Mondadori propone una nuova collana di grandi romanzi presentata ai ragazzi da scrittori contemporanei. Su ilLibraio.it l’introduzione di Luca Scarlini a “Dracula” di Bram Stoker

In occasione della Fiera dell’editoria per ragazzi di Bologna, dopo gli Oscar Junior Gialli, Rosa e Distopici, Mondadori propone una nuova collana di grandi romanzi presentata da scrittori contemporanei, “per scoprire e riscoprire le più paurose e mostruose storie dei maestri del brivido, con contenuti speciali che spaziano su musica, cinema e fumetto”.

In uscita Dracula di Bram Stoker presentato da Luca Scarlini, Frankenstein di Mary Shelley presentato da Chiara Valerio, Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe presentato da Fabio Genovesi e Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde di Robert Louis Stevenson presentato da Wu Ming 4.

oscar mondadori

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, la prefazione di Scarlini a Dracula

Quando guardi a lungo nell’abisso, alla fine è l’abisso che ti guarda dentro.

Friedrich Nietzsche

Dracula è un mito moderno che si basa su storie antiche: come tutte le creature che hanno questo status, la sua realtà è fatta della materia dei sogni e riesce a cancellare senza problemi l’autore che ha consegnato il suo volto all’arte. Nello specifico Bram Stoker, scrittore irlandese attratto dal teatro e dall’horror, il quale pubblica questo capolavoro narrativo nel 1897. Non molti ricordano il suo nome; tutti, però, conoscono il vampiro, anche se non hanno letto il libro da cui la saga ha origine ma ne hanno visto versioni sullo schermo, nei fumetti o in una playstation. All’epoca in cui pubblicò il romanzo, l’autore aveva cinquant’anni e alle spalle una serie di opere narrative di modesto successo. Con questa vicenda oscura colse nel segno, ottenendo grande risalto ma solo presso il pubblico che lo acclamò. La critica, invece, non se ne occupò molto; eppure i temi trattati nell’opera erano condivisi anche da altri autori: nello stesso anno era uscito a puntate La guerra dei mondi di H.G. Wells, in cui si narrava di malvagi invasori alieni giunti sulla Terra a caccia di sangue. Dagli anni ’50 del ’900 non si contano i testi dedicati a questa trama in rosso, da quando la cultura popolare è diventata oggetto di studio e analisi.

All’inizio dell’800, Londra era la capitale del mondo: vi si amministrava il maggiore impero del globo. Per questo era una città che nella fantasia si rivelava esposta a ogni pericolo, di rivoluzione e contagio, incluso quello immaginario dell’arrivo del vampiro. Dracula deriva da un personaggio storico: Vlad Tepes, detto “l’impalatore”, che visse alla metà del ’400 e fu Voivoda (ossia Re) delle terre di Valacchia, oggi parte della Romania. Feroce oppositore dei Turchi, si fece una reputazione in tutta Europa per la sua crudeltà e ferocia. Da questa figura e dal folklore del “nosferatu”, ossia il “Non-morto” presente nelle culture dell’Est europeo, lo scrittore partì a creare il suo mito moderno. Il vampiro (nell’origine del nome vi è anche la figura mitologica del drago) vive nel suo cupo castello arroccato su un picco irraggiungibile, dove il malcapitato apprendista avvocato Jonathan Harker giunge da Londra per regolare acquisti immobiliari nella capitale britannica dell’aristocratico committente. La sua incolumità è a rischio: senza volerlo, si trova a collaborare al progetto di invasione vampirica del suo paese, viene attaccato dalle rapaci spose dell’aristocratico malvagio e mette a repentaglio la vita. Il Conte Dracula, stanco di succhiare la vita a contadini poveri dell’Est europeo, ha in progetto di trasferirsi nel cuore dell’economia occidentale e di dominare il mondo per tramite di un esercito di schiavi. Prendendo il sangue alle persone, le trasforma in suoi esecutori: il suo volere, assoluto, si impone con l’ipnosi. Quando l’antico – ciò che è stato rimosso – giunge nei luoghi del progresso e del moderno, dove la tecnica svela ogni giorno nuove meraviglie, il risultato è fatale. Tutti i personaggi sono sconvolti da Dracula, esponente di una vecchia aristocrazia che ritiene tutto lecito: il suo profilo è identico a quello di Don Giovanni, un seduttore, un libertino, un corruttore che si macchia di delitti nefasti, un viveur notturno che dorme di giorno ma mantiene intatto il suo fascino sui personaggi che incontra. Nel romanzo, il principe delle tenebre è un aristocratico che ribadisce i suoi privilegi e che sconvolge le vite di borghesi dediti al lavoro: opera in primo luogo sui tabù diffusi, che sono poi quelli del sesso. Lucy Westenra e Mina Murray, quindi, sono i suoi bersagli naturali: due belle signorine vergini che non hanno idea del lato oscuro delle loro passioni. La società vittoriana era particolarmente repressiva: non si parlava di sesso, era l’argomento da evitare. Solo due anni prima della pubblicazione del romanzo, l’opinione pubblica britannica era andata in fibrillazione in occasione dei processi contro Oscar Wilde, segnalato come “lo scandalo” della sua epoca, intento a divulgare un vangelo decadente di eros e corruzione. Lo scrittore era stato punito aspramente con due anni di carcere duro, perché omosessuale, dopo aver subito un vero e proprio linciaggio sulla stampa. Negli anni seguenti gli vennero tolti i suoi figli, Cyril e Vyvian, e fu ridotto in miseria dopo il sequestro dei diritti provenienti dalle sue opere.

L’oscuro potere ipnotico esercitato da Dracula risveglia i sensi delle signore, su cui afferma un ascendente violentissimo. Al servizio del vampiro ci sono numerose seguaci, che egli ha iniziato al gusto del sangue e dell’eros. I suoi poteri mentali gli permettono di colpire la notte, nel momento in cui i sogni aprono la porta al desiderio, che però può assumere rapidamente i colori dell’incubo. Talvolta compare come nebbia, altrimenti prende le sembianze di un cane o, in modo più famoso, di un pipistrello: il suo potere forza le vittime a invitarlo nelle loro stanze. Da dietro le finestre risuona un canto irresistibile. Dracula viene descritto poco nel romanzo, la sua è una presenza continua ma nell’ombra; gli altri personaggi sono comunque costretti a capitolare di fronte a un’oscurità che sconvolge tutte le regole. Il Conte incarna alla perfezione una linea favorita dell’horror: la “home invasion”, l’attacco alla casa che è il luogo più sacro, eppure in fondo anche così poco difeso. I vetri troppo grandi sono un invito all’irruzione, le pesanti cortine del letto a baldacchino, per quanto sontuose come il sipario di un teatro, sembrano soltanto un ulteriore invito all’azione cruenta del vampiro.

La scienza non ha armi efficaci: anzi, deve ricorrere al folklore. Van Helsing è lo scienziato che ha dedicato la sua esistenza allo studio dei vampiri e alle metodologie per combatterli, eliminarli, estirparli dalla faccia della Terra. Per compiere questa missione, però, deve ricorrere ai trucchi dei contadini della Transilvania, radicati nelle superstizioni dei secoli, di cui ha analizzato i meccanismi. Gli strumenti sono teste d’aglio disposte in armonica collana, croci e paletti di frassino da infilare nel cuore quando la creatura è addormentata nel suo forzato riposo diurno, visto che la luce del sole è sua mortale nemica e l’esposizione anche breve porterebbe a morte sicura. Poi resta la decapitazione: necessaria ad accertarsi dello scampato pericolo. L’alleata maggiore del vampiro è l’incredulità: le persone non credono alla sua esistenza, e questo determina errori fatali. Nella stanza delle vergini, dove Van Helsing dispone il suo allestimento difensivo, la madre di Lucy apre le finestre per cambiare aria, vedendo la figlia che finalmente dorme serena, e questo determina la sua definitiva vampirizzazione. Stoker scrive due anni dopo la prima pubblicazione degli Studi sull’isteria di Sigmund Freud, atto di origine della psicanalisi. Al momento della scrittura di Dracula, il libro non è ancora disponibile in inglese, eppure ci sono molti punti in comune. Dracula cita, con parole di lode, Jean-Martin Charcot, fondatore della moderna psichiatria. Buona parte della vicenda ruota intorno al manicomio, luogo-simbolo della scienza che cerca a ogni costo di affermare se stessa come soluzione ai mali del mondo. La clinica del dottor John Seward ha il gotico nome di Carfax Abbey, non lontano dalla prima dimora inglese del Conte. Qui è rinchiuso Renfield, un paziente folle, legato oscuramente al vampiro. Egli infatti alleva mosche, per farle mangiare dai ragni, e poi tiene i passeri, perché mangino questi ultimi, ma infine, quando il medico gli rifiuta di tenere un gatto che avrebbe proseguito la catena di distruzione, decide di ingurgitare tutti gli uccelli. Il suo credo è che mangiando i corpi delle creature egli avrà maggior potere: chiama Dracula padrone, registra nel suo delirio l’avvicinarsi della nave che luttuosamente porta il Conte in Gran Bretagna e infine si offre come cibo al nero signore, concludendo la catena di dominio alimentare che con maniaca coerenza aveva annunciato al mondo. Il diario è la scelta di scrittura per Stoker: l’autore racconta la storia da molti e diversi punti di vista, che si sovrappongono e spesso contrastano fra loro. Il vampiro domina, finché l’esperienza che i personaggi hanno di lui è parziale, frammentaria. Essi, dopo molte difficoltà, riescono a sconfiggerlo e a trovare il luogo che ha trasformato nella sua dimora, piena della terra di Transilvania che gli serve per sopravvivere. Il dottor Seward non vuole credere che la sua amata Lucy, che aveva respinto la sua proposta di matrimonio, dopo la morte apparente passi le sue inquiete notti a succhiare il sangue altrui, ma alla fine l’esperienza condivisa gli permette di accettare quello che non è credibile e di agire di conseguenza. Dracula appare in scena come il protagonista di uno spettacolo di teatro, o di un melodramma: ogni sua entrata o uscita strappa l’applauso. Non è un caso: dal 1878 Bram Stoker lavorò come stage manager, ossia direttore di produzione, al Lyceum Theatre di Londra per il più famoso attore britannico del suo tempo: Henry Irving. Un uomo affascinante e complicato, celebre fin dalla giovinezza, che era noto come persona dispotica e per la sua capacità di manipolare gli altri così come per la volontà di seminare il panico nella sua compagnia. Lo scrittore era molto attratto da lui, ma infine lasciò il lavoro per radicali divergenze di opinioni. L’autore avrebbe voluto che l’interprete portasse al trionfo il suo personaggio, ma l’altro si oppose. In ogni caso i suoi gesti, il suo modo di parlare, rimasero nel romanzo. L’eleganza, nel vampiro, è proverbiale: se anche l’alito è cattivo, per via del sangue succhiato o della vita diurna nella bara, circondato dalla terra del paese natale, il suo aspetto è inappuntabile. Il mantello sventola, nelle notti di plenilunio, i suoi movimenti sono quelli di un uomo del destino; quando entra in una stanza tutti lo osservano, e le rare volte che accoglie qualcuno nel suo tenebroso castello, suscita nei malcapitati visitatori un’attenzione morbosa. I suoi occhi splendono: impossibile distogliere lo sguardo. Al cinema, i canini appuntiti hanno sempre fatto stillare sangue su camicie bianchissime, con papillon e altre decorazioni, nel quadro di un’eleganza formale che indica la discendenza aristocratica del personaggio. Il quale, però, in un attimo riesce a rivelare la sua natura di belva spietata.

Per me Dracula è una musica gotica: chitarre distorte, voce bassa e sepolcrale. Nel 1980, alla piscina comunale di Scandicci (Firenze), Peter Murphy con i suoi Bauhaus, band nota per ambientazioni oscure e sepolcrali, cantava nel semibuio la morte dell’attore che per primo aveva reso Dracula l’incubo di un’intera generazione, a partire dalla sua interpretazione nel film di Tod Browning e Karl Freund, nel 1931. Bela Lugosi, che viveva da vampiro nel quotidiano e morì come tale, indossando il suo lungo mantello di scena anche nella bara, era al centro di quella canzone. Tre anni dopo, al cinema, ritrovo il gruppo nell’elegante The Hunger di Tony Scott (in italiano, meno di impatto, Myriam si sveglia a mezzanotte), dove Peter Murphy ulula di fronte agli elegantissimi succhiasangue David Bowie e Catherine Deneuve. Il Conte lo avevo già visto nella vietatissima trasmissione L’ora del topo, che dalle frequenze improbabili di Telelibera Firenze, con una sigla arrangiata in casa, trasmetteva dal 1978 tutte le notti sequenze nostop di film horror, che alle medie era d’obbligo cercare di vedere sfuggendo al controllo dei genitori. In quelle visioni il nero signore di Transilvania era Christopher Lee, elegantissimo mostro di assoluto splendore nelle sontuose, barocche produzioni britanniche Hammer, iniziando dal classico Dracula, principe delle tenebre di Terence Fisher, grande successo del 1966. La musica martellava nel mangiacassette: e allora, dato che il vampiro aleggiava, contro il parere della mia professoressa di inglese in quarta ginnasio ho letto per la prima volta Dracula, in italiano; poi, l’anno dopo, in inglese; e gli sono rimasto fedele.

(Continua in libreria…)

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