“C’è stato un periodo in cui mi scrivevano moltissimo, chiedendomi anche consigli”. Bianca Pitzorno, incontrata da ilLibraio.it, riflette sui rapporto con i giovani lettori e parla del suo nuovo romanzo, “Il sogno della macchina da cucire”, in cui racconta un passato che potrebbe tornare, perché “certe conquiste che che siamo convinte di aver ottenuto una volta per tutte, possono esserci tolte”… – L’intervista

Bianca Pitzorno torna in libreria con un romanzo per adulti, Il sogno della macchina da cucire (Bompiani), ambientato nel Regno d’Italia, perché “è importante ricordarsi com’era la vita nel passato. Soprattutto com’era la vita dei poveri e com’era quella dei ricchi: ci sono aspetti che sembrerebbero assurdi oggi, completamente superati. O almeno, ero convinta fosse così. Invece proprio in questo momento stanno cercando di farci fare dei passi indietro”.

Il passato e le conquiste che possiamo perdere

Protagonista del romanzo una giovane sartina che tenta di mantenersi con il suo lavoro in una città dove i poveri vivono nell’indigenza, mentre i ricchi signori possono permettersi lussi e agi e partecipano a feste in onore dei Reali. Come nel precedente La vita sessuale dei nostri antenati (Mondadori) e in numerosi dei suoi libri per bambini e ragazzi, Bianca Pitzorno torna a scrivere una storia ambientata nel passato, quasi con un intento pedagogico.

“Non possiamo dimenticare il passato, perché alcuni suoi aspetti possono tornare. Certe conquiste che che siamo convinte di aver ottenuto una volta per tutte, possono esserci tolte. Forse è per questo che scrivo del passato. E forse è anche perché, tutto sommato, ci sono due piani nelle mie narrazioni: quello storico legato all’ambiente e al momento, e quello delle emozioni, delle relazioni e degli affetti che, almeno nella nostra società, sono sempre uguali. Ma questi sono ragionamenti che faccio a posteriori, sul momento mi viene in mente una storia e la scrivo”, racconta la scrittrice incontrata nella sua abitazione milanese da ilLibraio.it

Questioni di potere

Alcuni aspetti del romanzo, come ad esempio la disparità tra ricchi e poveri e il potere degli uomini sulle donne, non possono non richiamare fatti di attualità. Incluso il dibattito sulla possibile riapertura delle case chiuse: “Mi preoccupo molto dei discorsi che si fanno sulle case chiuse, non ho sentito mai un uomo che se la prenda con i clienti. Nessuno dice che vanno rieducati, ma propongono di rinchiudere le donne nelle case chiuse. Facendo delle ricerche, nei libri Venditrici di sesso nella Sardegna dell’Ottocento, di Adriana Gallistru (AM&D Edizioni) e Le italiane dall’Unità a oggi di Michela De Giorgio (Laterza), ho trovato delle informazioni sui primi bordelli ‘statali’ istituiti da Cavour nel 1861. Pensare che se ne vergognava talmente tanto da non aver mai pubblicato sulla Gazzetta il regolamento”, spiega Pitzorno, che è riuscita a trovare molte informazioni sulla vita delle prostitute durante il Regno d’Italia.

“Ho scoperto che pochissime delle donne entravano volontariamente in un bordello, la maggior parte vi veniva rinchiusa come in una sorta di prigione. E moltissime erano servette, ragazze di campagna che venivano in città e che venivano stuprate dai padroni, oppure operaie, ma anche cucitrici. Mi ero sempre immaginata che la sartina si potesse mantenere col suo lavoro, invece la statistica mi ha aperto gli occhi sul fatto che molte dovevano vendersi”, continua l’autrice nata a Sassari il 12 agosto 1942, che da questo spunto ha deciso di scrivere il romanzo, “come per riscattare una figura cara e darle un’altra possibilità”.

“Ne L’ebreo errante, Eugène Sue esamina la figura della sartina e spiega quante ore lavora – sette giorni su sette, tra le quindici e le diciotto ore al giorno – e quanto guadagna. E poi spiega il costo della vita all’epoca. La sartina non ha quasi abbastanza di che sopravvivere. Quindi, in alcuni casi, non ha altra scelta se non la prostituzione”, una lettura che ha aperto gli occhi alla scrittrice (che nel corso della sua carriera ha ottenuto diversi riconoscimenti, dai premi Andersen all’Hans Christian Andersen Award) sulla figura della “sartina romantica” di cui si cantano le virtù nelle opere Ottocentesche.

La vita delle donne

Non che la vita delle donne più ricche e colte sia più semplice. Ne Il sogno della macchina da cucire, infatti, attorno alla sartina c’è anche la giovane “marchesina” Ester che scopre come l’amore non sia nulla davanti alla linea ereditaria e ai blasoni. Ispirata a “una storia vera”, che Bianca Pitzorno ha seguito da giovanissima “sui giornali: una donna famosa e bellissima con un marito che la amava, ma che comunque preferì garantirsi un erede che salvaguardare la salute della donna”.

Altra donna che ha un ruolo importante nella vita della sartina è l’Americana, Lily Rose, “anche lei tratta da un personaggio storico. Nel 1914 in Sardegna c’era un’antropologa che studiava le popolazioni locali, anche i banditi e ne scriveva ritratti per un giornale di Philadelphia. Un giorno è stata trovata morta, con indosso un corsetto pieno di soldi. Ma sui vestiti non c’erano tracce del proiettile. Si è pensato subito al suicidio perché aveva una pistola, ma in realtà doveva essere stata spogliata, uccisa e rivestita. Tuttavia le autorità hanno liquidato il caso come suicidio. La città, per difendere un personaggio notabile, ha fatto scomparire persino gli atti e i documenti relativi al crimine. La sua storia è raccontata in un libro, Il caso Giles di Alberto Pintus e Maria Cugia (Edizioni di Associazione Storica Sassarese)”.

La sartina, pur avendo relazioni di lavoro con donne ben più facoltose, “non vuole di più, se lei può bastare a se stessa”. Non aspira ad abiti e lussi signorili, anche perché “le differenze fra i ceti erano tali che per una donna della classe operaia era impensabile indossare un abito da signora. Oggi invece c’è una differenza di classe dettata dai soldi, e dal desiderare sempre di più”.

Ribaltare gli stereotipi

La storia della giovane sartina di buon cuore è un topos del “feuilleton, della ‘letteratura consolatoria’ che raccontava la storia di persone povere a cui tutto andava bene”. Nel suo romanzo, però, Bianca Pitzorno prende spunto da “uno stereotipo, quello della fanciulla povera e sfortunata” e racconta “cosa le sarebbe potuto accadere, partendo da alcune storie vere”.

Una storia al femminile che riflette sulla posizione delle donne nella società e dipinge situazioni in parte superate, perché “le conquiste delle donne negli ultimi centovent’anni sono innegabili”, ma anche temi che fanno riflettere ancora oggi, come “i rapporti con gli uomini”, ancora difficoltosi, in alcuni casi.

Federico e Bianchina

Oltre a Il sogno della macchina da cucire, pubblicato con Bompiani “per continuare a lavorare con la editor Giulia Ichino” (con cui Pitzorno aveva già collaborato ai tempi de La vita sessuale dei nostri antenati), la scrittrice è in libreria anche con la versione illustrata da Sonia Maria Luce Possentini, “un libro scritto nel 1982”, La canzone di Federico e Bianchina (Mondadori). Basato sul fidanzamento “politico” tra due bambini nel Trecento, nasce in un periodo in cui la scrittrice stava facendo ricerche sulla giudicessa d’Arborea – Federico è figlio di Eleonora D’Arborea.

Il rapporto con i giovani lettori

Da anni Bianca Pitzorno si dedica solo alla letteratura per adulti e ammette: “Per motivi anagrafici non frequento più bambini. Quando scrivevo rivolgendomi a loro, uscivo con i bambini dei vicini, li portavo al museo e chiacchieravo con loro, così nascevano i miei libri”.

E sul rapporto con i giovani lettori ricorda: “C’è stato un periodo in cui mi scrivevano moltissimo, chiedendomi anche consigli. Purtroppo, da quando Costanzo in Italia ha iniziato a ospitare gli scrittori e a proporli come dei veri e propri personaggi, ho ricevuto sempre più lettere in cui mi si chiedeva solo l’autografo”.

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