Ecco perché spesso, ma non sempre, l’incipit di un libro è fondamentale…

“Chi ben comincia è a metà dell’opera”, recita un vecchio adagio; “la prima impressione è quella che conta”, aggiunge un altro. A partire da questi proverbi cercheremo, brevemente e senza pretese di esaustività, di interrogarci (in tanti autorevolmente lo hanno già fatto in passato, dando risposte spesso diverse tra loro) su quanto sia fondamentale l’incipit in un libro, per provare a capire se davvero le prime frasi influenzano così tanto il resto del “lavoro” o se non è (sempre) vero che la prima impressione è quella che conta.

Ad esempio, all’inizio della sua carriera lo scrittore Pier Vittorio Tondelli parlava di “letteratura emotiva” in relazione all’incipit dei romanzi: La mia letteratura è emotiva, le mie storie sono emotive, l’unico spazio che ha il testo per durare è quello emozionale; se dopo due pagine il lettore non avverte il crescendo e si chiede ‘Che cazzo sto a leggere’, quello che non capisce mica è lui, cari miei, è lo scrittore. Dopo due righe, il lettore dev’essere schiavizzato, incapace di liberarsi dalla pagina; deve trovarsi coinvolto fino al parossismo, deve sudare e prendere cazzotti, e ridere, e guaire, e provare estremo godimento. Questa è la letteratura.[…] Il nodo è tutto qui. La letteratura emotiva è quella più intimamente connessa alla lingua; la letteratura emotiva esprime le intensità intime ed emozionali del linguaggio; la letteratura emotiva è ‘scrittura emotiva’”. (P.V. Tondelli, “Colpo d’oppio” in L’abbandono”, Bompiani, Milano 1993, p.7., già pubblicato nella rivista Musica 80, novembre 1980).

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L’incipit serve a sedurre il lettore: lo scrittore deve costruirlo in maniera “conturbante, accattivante e anche ammaliante”. È emozionante essere rapiti dall’esordio narrativo per poter proseguire nella lettura, incuriositi e volenterosi. Se un film avesse un inizio scialbo continuereste a guardarlo? Probabilmente sì, perché nel cast c’è il vostro attore preferito, ma probabilmente lo fareste un pochino controvoglia; uno scrittore è un regista, uno sceneggiatore, e un attore abilissimo, tra le righe deve ammiccare al lettore per convincerlo a “restare sulle pagine”.

Ci sono però alcuni casi in cui la prima impressione non è quella che conta. Pensate alle fiabe: iniziano quasi tutte con “C’era una volta…”, ma questo non dissuade dal leggerle o raccontarle per generazioni intere, forse perché questo incipit vago e fantastico fa comunque ben sperare il lettore e lo ammalia, nonostante siano tre semplici parole che non danno alcuna anticipazione sulla storia.

Altri esempi più recenti, non legati alle fiabe, confermano che non sempre è fondamentale la prima impressione: ci sono autori che non rivelano nessuna informazione fondamentale sulla trama per intere pagine; questo escamotage aumenta la tensione, specialmente se il testo è un thriller o una storia d’amore.
Il potere delle descrizioni compensa la “pausa dalla narrazione” che lo scrittore ha deciso di intraprendere “abolendo l’incipit adescatore”: alcuni romanzi nord europei o americani che constano spesso di 700-800 pagine, sembrano “non dire niente” per le prime 300, salvo poi esplodere e “costringere” il lettore a innamorarsi di tutta la produzione del medesimo narratore.

E per voi quanto è importante l’incipit di un libro?

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