“Nel caso di ‘Giusto terrore’, più che di saggio tradizionale, sarebbe corretto parlare di nonfiction novel…”. La scrittrice Violetta Bellocchio racconta su ilLibraio.it il nuovo libro di Alessandro Gazoia

Arrivato al suo terzo libro di nonfiction, l’obiettivo di Alessandro Gazoia con Giusto terrore (Il Saggiatore) non appare subito semplicissimo da inquadrare. A grandi linee, lo si potrebbe riassumere come un saggio sul terrorismo. Ma che le sue ambizioni siano differenti lo si comincia a intuire leggendo il primo, fulminante capitolo, la cronaca pirotecnica di un lungo viaggio in treno nell’Italia contemporanea, dove la meditazione sulle ultime imprese dell’ISIS si intreccia a un’analisi feroce di come quelle azioni vengano percepite dai normali “cittadini rispettosi della legge” e di come, a loro volta, le notizie rimbalzino senza sosta dai quotidiani ai profili sui social, per poi passare in secondo piano nell’arco di poche settimane se non giorni, obbligate alla retrocessione da una minaccia nuova, più urgente. Nel corso dello stesso viaggio, però, Gazoia ci racconta i piccoli e grandi comportamenti dei suoi vicini di carrozza, riporta stralci di conversazioni goffe tra persone preoccupate di non suonare xenofobe, restituisce in pieno la tensione provocata nei passeggeri da una pausa forzata per cui non vengono offerte spiegazioni, e conclude con il proprio tentativo di sfuggire al presente (oppure di aggrapparsi a una parte privata di sé?) cercando sul telefono la vecchia scena di un film di Buster Keaton. Per citare l’autore: “Moltiplichiamo senza sosta il reale con la parte immaginaria e un ventenne cresciuto in mezzo a noi, che ci odia nel profondo e ha l’intenzione determinata di ammazzare sé stesso pur di cogliere l’opportunità di ammazzare noi, ci atterrisce al solo pensiero.” Questo tono verrà mantenuto per il resto del libro. E abbiamo appena iniziato.

Giusto terrore - Alessandro Gazoia

Nel caso di Giusto terrore, più che di saggio tradizionale, sarebbe corretto parlare di nonfiction novel: i fatti sono reali e documentati, ma lo scarto narrativo lo fa la presenza in campo di un autore con una fortissima personalità, che padroneggia uno stile alto e un francamente spaventoso controllo della prosa, e che quindi si concede il lusso di rapide incursioni nei territori che un tempo si sarebbero considerati “bassi”, dalle icone della commedia scollacciata al fumetto del cane Pippo che neutralizza la strega Amelia.

E fa riflettere come all’interno di un libro scarno (160 pagine calibrate al millimetro) Gazoia riesca lo stesso a compiere lunghi, lunghissimi salti all’indietro: parte con l’ISIS, spettro chiave del presente, ma presto allarga la visuale a comprendere la storia delle Brigate Rosse, e mette in luce – non per primo, ma in maniera serrata e incisiva – quel micidiale intreccio tra radicalità, presunta sagacia e auto-narrazione mitica che contraddistinse buona parte dell’operato delle BR negli anni Settanta. Ma c’è posto anche per le imprese delle cosiddette “Nuove Brigate Rosse” nei primi anni Zero, per l’eredità estetica e storiografica della Battaglia di Algeri, per la fatwa lanciata da Khomeini contro Salman Rushdie all’indomani della pubblicazione dei Versetti satanici e per il ferimento del suo traduttore Ettore Capriolo.

Non manca nulla. Da Gazoia, editor e intellettuale in apparenza soddisfatto dal proprio ruolo nel panorama italiano, ci potevamo aspettare due libri: un saggio ponderato, denso di informazioni, e un pamphlet sullo “stato delle cose”, una fotografia del tempo presente, magari un po’ troppo compiaciuta del proprio ruolo di dichiarazione autorevole. Non erano affatto prevedibili, invece, le costanti finestre che l’autore apre sulla sua biografia, inframmezzando il testo di riferimenti all’infanzia e all’adolescenza vissuta in una città della provincia ligure, inseguendo non la violenza delle BR, ma, con un puntiglio ossessivo da storico in erba, il carico di suggestione ideologica che il terrorismo poteva trasmettere a un ragazzino degli anni Novanta, arrivato troppo tardi per partecipare davvero agli eventi. E in Giusto terrore convivono due spiriti diversi: il commentatore preoccupato di mantenere sufficiente distanza rispetto al materiale, quello che si strugge per le eventuali imprecisioni nella traduzione di un aggettivo dall’arabo al francese all’italiano, e l’ex bambino sedotto dalla retorica di chi riteneva di combattere una guerra santa.

In breve: se volete informarvi sul terrorismo con un saggio puro e scorrevolissimo, scegliete Lawrence Wright, che Adelphi sta pubblicando con regolarità: se volete un’esperienza singolare, scegliete questo, dove l’accuratezza si unisce alla potenza visionaria del romanziere di alto livello, tanto che, alla fine, si resta con la curiosità di capire in quali direzioni vorrà muoversi Gazoia nel futuro. Potrebbe dirottare verso il romanzo o dedicarsi al memoriale senza commistioni. In tutti i casi, noi lo aspetteremo.

L’AUTRICE – Scrittrice, traduttrice e giornalista, Violetta Bellocchio (nella foto di Valentina Vasi) è l’autrice del memoir Il corpo non dimentica (Mondadori, 2014). Ha fatto parte di L’età della febbre (minimum fax, 2015) e di un’altra antologia, Ma il mondo, non era di tutti? (Marcos y Marcos, 2016), curata da Paolo Nori. A sua volta ha curato l’antologia di nonfiction Quello che hai amato. (Utet, 2015). Il suo ultimo romanzo è Mi chiamo Sara, vuol dire principessa (Marsilio). Bellocchio ha inoltre fondato la rivista online Abbiamo le prove nel 2013, e l’ha seguita personalmente fino al 2016.
Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

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