Dal cambiamento climatico ai retaggi del nazismo: “Nirvana” di Tommy Wieringa, premiato autore olandese, è un romanzo molto impegnato rispetto alle derive del presente e ai grandi temi della contemporaneità, e porta avanti un grido di protesta disperata e sarcastica…
Siamo nel 2016, l’anno della prima elezione a presidente USA di Donald Trump, ed ad Amsterdam un artista di successo si interroga sulla piega disastrosa che sta prendendo il mondo, sulla stanchezza della democrazia ridotta a “qualcosa di stupido come la noia”, sui “cittadini dell’Occidente libero” che “avevano ceduto, per dirla con Baudelaire, al piacere naturale della demolizione”.
Si chiama Hugo Adema, e ha un cognome, per così dire, pesante, perché è quello di una potente dinastia industriale. La sua ragazza, una fotografa d’arte, lo ha appena lasciato. Il nonno, che ha fondato una grande impresa navale ed è stato in gioventù gravemente compromesso col nazismo, ma non si sa fino a che punto, è sul punto di compere cent’anni, mentre un giornalista e scrittore a nome Tommy Wieringa sta facendo ricerche per un libro su di lui; vorrebbe che Hugo lo aiutasse a scavare in un passato famigliare molto imbarazzante.

“Nirvana” è pubblicato da Iperborea nella traduzione di Claudia di Palermo
Il fatto che il giornalista abbia lo stesso nome dell’autore è un simpatico trucco narrativo già usato ad esempio da Michel Houellebecq in La carta e il territorio, che in sé non è decisivo per la dinamica dell’intreccio, ma consente a Wieringa di instaurare, per così dire, una linea ironica all’interno di questo suo monumentale Nirvana, il sesto e forse più ambizioso romanzo per uno scrittore molto amato in Italia, già finalista del premio Strega europeo; e generoso, almeno nel senso che sembra non voler trascurare nulla, aggiungere anziché elidere, costruire trame irte di imprevedibili coincidenze e di documentazione molto accurata, fino al saggismo.
Riesce così, ad esempio, a spiegarci benissimo come funzionano le navi per le prospezioni petrolifere, anche perché la vicenda del patriarca Adema è inspirata a quella di un quasi omonimo corrispettivo reale dal passato nazista: Pieter Schelte Heerema, che, dopo una lieve condanna, divenne uno degli uomini più ricchi dei Paesi Bassi con la sua Allseas company, a tutt’oggi esistente, e sulle cui tecnologie navali Wieringa si sofferma a lungo; ma anche a far descrivere al nonno, nei suoi diari ritrovati, le atrocità delle SS durante la guerra all’Urss (senza dimenticare quelle staliniane) con una freddezza che ricorda un poco Le Benevole di Jonathan Littel. Wieringa conosce ovviamente le dinamiche del mondo dell’arte olandese, delle mostre, dei musei, del mercato, e non solo. E c’è un filo prima sottile ma decisivo di spiritualità orientale attraverso soprattutto la meditazione zen, che è una sorta di narrazione parallela.
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La rosa dei temi è decisamente popolare, oltre che molto battuta dalla letteratura contemporanea, non ultimo il cambiamento climatico. Tutto questo materiale, padroneggiato bene, ha delle linee guida, una per tutte il conflitto storico e antropologico tra fuoco e, appunto, nirvana, o liberazione. Da una parte c’è il “linguaggio del fuoco”, quello dell’umanità che combatte per conquistare sempre più risorse energetiche fino ad esaurirle e in prospettiva distruggere la terra e se stessa, dall’altra chi accetta per così dire la probabile sconfitta e si rifiuta a questa coazione conquistatrice: cioè Hugo, che a poco a poco, messo sulle tracce dal personaggio Wieringa (che non gli è affatto simpatico) scopre la verità sul nonno, occultata in famiglia con la leggenda di una sua dissociazione dal nazismo nel ’43 e successiva collaborazione con la resistenza. Non è vero, era un nazista convinto e colpevole, e non si è mai dissociato. Questa scoperta pesa su Hugo, l’artista che vorrebbe essere innocente e sente di patire una sorta di complicità coi crimini passati, che lo hanno reso quel che è: un privilegiato. Darà voce a tutto questo con una grande mostra dove i suoi dipinti racconteranno finalmente la verità, ma non sarà sufficiente, nel senso che non gli basterà, non sarà una liberazione.
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Ci sono molti altri rivoli laterali, ovviamente: per esempio il rapporto di Hugo con la donna amata, che lo lascia bruscamente, non solo, ma dopo la sua mostra ne farà una anche lei, mettendolo alla berlina. O il rapporto di fiera contrapposizione con il gemello William, il doppio malvagio o che comunque è rimasto dalla parte del “fuoco”; o ancora il sogno di una sessualità che riesce e non riesce ad appagarsi; o la sensazione di “fine della storia” (piuttosto ingannevole, non c’è che dire) e soprattutto la necessità di opporre al linguaggio del fuoco quello della compassione, per esempio per una zia disabile nascosta in una casa di cura o per la vecchia governate Beth, ridotta malata e sola, che guarda caso è stata anche la madre affidataria del personaggio Wieringa, e che sarà decisiva per la ricerca di Hugo sul vero passato del nonno.
Il pittore generoso e perplesso pratica la meditazione, ma per una buona parte del romanzo sembra questo un aspetto secondario, quasi un tic o un omaggio alla vita d’artista. Solo alla fine si rivelerà decisiva e decisamente simbolica, perché per Wieringa (la voce narrante, non il personaggio) l’opposto radicale del linguaggio del fuoco è il nyūjō dello zen, “uno stato di profonda concentrazione e unità dell’anima con tutto ciò che la circonda”.
È tra questi due poli che si muovono, in sostanza, tutti i personaggi di un libro certamente complesso e a volte forse un poco artificioso, molto impegnato rispetto al mondo, quasi un grido di protesta disperata e sarcastica, ma con il merito indubbio di una leggibilità che lo fa apparire, tutto sommato, semplice. E quasi naturale.
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Fotografia header: Tommy Wieringa nella foto di Keke Keukelaar