C’è una bambina su un’amaca. Mangia una torta: è estate e tutto sembra normale. Invece non lo è. Siamo nella Germania dell’Est, ed è il 1947. Il padre della bimba è morto giovane, in guerra, la madre si è indurita. Quella bambina diventa una grande scrittrice, amata, riconosciuta nel suo paese: la Germania della DDR, della Stasi. Nel suo romanzo memoir “Alzarsi”, Helga Schubert affronta la sua storia personale, intersecandola con quella della Germania, e quindi dell’intera Europa…

“I tedeschi sono stati i peggiori criminali della storia – ha detto la scrittrice Helga Schubert in un’intervista di Tonia Mastrobuoni per il Venerdì di Repubblica – ma hanno fatto meno sconti alle loro colpe“. Meno sconti di tutti coloro che gli stavano attorno, di certo.

È uno dei tanti assi attorno al quale gira Alzarsi, il suo romanzo memoir (Fazi Editore, traduzione di Marina Pugliano) che raccoglie i frammenti della sua esistenza, tasselli di memoria che si confondono con la storia del paese che ama, che difende e che, alle volte, odia. La Germania.

Dalla Helga bambina – che si dondola su un’amaca, mangiando la torta preparata dalla nonna nel primo giorno delle vacanze estive del 1947 – alla Helga adulta, scrittrice considerata ostile alla DDR. Dalla Helga madre alla Helga figlia di una donna fredda, distante, forse spezzata dalla seconda guerra mondiale, dalla povertà, dalla sconfitta.

La vita in brevi affreschi, coriandoli di esperienze che si confondono tra le norme dettagliate e schizofreniche della Stasi, in una Berlino Est in cui Schubert vive e si interroga, e si oppone.

Alzarsi Helga Schubert Copertina

Grazie alla sua lingua asciutta e ironica, Schubert riesce a raccontare tutti quegli sconti che i tedeschi non si sono fatti, alla fine della seconda guerra mondiale. La rielaborazione della memoria e della colpa come trasformazione, non solo come una vergogna da nascondere sotto il tappeto, per poi dimenticarsene, e farlo dimenticare.

È questo il coraggio che affascina in Schubert. La schiettezza, l’umanità, con cui racconta come la colpisca l’odore dei gas di scarico delle auto in quattro tempi dei ricchi che arrivano da Ovest, rispetto a quello in due tempi dell’Est. La sincerità con cui affronta le sedute di counseling, proprio lei, psicoterapeuta. I suoi primi viaggi all’estero, la fine della Repubblica Democratica Tedesca, la gioia per la caduta del Muro di Berlino.

E come sempre succede, con la storia si mescolano le relazioni. In particolare quella con la madre. Una donna difficile; così difficile da amare e da raccontare che Schubert ha dovuto aspettare la sua morte, per riuscirci. Sono le pagine più strazianti quelle dedicate al rapporto tra le due.

Schubert è un nome di rilievo nella letteratura tedesca, anche se meno conosciuta al grande pubblico italiano. Ha scritto opere teatrali, programmi televisivi, sceneggiature. Con Alzarsi, ha vinto il prestigioso premio letterario Ingeborg-Bachman nel 2020, a quarant’anni dal primo invito ricevuto dalla fondazione. Ai tempi non aveva potuto partecipare perché avrebbe dovuto viaggiare fuori dai confini della Germania dell’Est, fino in Austria. La DDR non glielo aveva concesso.

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