Cosa cambia nel mondo del libro, e in particolare per gli editori indipendenti, a seguito della discussa acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori? Su ilLibraio.it l’intervento di Romano Montroni, presidente del Centro per il Libro e la Lettura, in occasione dell’inaugurazione della seconda edizione di Book Pride: “Siamo impegnati nella scrittura del Piano nazionale di promozione della lettura, per far interagire tutti i soggetti legati al mondo del libro…”. Spazio anche al ruolo delle librerie nel nuovo contesto: “La funzione dei librai è decisiva per arginare lo strapotere dei giganti”

Per gentile concessione dell’autore, proponiamo qui di seguito il testo letto da Romano Montroni, presidente del Centro per il Libro e la Lettura, in occasione dell’inaugurazione dell’edizione 2016 di Book Pride, fiera nazionale dell’editoria indipendente (qui il programma completo). L’appuntamento è venerdì 1 aprile alle ore 15. Intervengono, con Montroni: Filippo Del Corno, assessore alla Cultura del Comune di Milano; Gino Iacobelli, presidente Odei; Marino Sinibaldi, direttore di Radio Rai Tre.

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Romano Montroni

di Romano Montroni

Buongiorno a tutti!

Anche quest’anno ho accettato con molto piacere l’invito a presenziare all’inaugurazione di Bookpride, un appuntamento che pone domande e problemi molto interessanti e sempre più attuali per tutti noi che di libri ci nutriamo, stimolando riflessioni che vanno al di là della sfera editoriale.

Il tema scelto per questa seconda edizione, “equosistema”, esprime molto bene questa caratteristica di Bookpride; “equosistema”, infatti, è un concetto che può essere declinato sia da un punto di vista prettamente editoriale, sia come discorso sociale molto più profondo e impegnato, legato a una logica di sistema che incide in profondità nella nostra realtà quotidiana.

Sembra che il mondo vada incontro a una profonda omologazione. La nostra quotidianità rischia di diventare sempre più piatta, a scapito delle differenze, delle minoranze, di tutto ciò che è difficile incasellare in uno schema. Si profila il pericolo di una specie di pensiero unico e, se non ci diamo da fare per contrastarlo, rischiamo di rimanerne vittime.

Per non farci intrappolare dalla paura e dall’ignoranza, o anche “semplicemente” dalla superficialità e dalla banalità, quello che ci vuole è proprio una maggiore circolazione di idee e di nuove prospettive attraverso cui leggere quello che accade intorno a noi; è importante cercare un contatto con il diverso per capirlo e per arricchire noi stessi e la nostra conoscenza. È proprio questo il punto: se vogliamo parlare di equità all’interno del sistema in cui viviamo, dobbiamo per forza rifarci alla conoscenza, ai libri e a chi li pubblica.

Qualsiasi società che si voglia definire democratica non può prescindere dal concetto di libertà di espressione; oggi abbiamo il diritto di manifestare il nostro pensiero, ma è legittimo chiedersi se abbiamo tutti lo spazio per farlo. E allora ci si domanda: nelle grandi concentrazioni, rimangono spiragli attraverso cui manifestare un pensiero diverso e non omologato a quello imperante?

È dunque evidente che quello di cui ci troviamo a parlare oggi non rappresenta un problema solo per coloro che lavorano all’interno della filiera del libro, e in particolare per gli editori indipendenti. Questo è un problema politico e sociale, perché il rapporto tra la produzione indipendente e la circolazione delle idee è direttamente proporzionale allo spazio democratico che un popolo ha a disposizione.

Ritornando al mondo editoriale, una questione alla quale tutti guardiamo con interesse e dubbi è l’annunciata acquisizione di Rizzoli da parte di Mondadori, che darà vita a un colosso industriale.

Questo processo di concentrazione è cominciato molto tempo fa ed è l’esito di una tendenza che in realtà ha cominciato a delinearsi tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta e che segue, più o meno, il boom economico italiano e l’industrializzazione di quel periodo. Anche in alcune case editrici avvengono profondi cambiamenti: iniziano a scomparire gli editori-protagonisti e la tecnologia entra all’interno del mondo del libro, sancendo una forte industrializzazione del settore. Anche se, come sempre, sono le persone che fanno la differenza e dunque non sarebbe corretto generalizzare. Gian Carlo Ferretti, nel suo libro sulla storia dell’editoria italiana, individua come data d’inizio di queste trasformazioni il 1971. Nel 1971 muore Arnoldo Mondadori, uno dei più grandi editori-protagonisti e uno tra i primi a inaugurare il nuovo corso. A questa data alcuni fanno risalire un tendenziale appiattimento delle differenze: i cataloghi delle case editrici – la vera ricchezza degli editori, unitamente alla loro filosofia e al loro progetto – non rappresentano più le uniche linee guida sulle quali viene impostato il lavoro; iniziano infatti a concorrere “forze economiche e politiche” estranee alle dinamiche di produzione messe in campo fino ad allora.

In alcuni casi, con il passare del tempo questo processo di trasformazione determina dei cambiamenti all’interno delle redazioni: a poco a poco, i letterati lasciano il posto ai manager. Per alcune realtà, questo è stato probabilmente il punto di non ritorno, a partire dal quale è cambiata la maniera di fare libri.

All’interno di alcune case editrici cambia il tono del dibattito, non si disquisisce più soltanto di cultura: gli scambi intellettuali, gli scontri e i confronti di idee sono accompagnati in maniera sempre più vistosa da attente valutazioni – in una certa misura inevitabili – legate al mercato, alla produzione, all’economia. Con l’ingresso dei manager, l’attenzione non è più concentrata sul fare libri: come venderne il più possibile è un pensiero sempre più pressante, e determina qualche concessione in più al mercato a discapito della qualità.

Cambiano alcune case editrici, cambia il modo di fare libri, e di conseguenza – visto che è l’editore, in larga misura, a creare il mercato – cambia anche il mercato! La cosiddetta “politica delle novità” assume un peso sempre maggiore, in certi casi a detrimento del catalogo e delle pubblicazioni storiche: di conseguenza, il libro inizia ad avere una data di scadenza sugli scaffali delle librerie e una vita sempre più breve. Quello che si cerca è troppo spesso il bestseller. Fosse facile individuarlo!

Nel 1981, il 50 per cento della produzione libraria italiana era fatto da 74 editori. Nel 2011, 5 gruppi controllano quasi il 60 per cento del mercato. Oggi, dopo 5 anni, a causa delle trasformazioni in atto, questo dato è destinato crescere. Viene spontaneo domandarsi se questo finirà per danneggiare l’editoria indipendente, che vede sempre più ridotti gli spazi a disposizione. Ma a questo punto, secondo me, bisogna allargare la riflessione ai librai e alle librerie. In che senso?

Vi pongo una domanda: secondo voi, il mercato è fatto soltanto dagli editori o anche dai librai? Io sono convinto che i librai, soprattutto i librai indipendenti, ma non solo loro, possono esercitare un ruolo importantissimo: con le loro proposte, con le loro vetrine, con i loro consigli. Se non ne fossi convinto, non riuscirei a insegnare alla Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri con tanta passione e tanto entusiasmo, da ormai oltre trent’anni. Certo, per imprimere un segno sul mercato è fondamentale che siano librai veri e non semplici commessi, librai che ricevono una formazione adeguata. Altrimenti è molto difficile che possano essere consapevoli del loro mestiere e della funzione sociale e culturale che può svolgere una libreria. Una libreria che sia non un semplice punto di vendita, ma un luogo di scambio e di circolazione di idee, un luogo dove si soddisfano curiosità e dove ne nascono continuamente di nuove.

La funzione dei librai è decisiva per arginare lo strapotere dei giganti, che – oltre a produrre libri – posseggono giornali, periodici, radio, tv ecc. È difficile promuovere un libro, se chi ha in mano i mezzi per farlo deve innanzitutto promuovere i propri libri! Il rischio che tutto ciò che è estraneo al potere economico dei grandi gruppi venga messo in disparte, senza dubbio, esiste, ma è possibile prendere delle contromisure; ed essere consapevoli del rischio è il primo passo per evitarlo.

Il libro, se ci pensate, è qualcosa di davvero complesso: senza dubbio è un prodotto, come senza dubbio la libreria è un’impresa commerciale. Dunque, l’uno e le altre devono sottostare alle regole del mercato se vogliono esistere. Dall’altro, è evidente che il libro NON è un prodotto come gli altri, perché nasce dallo spirito umano e ha come funzione primaria essenziale la costruzione, la fruizione e la diffusione della conoscenza. Allo stesso modo, è evidente che la libreria NON è un semplice negozio, ma come dicevo è – o dovrebbe essere – un luogo in cui si scambiano e circolano idee.

Dagli scaffali delle librerie a quelli dei privati cittadini esiste un percorso visibile, quasi accertabile, già nel momento in cui i cittadini-clienti entrano, si muovono, cercano dimore all’interno delle librerie.

Quindi, e qui ritorniamo al concetto di equità, una casa editrice deve riuscire a plasmare il libro come bene economico, ma anche e soprattutto come bene culturale. Il contributo indispensabile che gli editori indipendenti restituiscono al mondo della cultura è proprio questo: la capacità di creare equilibrio in un sistema che tende sempre più verso il monopolio. Gli editori indipendenti non sono editori rivolti primariamente al massimo guadagno, sono editori impegnati nel produrre contenuti culturali di qualità e, allo stesso tempo, in grado di resistere al mercato. Fa una bella differenza!

Per mantenere un equilibrio e per parlare di equosistema servono innanzitutto due cose. Primo: che vi sia anche un impegno da parte delle istituzioni. Secondo: che si attui una politica in grado di sostenere tutto il comparto culturale italiano, e quindi anche la lettura, che ne rappresenta la base. Non si tratta però semplicemente di finanziare progetti, non dev’essere un discorso solo economico (anche se destinare più soldi per la lettura non sarebbe una cosa negativa!), ma bisogna far comprendere a tutti i cittadini l’importanza e il piacere della lettura. Bisogna cambiare l’approccio nei confronti del libro e della cultura in generale.

Il Centro per il libro si è impegnato nella scrittura del Piano nazionale di promozione della lettura, che ha trovato l’aiuto e la disponibilità di ALI, AIE, ANCI, RAI, ISTAT, MIUR, ALI, SIL, AIB, Conferenza Regioni, Forum del Libro e vari esperti.

Lo scopo del Piano è far interagire tutti i soggetti legati al mondo del libro e avviare un approccio trasversale e intersettoriale per la promozione della lettura.

Il Piano rappresenta la volontà del Centro per il libro di organizzare una strategia precisa e compatta in cui nulla venga lasciato al caso. Come ho detto molte volte, il terreno di semina privilegiato per promuovere la lettura è rappresentato senza dubbio dalla scuola e dalle biblioteche, e il concetto viene ribadito all’interno del testo del Piano nazionale della lettura: cerchiamo di dare centralità alle pratiche di lettura nella scuola con azioni mirate e correttamente calibrate secondo il target di riferimento, e di valorizzare la funzione culturale e interculturale delle biblioteche di pubblica lettura e scolastiche, reinserendole nel vivo delle dinamiche culturali e sociali in quanto portali d’accesso all’informazione e alla conoscenza. I progetti che il Centro per il libro e la lettura ha inserito all’interno del PNL vanno appunto in questa direzione.

Insomma, quello che stiamo cercando di fare è restituire dignità al libro e alla lettura, ma soprattutto aumentare il numero di lettori abituali nel nostro paese. Vi ricordo che in Italia i lettori non hanno mai superato il 50 per cento della popolazione! Per aumentare l’indice di lettura bisogna partire dai ragazzi, che rappresentano il futuro. Dalla ripartenza della lettura ci potrà essere un interesse maggiore nei confronti della cultura in generale, perché essere lettori appassionati significa interessarsi al mondo e andare in cerca di nuove idee e nuovi stimoli.

Per concludere, come ha detto il nostro presidente, Sergio Mattarella, “leggere è una ricchezza per la persona e per la comunità. È una porta che ci apre alla conoscenza, alla bellezza, a una maggiore consapevolezza delle nostre radici, ai sentimenti degli altri che spesso ci fanno scoprire anche i nostri sentimenti nascosti. Non è vero che la lettura sia stata, e sia, un’abitudine di personalità introverse. È vero il contrario: è una chiave per diventare cittadini del mondo, per conoscere esperienze lontane, per comprendere le contraddizioni e le storture, ma anche per comprendere le grandi potenzialità del mondo che ci circonda, dell’umanità che ci circonda. È un modo per far nascere speranze, per coltivarle, per condividerle”. Quindi, diamoci da fare!

Grazie a tutti.

 

 

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