È entrata nel dizionario Treccani “Bufu”, parola usata dalla Dark Polo Gang, un gruppo romano di musica trap. Ma oltre al linguaggio (“eskere”, “triplo sette”, “bibbi”, “british”…), la gang (che fa storcere il naso a molti) sembra aver influenzato anche la moda dei ragazzi, creando un nuovo immaginario, un vero e proprio mondo narrativo a cui gli adolescenti possono attingere e che, ovviamente, vede protagonisti anche i social… – L’approfondimento

È successo che da poco, nel dizionario Treccani, è entrato ufficialmente un nuovo termine: Bufu.

“Bufu (spreg.) Sigla dell’espressione gergale angloamericana By Us Fuck U (‘per quanto ci riguarda, vaffanculo‘), insulto adoperato nei testi di canzoni rap come risposta ad attacchi verbali mossi dall’interno dello stesso ambiente musicale. […] Bufu è un insulto generico il cui significato si può collocare nello spazio semantico tra ‘ridicolo’ e ‘stronzo’, e si è diffuso per opera di un gruppo rap nostrano di nome Dark Polo Gang. È uno degli esempi più recenti di linguaggio giovanile, il gergo che si rinnova con il succedersi delle generazioni, diciamo ogni cinque-dieci anni”.

Può succedere che passando fuori a un locale, di sera, un gruppo di ragazzini si metta in posa davanti all’obiettivo dell’iPhon, gridando a squarcia gola: eskere.

Può succedere che qualcuno ti dica che il nuovo paio di occhiali che hai comprato sia molto swag.

Può succedere che sui muri, accanto alle solite dichiarazioni di amore e ribellione, compaia la scritta 777.

Succede – ma non è una novità di certo – che la lingua cambi e che, tra tutti i linguaggi, “il giovanilese” sia quello più mutevole. La lingua, infatti, è il primo strumento per promuovere il senso di appartenenza a un determinato gruppo, la sua autoidentificazione e coesione interna, con il risultato di escludere dalla comprensione gli estranei. In particolare, i ragazzi utilizzano espressioni e vocaboli che non possono essere compresi proprio per rivendicare la loro identità e la distanza rispetto agli adulti. Inoltre, essendo i giovani una categoria continuamente in cambiamento, è normale che il loro linguaggio si rinnovi e si arricchisca di termini sempre nuovi.

Ultimamente sembra che molti di questi si ispirino a un gruppo romano di musica trap: la Dark Polo Gang, appunto. Non ci si addentrerà in giudizi musicali: la Dark Polo Gang può piacere o non piacere (sono tanti a storcere il naso), ma è innegabile che abbia dato vita a un fenomeno che ha condizionato una generazione di adolescenti, a partire proprio dal linguaggio.

“Abbiamo semplificato il modo di comunicare e creato un linguaggio alieno. Adesso è più facile approcciarsi al rap, prima dovevi averlo studiato. Però ci vuole sempre qualcosa da dire, altrimenti non si va da nessuna parte”, hanno raccontato al Corriere i membri della gang, Tony Effe, Pyrex, Dark WayneDark-Side, quest’ultimo recentemente uscito dal gruppo. E in un intervento comparso su Robinson, l’inserto culturale di Repubblica, scrivono: “Quello che facciamo è prendere delle parole che magari già esistevano e usarle però a modo nostro […] Ci piace la sintesi, abbreviare per parlare di meno. Un po’ come quando scrivi “xck” al posto di scrivere “perché”, ci piace la velocità, vogliamo un linguaggio veloce ed essenziale. E poi ci piace che la gente si chieda il significato di quello che diciamo e dia la sua interpretazione, ci piace questa libertà, che ognuno dia alle parole il senso che vuole”.

Un linguaggio caratterizzato da due principali tratti: sintesi e ironia. I testi delle canzoni della Dark Polo Gang oscillano tra insulti, esaltazione del consumismo e frasi apparentemente prive di senso. Eppure non si tratta di scelte così distanti da quelle già compiute dai cantanti rap che inneggiavano al denaro, al sesso e a una vita priva di valori. Ma, come scriveva David Foster Wallace ne Il rap spiegato ai bianchi, anche in quel caso la musica rappresentava in realtà una denuncia e una critica ironica a certe dinamiche della società consumistica, il cui obiettivo, in fondo, è proprio creare esseri che credano che la felicità consista nell’avere un Rolex al polso.

Oltre all’istituzionalizzato “bufu“, nel lessico della DGP compaiono termini come i già citati “eskere“, contrazione e storpiatura dell’inglese “let’s get it” che indica un approccio alla vita tipicamente adolescenziale: “facciamolo, facciamolo adesso”, e “triplo sette“, che è come il jackpot alle slot machine: “ricchi per sempre, vincere”. Ma anche “bibbi“, diminutivo di bitch, che comunque utilizzano spesso (praticamente alla fine di ogni frase), e l’ultimo “british“, come il titolo del singolo recentemente uscito, che è stato per molto tempo al primo posto della classifica FIMI.

La maggior parte delle scelte linguistiche, come quelle musicali ed estetiche, sono prese in prestito dal mondo anglosassone. Anche “il nostro taglio di capelli arriva da lì. Ci piaceva un immaginario alla Brexit: uscire da un giro e fare il proprio business. Spiega che siamo diversi dal resto del mondo trap, guidiamo al contrario. Siamo veri, nessuno di noi dice di essere un escluso o una vittima della società. Molti altri interpretano quello che non sono”.

Non è un caso che sia stata proprio “bufu” a essere inserita nel dizionario come neologismo, e non gli altri termini. Solitamente una parola entra a far parte di una lingua secondo due criteri. Prima di tutto secondo il criterio quantitativo, ovvero quanto frequentemente viene utilizzata. Se si guarda anche solo una storia della Dark Polo Gang su Instagram si capirà subito quante volte si ricorra a quest’espressione che, in poco tempo, è entrata non solo nel linguaggio dei “pischelletti dark” (i fan della gang), ma anche dei ragazzi che non seguono il gruppo, i quali magari non la usano, ma di certo la capiscono. Perché la parola “bufu” esprime un concetto preciso, qualcosa che non potrebbe essere comunicato altrimenti. E qui entra il secondo criterio: quello qualitativo.

Oltre il linguaggio, la Dark Polo Gang ha influenzato anche la moda: “Abbiamo portato noi il rosa, i pon-pon e altri trend donna nel rap italiano: una rivoluzione stilistica”, creando un nuovo immaginario, un vero e proprio mondo narrativo a cui gli adolescenti possono attingere: “Sono la vostra sit com preferita“, dice Tony F in una delle puntate di La Nuova Scuola, la serie documentario prodotta da Noisey che racconta la scena del trap italiano, da Sfera Ebbasta a Enzo Dong. “Mi seguite ogni giorno 24 ore su 24, come tua mamma con Un posto al sole, come tua nonna con Avanti un altro, come tuo zio con Striscia la notizia, come tuo fratello con Le iene. Mi seguite ovunque e dappertutto”. Effettivamente le storie di Instagram sembrano essere la nuova alternativa alla serialità e alla televisione, soprattutto per i giovani che non sono per niente abituati a seguire trasmissioni tv. Proprio pochi giorni fa è stata annunciata la nuova IGTV, una tv firmata Instagram, dove poter guardare soltanto video che però, a differenza delle storie, durano dai 10 minuti fino a un’ora.

E infatti la Dark Polo Gang è diventata la protagonista di una serie prodotta da Tim Vision, 12 episodi di 20 minuti in cui il gruppo racconta le proprie giornate tra sale di registrazione, erba e shopping. Il confine tra realtà e finzione appare molto sfumato e, forse, è proprio questo uno dei motivi che contribuisce a esercitare fascino su chi li segue.

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