“I numeri non dicono bugie” (di cui proponiamo un capitolo), esordio di Claudia Mincione, racconta della potenza della matematica e dei numeri, in un mondo assediato dal caos. Un romanzo di formazione crudo, fatto di mondi segreti e famiglie problematiche

È difficile, per gli appassionati di letteratura, pensare alla matematica come a un porto sicuro. Eppure, rifugiarsi nella logica e nella precisione dei numeri può essere una salvezza, se fuori si è circondati dal caos. È quello che fa Pietro, protagonista di I numeri non dicono bugie (Garzanti).

Esordio di Claudia Mincione, autrice nata a Brindisi e che vive a Bologna, il romanzo ha iniziato a farsi notare prima della sua pubblicazione, sui social, attirando l’attenzione di lettrici e lettori.

I numeri non dicono bugie di Claudia Mincione

Mincione, che si occupa di comunicazione visiva, firma un libro toccante e universale, che invita a riflettere su cosa significhi davvero crescere e trovare il proprio posto nel mondo.

Romanzo di formazione, I numeri non dicono bugie conduce nella mente di Pietro, un bambino di sette anni,  intelligente e già troppo adulto per la sua età. Cresciuto in una famiglia problematica, il piccolo protagonista ha conosciuto solo il caos: un padre violento e alcolizzato, una madre assente e una matrigna, Maria, troppo impegnata a ricostruire la propria vita per occuparsi davvero di lui (e della sorellina Teresa).

Accanto a Pietro c’è Mike, il suo migliore amico, che vive una realtà opposta: una casa calda e profumata, genitori amorevoli e una routine che sembra funzionare senza sforzo. È lì, nei pomeriggi trascorsi da Mike, che il bambino trova un po’ di pace prima di tornare al suo ruolo di fratello maggiore.

E così, Pietro prende una decisione che nessuno a sette anni dovrebbe mai prendere: sarà lui a tenere insieme i pezzi di tutto. Sarà lui a proteggere Teresa, a fare in modo che per lei la vita possa essere, almeno un po’, più semplice e felice.

Come su legge nella sua biografia, le storie di Claudia Mincione “nascono da un’intensa attività onirica“, un mondo segreto condiviso anche da Pietro che, per sfuggire al caos, si rifugia in un universo fatto di numeri, formule e sequenze perfette. Lì riesce a trovare l’ordine, dove la logica diventa la sua corazza e la matematica, la sua arma silenziosa, lo aiuta a proteggersi da un mondo che spesso fa troppo male.

Mincione regala un debutto che scava nella psiche umana, esplorando i meccanismi psicologici che un bambino sviluppa per proteggere se stesso e chi ama.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Conto i passi.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, ventisette, ottantuno, duecentosedici, cinquecentonovantaquattro, milleduecentosessantanove.

Conto i passi da quando ho memoria.

Li conto quando sono da solo, ma ho imparato a farlo anche quando cammino con qualcuno. Riesco a rimanere concentrato su quello di cui stiamo parlando mentre il mio cervello continua a contare i passi che compio.

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Gli scalini dalla porta al portone della mia prima casa, 63.

Gli scalini dalla porta al portone della mia casa attuale, 42.

I passi dal portone al tabacchino, 313.

Dal parcheggio numero 27 dell’ufficio al portone d’ingresso, 54.

L’unica persona che conosce questa mia mania è Mike, il mio amico di sempre.

Facevamo insieme la strada da scuola a casa sua (1809 passi, fino a 1834 se attraversavamo prima del passaggio a livello) e poi proseguivo per casa mia, poco lontano (81 passi fino al portone).

Un giorno, durante il tragitto, mi disse «Che palle tutta sta strada ogni giorno, mio padre dice sempre di non lamentarmi che sono due passi, ma a me sembrano mille…»

«Veramente sono 1809», dissi automaticamente.

Lui si fermò e mi fissò a bocca aperta.

«Li hai contati?»

«Be’ sì, in realtà li conto continuamente, qualsiasi strada faccia.»

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Lui continuò a fissarmi e io per impressionarlo gli dissi che avevo calcolato la quantità di scalini di ogni gradinata che conoscevo della città. Dei pali della luce su ogni strada, e persino delle pietre messe al bordo dei marciapiedi che percorrevamo ogni giorno. 9882. In più potevo dirgli esattamente il numero di persone che avevamo incontrato dalla scuola fino a quel momento, per l’esattezza 47 maschi (di cui 9 vecchi e 21 bambini) e 35 femmine (di cui 4 vecchie e 18 bambine).

Lui a quel punto chiuse la bocca e sorrise. «Sì, okay, e magari sai pure quanti capelli ho in testa.»

Seppure fosse impossibile dire il numero esatto, mi ero già documentato al riguardo e sapevo che una persona adulta ha in testa mediamente un numero che si aggira tra gli ottantamila e i centodiecimila capelli, ma può arrivare fino a centocinquantamila, in base alle caratteristiche e al colore del capello (i rossi ne hanno meno ma più spessi, i biondi ne hanno mediamente più di tutti). Osservando quelli di Mike, sottili e castani, considerando che in quel momento aveva sette anni e sette mesi, calcolando quindi i centimetri quadrati del suo cranio, stimavo una cifra che si aggirava intorno ai sessantamilacinquecento capelli, con poco margine di errore.

Pensai tutto questo in un attimo.

E l’attimo dopo dissi: «Ma dai che sto scherzando!»

Lui mi diede un pugno sul braccio sinistro sorridendo e riprese a camminare.

«Per un attimo ci avevo creduto e avevo pensato che fossi pazzo.»

Quel giorno quella pausa provocò dodici passi in più nel nostro cammino fino a casa e una nuova consapevo­lezza: meglio imparare a nascondere alcuni aspetti di me stesso.

Con Mike però non fu necessario. L’aveva capito che dicevo sul serio sui passi.

Dopo qualche giorno, in un momento in cui ero sovrappensiero mi chiese: «Quanti giorni mancano a Natale?»

© 2025, Garzanti S.r.l., Milano
Gruppo editoriale Mauri Spagnol

(continua in libreria…)

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