A Oslo la cerimonia di assegnazione del Nobel. E su IlLibraio.it la giornalista di Al Jazeera Barbara Serra parla di Malala, simbolo mondiale di coraggio, forza e intelligenza, e della complessa situazione in Pakistan…

Venerdì 10 ottobre, alle 09:59 in punto, ero al Terminal 5 dell’aeroporto di Heathrow, davanti al check-in della British Airways. Avevo un biglietto per il volo Londra-Roma ma, prima di mettermi in coda, aspettavo novità dalla conferenza stampa che alle 10:00 precise avrebbe annunciato il vincitore del nuovo Premio Nobel per la Pace. Si era improvvisamente sparsa la voce fra i giornalisti che Papa Francesco avrebbe potuto vincere. Così, invece di imbarcarmi per Roma mi sono diretta verso la metropolitana per tornare in redazione quando su Twitter ho letto la notizia: il premio era stato conferito a Kailash Satyarthi e Malala Yousafzai per il loro lavoro a favore dell’istruzione dei bambini.

Non ancora maggiorenne, Malala è oggi un simbolo mondiale di coraggio, forza e intelligenza. Ha rischiato la vita per un suo diritto: l’istruzione. I talebani le hanno sparato in testa cercando di metterla a tacere, ma hanno ottenuto l’effetto contrario e amplificato globalmente il suo messaggio e la sua sfida. È impossibile non ammirarla. Eppure mentre in Occidente è celebrata come un’eroina, la percezione di Malala nel suo paese di nascita è molto più complessa. Non tutti in Pakistan guardano positivamente a lei, anzi spesso suscita sospetto, risentimento e rancore. Le ragioni sono complicate e diverse.

Molti la considerano uno strumento dell’Occidente, un pupazzo che viene strumentalizzato per confermare un’immagine negativa del suo paese. Altri vedono l’Occidente come un potere invasore che vuole controllare i paesi musulmani e sradicare i loro costumi, e per questo anche la lotta contro le restrizioni oscene dei talebani verso l’istruzione delle bambine rappresentata da Malala viene vista come un complotto occidentale. Più cresce la fama globale di Malala, più immagini ci sono che la raffigurano con leader come il Presidente Obama, più cresce il sospetto verso di lei in Pakistan. Su vari blog si legge spesso una questa frase: “In Pakistan ci sono centinaia di ragazze come Malala. Perché tutta questa attenzione mondiale solo su di lei?”. Vale la pena di leggere questo articolo di un blogger locale, “Perché odio Malala Yousufzai”. È satira, ma colpisce al centro la questione.

Il Pakistan sta vivendo un’enorme crisi nel campo dell’istruzione. Dati dell’UNESCO riferiscono che un quarto dei bambini pakistani non riceve neanche una formazione scolastica elementare. Il Pakistan è il secondo paese al mondo (dopo la Nigeria) per il più alto numero di bambini che non vanno a scuola. La situazione è persino peggiore per le giovani donne, soprattutto nelle regioni più povere, dove sono pochissime (tra il 3 e l’8%) quelle che frequentano regolarmente lezioni. Malala conosce bene le complessità del suo paese. Per ora sta finendo gli studi in una scuola vicino a Birmingham, e continua a mettere in evidenza il problema dell’istruzione a livello internazionale. Ma se vuole cambiare la realtà e il futuro di altre ragazze come lei, dovrà essere vista dai propri compatrioti come “una di loro”. E proprio questa sarà la sua sfida futura.

*L’autrice dell’articolo, nata a Milano nel 1974 da padre sardo e madre siciliana, dopo gli studi in Danimarca e Inghilterra (alla London School of Economics) entra alla BBC a Londra nel 1999 come collaboratrice. Diventa reporter a tempo pieno nel 2003, quando passa a Sky News. Due anni dopo è a Channel 5, prima straniera alla conduzione di un TG nel Regno Unito. Dal 2006 lavora per Al Jazeera English come presentatrice e corrispondente. Collabora con la Rai dal 2007. Attualmente è presentatrice e corrispondente per la redazione londinese di Al Jazeera. Con Garzanti ha pubblicato Gli italiani non sono pigri. Il suo profilo Twitter è @BarbaraGSerra

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