“Per me Gallipoli è la Salisburgo di Bernhard ne ‘Il soccombente’: ‘Una città nemica di tutto ciò che gli uomini hanno di più intimo, che col tempo viene da essa annichilito'”. E ancora: “Volevo scrivere una storia d’amore e di morte. Ma alla fine credo di aver scritto un romanzo d’odio”.  Andrea Donaera racconta su ilLibraio.it com’è nato il suo primo libro, “Io sono la bestia”, in cui la Sacra corona unita gioca un ruolo centrale

Ho vissuto nel Salento da quando sono nato. Principalmente a Gallipoli, con brevi parentesi nella meravigliosa Lecce.

Di Gallipoli ho visto l’inesorabile ascesa che da piccolo paradiso infettato dalla malavita locale l’ha resa un enorme inferno turistico gestito da sistemi di potere complessi che ancora stento a comprendere.

Ho sfruttato io per primo questa ascesa, facendo lavoretti estivi per molti anni abbrancato a improvvisati datori di lavoro che a loro volta erano avidamente avvinghiati alle mammelle dei turisti.

Ero sempre povero.

Non ho mai avuto accesso ai sistemi criminali solo perché mio padre era un maresciallo della Guardia di Finanza, incorruttibile e molto attento alla mia educazione. Io sono la bestia è dedicato a lui.

A 27 anni sono andato via. Nella nuova casa bolognese ho iniziato a scrivere il romanzo: il primo giorno, tra gli scatoloni, seduto a uno scomodo mobiletto riadattato a scrivania, battendo i tasti malandati di un vecchio HP non mio. Non mi importava molto di Bologna e della mia condizione. Ero in uno stranissimo stato di felice leggerezza.

Fu una sorta di decompressione: “Bene, adesso sei via da quel posto, quindi si riafferra la vita: scriviamo quel romanzo che ti circola dentro da tre anni”.

Sì, per tre anni ho tenuto ferma la storia di Io sono la bestia. L’avevo in mente, avevo anche scritto un piccolo testo teatrale che in qualche modo anticipava certe cose che ora sono nel libro. Ma la costruzione intera per come la volevo non usciva, restava intrappolata nella mia testa intorpidita da quel costante vento di scirocco umido che era metafora dei miei desolati giorni gallipolini.

Certo, scrivere un romanzo non è cosa facile per nessuno: ma io sapevo che potevo farlo, perché avevo pronta la storia e avevo in mente le varie lingue che avrei voluto usare.

Ma non scrivevo.

Ogni notte, prima di dormire, pensavo all’incipit di un capitolo che poi puntualmente dimenticavo.

Soltanto una volta a Bologna, e dopo aver scritto 150 pagine in trenta giorni, ho capito: era quel mio posto d’origine a bloccarmi. Perché Io sono la bestia voleva (e doveva: quantomeno per amore di mio padre) parlare proprio di quei luoghi, del peggiore strato sociale che ne determina consuetudini e norme.

La mia storia si nutriva dell’orrore quotidiano realizzato dalla Sacra corona unita, sebbene in forma di fiction. E quindi per scrivere avevo bisogno di un distacco, uno strappo. Lo sapevo ma non me lo dicevo: il romanzo avrebbe esacerbato il mio rapporto con la mia terra d’origine. Ne avrei “cantato” il lato peggiore, avrei abusato dei classicissimi temi di “amore” e “morte” per un manifesto di tristissimo disprezzo.

La mia scrittura, che fino a quel momento si era servita della poesia per provare a disinnescare un disagio esistenziale sotteso, si sarebbe riversata nella prosa più feroce e acuminata.

La lingua della poesia che provava a lenire le ferite causatemi da quel posto fatto di criminalità capillare e apatica omertà sarebbe diventata un intero sistema linguistico: elaborato per aprirle, quelle ferite – ferite non soltanto mie, ma di tutta una generazione intrappolata nella malebolgia salentina, con i suoi mari strepitosi, i profumi commoventi, il sangue per le strade, i soldi sempre più sporchi.

Rileggevo Platone, in quei giorni. Il mito della caverna. Capivo, ma non lo ammettevo: con quel romanzo sarei stato fuori dalla caverna.

E ora che Io sono la bestia è un libro vero non so se tornare indietro per dire a tutti che lì fuori esiste un mondo che può fare a meno della Sacra, dei lavori in nero, dei b&b arrabattati nei garage.

Non lo so.

Perché per me Gallipoli è la Salisburgo di Bernhard ne Il soccombente: «Una città nemica di tutto ciò che gli uomini hanno di più intimo, che col tempo viene da essa annichilito».

Perché Io sono la bestia è un romanzo che la racconta, la caverna.

E io volevo scrivere una storia d’amore e di morte. Ma alla fine credo di aver scritto un romanzo d’odio. Che mi ha salvato la vita.

Andrea Donaera NN Io sono la bestia

L’AUTORE – Andrea Donaera è nato a Maglie (1989), e vive a Bologna. È laureato in Scienze della Comunicazione presso l’Università del Salento, dov’è stato tra i fondatori del Centro di ricerca “Pens: Poesia Contemporanea Nuove Scritture”. I sui testi sono apparsi su blog e riviste, tra cui Nuovi Argomenti, minima&moralia, Nazione Indiana, Il primo amore. Dal 2017 Donaera – che nasce come poeta – è il direttore artistico del festival letterario Poiè di Gallipoli.

Io sono la bestia (in libreria per NN – è il quarto titolo della serie Gli Innocenti) è il suo primo romanzo.  Uno dei protagonisti, Mimì, boss della Sacra corona unita, è folle di dolore: suo figlio Michele, quindici anni, si è tolto la vita. Si dice che quel gesto sia dovuto al rifiuto della coetanea Nicole, che Mimì decide di rinchiudere in una casa sperduta nella campagna salentina. Il guardiano della casa, Veli, rivede in Nicole la sua Arianna, figlia maggiore di Mimì, e tra i due fiorisce un legame…

La casa editrice NN ha anche pensato a un regalo per i lettori di questo esordio: chi acquisterà il romanzo riceverà infatti Quaderno d’addio – 20 poesie alla Bella N. di Michele Trevi (personaggio creato da Andrea Donaera). Alcune poesie sono già presenti nel libro e le altre potranno essere scaricate con un codice inserito nella quarta pagina del libro.

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