C’è un momento in cui si accende la fiamma dell’ispirazione letteraria? Ci sono, nei romanzi, episodi da cui tutto parte? Su ilLibraio.it una riflessione di Giusi Marchetta sul tema dell’urgenza di scrivere, a partire dai libri della scrittrice francese Annie Ernaux, molto amata anche in Italia

È un tardo pomeriggio domenicale e in un giardino di rose e dalie una donna sta parlando con un’ospite dei vicini, una signora in visita ai suoceri con la figlioletta di quattro anni. La prima ha un bar, la seconda ne è cliente. Chiacchierano mentre le figlie giocano assieme sul prato. A un certo punto, la proprietaria del bar abbassa la voce; a pochi metri da lei sua figlia finge di continuare il gioco e si mette ad ascoltare.

Del suo racconto riesco a restituire soltanto la sostanza – scrive Annie Ernauxe quelle frasi che hanno attraversato gli anni fino ad oggi, che si sono propagate in un istante su tutta la mia vita di bambina come una fiamma muta e senza calore, mentre io continuavo a danzare e a volteggiare lì vicino, a testa bassa per non destare sospetti.

E mentre danza e volteggia per finta, questa bambina sente che c’era un’altra figlia morta di difterite prima che lei nascesse. Sente le ultime parole pronunciate sul letto di morte dalla piccola santa: sto andando dalla Madonna e dal buon Gesù. Sente che suo padre, dopo, è diventato matto. Sente sua madre parlare di lei. Dire che non glielo hanno fatto sapere per non rattristarla. A pochi metri da questa bimba, la madre si asciuga gli occhi col grembiule, parla di un’altra figlia che non c’è più e dice: era più buona di quella lì.

È questo l’evento che cambia la storia della scrittrice. Buona è la parola. Agosto il mese. O meglio, il presunto mese. Annie Ernaux colloca questo episodio in estate, anche se lei stessa ammette che non ha certezze sulla data di questa scoperta. Decide che la madre le ha rivelato l’esistenza della sorella nello stesso mese in cui Pavese è morto perché come letteratura e vita si sono sovrapposte nel gesto dello scrittore che si è ucciso, così lei trasformerà la vita in letteratura scrivendo una lettera alla sorella.

L’altra figlia

Al silenzio dei genitori contrapporrà la sua voce che chiede, indaga e racconta. Non è un caso che L’altra figlia venga scritto dopo la morte della madre. Defunti i genitori, (compianti e traditi ne Il posto) non resta più nessuno a conservare quel segreto di famiglia che Ernaux ci svela un po’ alla volta costruendo la narrazione come un insieme di scatole cinesi: scopriremo la verità più profonda e dolorosa solo sfogliando il libro fino all’ultima pagina.

Dopo non potremo tornare indietro. Come ne Gli anni, lo scorrere del tempo si rivela impietoso per il semplice fatto di essere incontrovertibile. Nulla può questa figlia contro la santa, l’altra, quella più buona, ma soprattutto nulla può contro quel pomeriggio estivo in cui ha sentito le parole della madre. Se in quel momento dentro di lei si è accesa la fiamma muta e senza colore che l’ha accompagnata fino ad oggi, l’unica cosa che le resta da fare per sopravviverle è raccontarla attraverso la scrittura.  

Annie Ernaux

L’altra figlia è un gioiello dalle molte epifanie, ma per chi come me cerca spesso nei libri, sotto la superficie della trama e le invenzioni dello stile, un senso stesso della scrittura, questa lettera aperta a una sorella mai conosciuta rappresenta un modo  incredibilmente suggestivo di confessare l’urgenza di scrivere.

Da quando l’ho letto non posso fare a meno di pensare alla fiamma che ci consuma da un dato giorno, da una certa parola che ci è arrivata all’orecchio e alla storia che potrebbe raccontarla. Ogni tanto nei romanzi che leggo mi sembra di riuscire a intravedere l’episodio o il momento da cui è partito tutto. Ma resta un’illazione, comunque. O peggio: un riflesso delle mie esperienze, la mia necessità di trovare nei racconti e nei romanzi una spiegazione che mi permetta di conviverci. O di non trovarla.

gli anni

Una leggenda giapponese racconta di una promessa che la Madonna aveva fatto alla bimba di una donna malata: la madre sarebbe vissuta tanti anni quanti erano i petali del fiore che le aveva portato in dono. La bambina senza scoraggiarsi aveva strappato ogni petalo in tante striscioline dando origine al crisantemo.

Annie bambina mi sembra faccia il contrario. Ricompone i petali, accorpa gli anni, diminuisce la distanza dalla morte della sorella per sentirla più vicina; descrive la sua assenza come non potrebbe fare con la presenza.

Infine, dimostra che una ricostruzione dolce può essere anche crudele. Nel vuoto che quella figlia ha lasciato, i genitori hanno dato a un’altra la possibilità di nascere e di diventare adulta: il minimo che questa figlia possa fare è rivendicarne il diritto.


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