Due sorelle, agli antipodi ma unite da un legame indissolubile. Nel romanzo “Cara pace” Lisa Ginzburg, scrittrice, traduttrice e filosofa, figlia di Carlo Ginzburg e nipote di Natalia Levi, restituisce l’essenza dei legami famigliari viscerali, che respingono e attraggono, uniscono e separano, distruggono e danno la vita. Dopotutto una famiglia è fatta anche di sofferenza: niente separa e niente unisce più del dolore – L’approfondimento
Allora era vera quella storia che ogni famiglia infelice è infelice a modo proprio. I drammi che esplodono tra le mura domestiche si frantumano e si diramano in mille direzioni, tutte diverse: ognuno resta con la propria ferita, incomprensibile, incomunicabile agli altri. Una ferita dalle radici comuni che continua a diramarsi nel corso della vita.
Come quella che affligge la famiglia di Maddi e Nina, due sorelle unite da un legame indissolubile. Tutto inizia quando la madre, Gloria, bellissima e irresistibile, si innamora di un altro uomo e decide di lasciare Seb, il marito, e le figlie.
Tradimento e abbandono: questi i capi d’accusa che pendono sulla sua testa. Seb è distrutto, disperato. Si rifugia nelle stelle, negli oroscopi, in qualche amante occasionale, ma niente. È impossibile superare quel dolore. Così decide di allontanarsi in un’altra città che non sia Roma, meglio stare a Milano, immerso nelle frenetiche questioni lavorative. Lì, nella capitale, lascia – anche lui – le due figlie, parcheggiate in una casa immensa e monumentale, insieme a una governante di nome Mylène, figura di una tenerezza sobria e confortante – che nulla però ha a che fare con il calore materno – , strenua sostenitrice del fatto che l’attività fisica sia l’unica arma per combattere la sofferenza.
Così, all’improvviso, Maddi e Nina si ritrovano in una condizione atipica, senza madre né padre, pur avendoli entrambi vivi: “orfane senza esserlo”. Torna più volte nel romanzo quest’espressione, insistente, spiazzante, proprio per sottolinearne la singolarità, l’atrocità di una tragedia incompiuta, lasciata a metà.
È un dolore contraddittorio, quello che provano le due sorelle, un dolore che non può essere vissuto in modo violento ed esaustivo, ma che è destinato a essere centellinato giorno dopo giorno, a lasciare tracce nel corso dell’esistenza e a sedimentarsi fino a diventare una corazza, o una scorza, uno scudo protettivo: un carapace.
Almeno questo è quello che succede a Maddalena, donna schiva, distante, composta, riservata, eppure sincera e accogliente. È sua la voce che racconta la storia di Cara pace (Ponte alle Grazie): parole terse, che scorrono come uno sfogo, un diario intimo, un percorso a ritroso per risalire a quel dolore che la accompagna da sempre.
Sono tanti i nodi rimasti impigliati nel suo passato, tante anche le zone d’ombra e i non detti lasciati in sospeso, ma il suo modo di consegnarli al lettore è sempre lucido e lineare. Una prosa cristallina, che solo a tratti lascia trapelare momenti più lirici ed evocativi, in cui si sente vibrare tutta la complessità emotiva del romanzo.
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Agli antipodi di Maddalena c’è Nina, incarnazione del suo opposto: bella, travolgente, magnetica, ed estrema: nei gesti, nelle passioni, nelle emoticon che riversa nei messaggi che si ostina a inviare- noncurante degli orari – alle quattro del mattino. Il giorno e la notte, “sorella sole sorella luna”, due donne che vivono ai due capi del mondo – Parigi e New York – e che per sopravvivere devono stare lontane, ma che non possono fare a meno l’una dell’altra. “Come io fossi lei, e lei me. Sconfortante indistinzione. Non mi trovo, me, Maddalena, persona singola staccata da mia sorella; me prigioniera di una simbiosi che anziché diminuire, liberarci, con il passare del tempo si fa più forte”.
Una più una. Un’unione che è addizione e sottrazione contemporaneamente. Sono insieme e sono sole, le uniche al mondo capaci di capirsi fino in fondo.
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Attraverso la loro storia Lisa Ginzburg (nella foto di Sophie Bassouls, ndr), scrittrice, traduttrice e filosofa, figlia di Carlo Ginzburg e nipote di Natalia Levi, restituisce l’essenza dei legami famigliari viscerali, che respingono e attraggono, uniscono e separano, distruggono e danno la vita.
Dopotutto una famiglia è fatta anche di sofferenza: niente separa e niente unisce più del dolore. È proprio sulle opposizioni che si costruisce il libro dell’autrice, che già aveva firmato, tra gli altri, Desiderava la bufera e la raccolta di racconti Colpi d’ala: antinomie di emozioni, personalità, desideri, situazioni. Prova che la vita è una costante mescolanza, indecisa e indecifrabile, di cambiamenti e di sentimenti contrastanti che fanno desiderare un carapace per difendersi, ma anche una cara pace per arrendersi e, finalmente, riconciliarsi.