco perché piangi») e di congiunzione finale («Ti tengo il posto in fila perché tu possa fare prima»). Soltanto l’uso finale richiede necessariamente il congiuntivo.

Infine, il perché finale può introdurre una subordinata anteposta alla reggentePerché tu possa guidare devono passare ancora un po’ di anni»), laddove il perché causale introduce subordinate sempre posposte alla reggente, a differenza delle causali introdotte da poiché, dato che, visto che, dal momento che o siccome, che possono anche essere anteposte: «Poiché è tardi è meglio andare» o «È meglio andare poiché è tardi».

errori orrori regole italiano contemporaneo

IL LIBRO E LA NUOVA COLLANA – La casa editrice Franco Cesati presenta una nuova collana sull’italiano contemporaneo, intitolata “Italiano di oggi”, che debutta con Errori, orrori, regole e falsi miti dell’italiano contemporaneo, volume a cura di Fabio Rossi e Fabio Ruggiano.

La collana è pensata per rispondere ad alcuni dei dubbi più frequenti dei parlanti e degli scriventi comuni. Non a caso su ilLibraio.it proponiamo qui sopra il capitolo dedicato alle congiunzioni, su cui spesso si possono avere dubbi.

Fotografia header: GettyEditorial 01-07-2021

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