“Lo sforzo che faccio costantemente è quello di verificare che, nella costruzione dei programmi culturali che dirigo, la presenza femminile sia costante e di qualità. La sottorappresentazione del pensiero delle donne nei media e negli spazi culturali è un problema nel nostro Paese”. Prosegue su ilLibraio.it il confronto comiciato con Luigi Spagnol, e proseguito con Michela Murgia, Renata Gorgani, Elena Varvello e Bianca Pitzorno. È la volta della direttrice del Circolo dei lettori di Torino Maurizia Rebola: “Per il mondo maschile cedere il passo alle donne è molto faticoso e dispendioso. Significa perdere potere”

Dopo l’intervento iniziale dell’editore Luigi Spagnol, dal titolo “Maschilismo e letteratura, cosa ci perdiamo noi uomini?”, quello della scrittrice Michela Murgia sul tema “Cultura maschilista? Dai festival ai giornali, la sottorappresentazione delle donne”, quello di Renata Gorgani, direttore editoriale de Il Castoro, dedicato al tema “Nei ‘piani alti’ dell’editoria le donne restano una minoranza”, e dopo il contributo di Elena Varvello, dal titolo Esiste una “scrittura femminile”?, e l’approfondimento della scrittrice Bianca Pitzorno, Da cosa si riconosce la “letteratura femminile” (sempre che esista)?, è la volta di Maurizia Rebola, direttrice del Circolo dei lettori di Torino, una realtà culturale unica al mondo, che ospita ogni mese decine di incontri d’autore…

di Maurizia Rebola

Agnese è nata nel 1948. Sono figlia di una donna che ha combattuto dure battaglie di conquista a favore dell’universo femminile. Sono figlia di una grande lettrice che mi ha trasmesso l’amore per i libri attraverso l’esempio e la disponibilità di una ricca biblioteca casalinga.

Le mie primissime letture, quelle infantili e pre-adolescenziali, sono state maschili. Gianni Rodari e Italo Calvino. A seguire, sugli scaffali immediatamente più accessibili della libreria di casa ho trovato Sibilla Aleramo, Elsa Morante, Marguerite Yourcenar, Simone de Beauvoir, Françoise Sagan, Isabel Allende, Marcela Serrano. Certo, anche Cesare Pavese, Fëdor Dostoevskij e Jorge Amado la facevano da padroni, ma l’invito verso quelle scrittrici da parte di mia mamma era così delicato e contemporaneamente tanto deciso da non lasciarmi scampo alcuno.

Per me, quella relativa alla scrittura femminile o maschile, non era mai stata una questione. Mi piaceva leggere. Punto. Ancora oggi poco mi importa se ciò che leggo è scritto da un uomo o da una donna. L’importante è che mi piaccia o che sia scritto bene.

Il rispetto e la comprensione della specificità di genere è però di primaria importanza. La scrittura femminile, secondo la definizione di Hélène Cixous è la capacità di “far vivere nella scrittura il succo del frutto della vita, il profumo, la musica, il sapore delle cose, la gioia del corpo”. La scrittura femminile non mi piace di più, ma in genere mi emoziona di più.

L’attrazione delle donne per i libri dalle donne non è peraltro un’ideologia femminista, credo sia più un’attitudine naturale, poiché le donne, nella letteratura femminile, incontrano le proprie esperienze.

Pur considerando quindi il fatto che vi sono delle particolarità nel campo della scrittura femminile, bisogna sottolineare che alcune teoriche francesi rifiutano la contrapposizione tra scrittura di tipo femminile e scrittura di tipo maschile. Quest’idea viene spiegata molto bene da Julia Kristeva, nella famosa intervista del 1974: “Credere di essere una donna, è altrettanto assurdo come credere di essere un uomo” (J. Kristeva, La femme, ce n’est jamais ça, Tel Quel).

La controversia non verte certo sul piacere della lettura a seconda del genere, ma sull’opportunità che le donne hanno avuto e hanno tutt’oggi a vario titolo nel mondo editoriale. La subordinazione della donna, storicamente è stata data come un dato di fatto. In realtà un individuo diventa inferiore quando viene messo in una condizione di inferiorità.

“Alla donna è sempre stato assegnato il ruolo di maestra (nella casa o nella scuola), e quindi di trasmettitrice di cultura; mai quello di creatrice di cultura, di protagonista della storia letteraria” (C. Bordoni Il romanzo di consumo, Napoli, Liguori Editore).

Questa difficoltà viene spesso confermata dall’uso di pseudonimi maschili (George Sand tanto per fare un esempio tra i più noti) per cercare di conquistare un posto nell’Olimpo letterario, da sempre appannaggio degli uomini.
Da quando mi trovo a dover ragionare sulla costruzione di programmi culturali, ho sentito forte l’istinto a fare molta attenzione alla presenza di figure femminili all’interno delle mie ricerche.


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Con il pensiero alle lotte per l’uguaglianza di genere di fine anni Sessanta, lo sforzo che faccio costantemente è quello di verificare che nella costruzione dei programmi culturali che dirigo, la presenza femminile sia costante e di qualità. La sottorappresentazione del pensiero delle donne nei media e negli spazi culturali, come evidenzia bene Michela Murgia nel suo articolo sulla cultura maschilista del 13 ottobre scorso, è un problema nel nostro Paese.

Il fatto che io debba compiere uno sforzo in questa direzione mi sconforta. Dovrebbe andare da sé. Invece è evidente che se una donna che come me dirige una fondazione culturale con la giusta attenzione per questi temi, incontra non di rado difficoltà a costruire palinsesti equilibrati, significa che le figure femminili hanno meno spazi di evidenza pubblica.

Sono tantissime le donne che pubblicano i loro lavori, ma la netta sensazione è che non vengano prese in considerazione tanto quanto succede ai loro colleghi maschi. Gran parte dei critici – perlopiù uomini – recensisce libri scritti da uomini. I maggiori premi letterari sono vinti soprattutto da uomini. Le cariche più alte delle case editrici sono rappresentate da figure maschili. Insomma, qualcosa deve cambiare.


LEGGI ANCHE – Maschilismo e letteratura, cosa ci perdiamo noi uomini? – di Luigi Spagnol

Come dice Luigi Spagnol nel suo intervento dal titolo “Maschilismo e letteratura, cosa ci perdiamo noi uomini?”, per il mondo maschile cedere il passo alle donne è molto faticoso e dispendioso. Significa perdere potere. Ma gli uomini non hanno assolutamente idea di quanto si arricchirebbero se solo provassero a leggere il mondo attraverso i nostri occhi.

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