“Azzorre” di Cecilia M. Giampaoli, un libro che racconta una storia vera, è un viaggio non nel lutto e nella sua elaborazione, ma nella vita, che tampona la nostalgia e l’assenza con la presenza di atti di dignità, di coraggiosa semplicità, con l’umanità che sa trasformare il dolore in qualcosa di migliore e metterlo in circolo – L’approfondimento

“Mi chiamo Cecilia, sono italiana, mi fermerò a Santa Maria per il mese di giugno. Ho perso mio padre nell’incidente aereo dell’89. Cerco un alloggio, racconti e ricordi. Se puoi ospitarmi o vuoi parlare con me, contattami”.

Quando Cecilia arriva sull’isola di Santa Maria nelle Azzorre, sono trascorsi venticinque anni dalla morte del padre: Giuliano Giampaoli è una delle 144 persone che hanno perso la vita sul Pico Alto, dopo lo schianto dell’areo su cui viaggiava.

Cecilia trova ad aspettarla Teresa che la ospita nella sua casa e nelle sue giornate: è la prima di tante anime di un’isola che è stata sinonimo di assenza nella sua mente di bambina prima e di donna poi, e ora è sinonimo di accoglienza. Santa Maria è un luogo che Cecilia decide di affrontare seguendo il corso degli eventi, con il cuore e la mente aperti a quello che il destino le porta: “Arrivare su quest’isola è farsi prendere dal vento”.

Azzorre (Neo) di Cecilia M. Giampaoli (nella foto di Alessandro Zanoli, ndr) è un viaggio alla raccolta di resti spezzati. C’è un passato da ritrovare, scenari immaginati mille volte e che adesso trovano una loro concretezza, persone che custodiscono ricordi di quell’attimo, fotogrammi di quell’aereo troppo basso, e che sembrano aspettare Cecilia per liberarsi del proprio bagaglio, che pesa, anche a loro.

azzorre

L’animo pronto ad accogliere tutto, senza condanne per i possibili responsabili, senza recriminazioni verso il destino, ma con lo stesso spirito con cui dall’Italia aveva spedito messaggi, mani tese per incontrarsi, condividere case e sguardi, e alleggerirsi lo spirito insieme.

Nel mese trascorso sull’isola Cecilia cammina, perché solo così si scopre un luogo, fa riprese, scrive il suo diario seduta alla taverna Garraida, e incontra tante persone, condivide il loro cibo, ascolta la loro musica, e i loro racconti.

Costança, Cesar, Martin, Pedro, Oscar, Antonio… ognuno le lascia un pezzo, un’immagine, una tessera di mosaico da attaccare alle altre.

“Di quante storie è fatta questa storia? La verità sull’incidente sembra esplosa insieme alle turbine dell’aereo, rotta in centinaia di pezzi scaraventati per tutta l’isola”.

Il recupero di quello che è successo durante l’incidente, con tutte le sue ombre, gli errori e le mezze verità, è soprattutto un processo interiore di coscienza di sé, una prova di coraggio verso la bambina di sei anni che è stata, e che da donna guarda in faccia la realtà.

Il debito che Santa Maria ha con Cecilia è fatto di ricerche e di ritrovamenti: del padre attraverso gli altri, di sé stessa, cresciuta con il senso dell’abbandono e con una lista di piccoli ricordi, tutto quello che ha di lui, e che mette in fila cercando di rivederlo in poche istantanee della memoria.

L’isola è vento, è tempera azzurra di cielo, gesso bianco di nuvole e case, è una porzione di mondo dove è facile pensare che ogni cosa sia in relazione con le altre: tutto invita ad abbandonarsi al reale, al presente, in un’unione che è quasi mistica ed estatica con i luoghi, con i colori, e con gli occhi che comprendono il bisogno di sapere.

La salita a Pico Alto su cui si è interrotta la vita del padre è il cammino più difficile per Cecilia. Lo fronteggia zaino in spalla, gli va incontro, si immerge nel fango, nei sentieri, in un bosco dove gli uccelli non cantano più e gli alberi non crescono. Lì in mezzo sono volati i pezzi di aereo insieme ai pezzi di persone, brandelli di vita che si sono sparsi dovunque, piegati.

“Il monumento è in fondo alla piazzola.

Una struttura in cemento con una deposizione in bronzo e un elenco dei nomi di tutti i passeggeri. In basso, una croce.
Cerco il nome di mio padre. Lo trovo”

Non serve raccogliere resti e farne reliquie, il passato è passato, e la pacificazione interiore per Cecilia è un percorso che conosce anche la delusione e il dolore, ma soprattutto la gratitudine e l’affetto. Lasciare dietro di sé il senso di vuoto vuole dire saper accogliere anche il proprio rinnovato coraggio di vivere. È quello il ritrovamento più prezioso che determina un futuro possibile, e si consacra in un abbraccio consolatorio con chi c’era.

Azzorre di Cecilia M. Giampaoli è un viaggio non nel lutto e nella sua elaborazione, ma nella vita, che tampona la nostalgia e l’assenza con la presenza di atti di dignità, di coraggiosa semplicità, con l’umanità che sa trasformare il dolore in qualcosa di migliore e metterlo in circolo. Azzorre è incredibilmente un libro di affermazione, che non si abbandona mai alla commiserazione e al narcisismo della sofferenza: è schietto, brillante, teso nel ritmo, dove l’autrice, che si occupa di arti visive oltre che di scrittura, sa spezzare di continuo il registro diaristico per reinventare una sorta di romanzo di avventura, di sole e di vento, disseminato di incontri straordinari con gli altri e con se stessa.

 

Libri consigliati