Ha appena compiuto 80 anni ed è arrivata nelle sale italiane la sua ultima pellicola, “Irrational Man” con Joaquin Phoenix ed Emma Stone. E anche in questo film il cineasta newyorchese più amato dagli europei, Woody Allen, non manca di citare uno dei suoi riferimenti letterari più ricorrenti: Fëdor Dostoevskij (e in particolare “Delitto e castigo”). Su ilLibraio.it un lungo viaggio letterario nel suo cinema…
Ha appena compiuto 80 anni ed è arrivata nelle sale italiane la sua ultima pellicola, Irrational Man con Joaquin Phoenix ed Emma Stone. E anche in questo film il cineasta newyorchese più amato dagli europei, Woody Allen, non manca di citare uno dei suoi riferimenti letterari più ricorrenti: Fëdor Dostoevskij e in particolare Delitto e castigo. L’autore, ora impegnato a girare una serie tv per Amazon, operazione definita da lui stesso “un errore catastrofico”, nei suoi oltre 40 lungometraggi ha da sempre attinto a piene mani dalle pagine degli scrittori. Dalla loro presenza in carne e ossa, come nelle immagini di repertorio di Zelig (1983) dove compaiono nei panni di se stessi Saul Bellow e F. Scott Fitzgerald, ai titoli di film che citano espressamente la loro origine libresca come Una commedia sexy in una notte di mezza estate (1982) e Alice (1990) rispettivamente debitori del bardo Shakespeare e di Lewis Carroll. Per non parlare dei tanti protagonisti scrittori delle sue pellicole: Settembre (1987), Un’altra donna (1988), Harry a pezzi (1997), Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni (2010) e Midnight in Paris (2011).
E come il protagonista di quest’ultimo film, il Gil interpretato da Owen Wilson, proviamo a fare un tuffo nel passato,ad analizzare dieci pellicole di Allen e a ricostruire citazioni, curiosità e dialoghi ispirati dai padri della letteratura. E scopriremo che quella per Kafka e Dostoevskij è una vera ossessione per Allen. Che ne abbia mai parlato al suo terapista?
Amore e guerra (1975)
È l’omaggio di Allen alla letteratura russa. Ambientato nella Russia del XIX secolo, Amore e guerra è fin dal titolo una rivisitazione in chiave alleniana del romanzo Guerra e pace di Tolstoj, anche se non mancano i riferimenti a Dostoevskij e persino a Nabokov. Quando il protagonista, Boris, parte per la guerra lo vediamo infatti armato di retino e collezione di farfalle: è un chiaro riferimento all’autore di Lolita, che era anche entomologo e collezionava farfalle.
In un altro momento del film Boris cerca di comporre una poesia: «I should have been a pair of ragged claws scuttling across the floors of silent seas» (Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli /Che corrono sul fondo di mari silenziosi) per poi appallottolare il foglio e buttarlo, dicendo che era troppo sentimentale. In realtà si tratta di alcuni versi de Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di T. S. Eliot.
Ma il dialogo-summa di citazioni è quello tra il padre di Boris e il figlio mentre quest’ultimo si trova in prigione:
Padre: Ricordi quel bravo ragazzo nostro vicino, Raskolnikov?
Boris: Si.
Padre: Ha ucciso due signore.
Boris: Ma che brutta storia.
Padre: A me lo ha detto Bobik. Lo ha saputo da uno dei fratelli Karamazov.
Boris: Atti inconsulti di ossessi.
Padre: Non aveva né guerra né pace.
Boris: O forse era solo un idiota.
Padre: Aveva una faccia da umiliato e offeso.
Boris: Io sapevo che era un giocatore.
Padre: Potrebbe essere il tuo sosia!
Boris: La realtà romanzesca!
Il dialogo è un divertissement tra i principali titoli dello scrittore prediletto da Allen, Fëdor Dostoevskij: Raskolnikov è infatti il protagonista del capolavoro Delitto e castigo che ritorna in diversi film del regista, così come I fratelli Karamazov sono i personaggi principali del romanzo omonimo. Gli altri titoli citati sono: Una brutta storia, I demoni, L’idiota, Umiliati e offesi, Il giocatore, Il sosia e Guerra e pace di Tolstoj.
Io e Annie (1977)
Dalle citazioni viventi – nel film sono presenti, nei panni di se stessi, il celebre sociologo canadese Marshall McLuhan e lo scrittore Truman Capote che interpreta “un uomo che sembra Truman Capote” – a disquisizioni letterarie che diventano spunto per far emergere le differenze tra la coppia di protagonisti, Annie Hall (Diane Keaton) e Alvy Singer (Woody Allen). E il riferimento alla letteratura russa non poteva mancare in questa commedia eletta recentemente la sceneggiatura più divertente di tutti i tempi secondo la Wga (Writers Guild of America), il sindacato degli sceneggiatori statunitensi.
Alvy Singer: Stai avendo un flirt con il tuo professore di università. Quel fesso che insegna Crisi contemporanea nell’uomo orientale…
Annie Hall: Motivazioni di fondo del romanzo russo, ci sei andato vicino.
Alvy Singer: Che differenza c’è? Tutte masturbazioni intellettuali.
Annie Hall: Ah, finalmente un argomento che conosci veramente a fondo.
Alvy Singer: Ehi, non denigrare la masturbazione. È sesso con qualcuno che amo.
Visioni differenti anche su un’altra figura letteraria, quella di Sylvia Plath. «Ah, Sylvia Plath – dice Alvy – una poetessa interessante il cui tragico suicidio è stato erroneamente interpretato come romantico dalla mentalità studentesca». La risposta di Annie? «Oh, non lo so. Alcune sue poesie sembrano eccezionali» (in inglese neat).
Altra scena emblematica è quella della divisione dei libri mentre la coppia si sta lasciando. A seguito della domanda di Alvy: “Di chi è Il giovane Holden?” si innesca un dialogo spassoso.
Annie Hall: Allora, tutti i libri sulla morte sono i tuoi. E tutti quelli di poesia sono i miei.
Alvy Singer: Rifiuto della morte, ricordi? Fu il primo libro che ti regalai…
D’altro canto quello della morte è “un grande tema” aveva dichiarato Alvy sin dal loro primo incontro. Un tema che ricorre anche alla fine del film, quando Annie sceglie di rimanere a Los Angeles con la rock star Tony (Paul Simon) e al suo ritorno a New York con il personaggio di Allen, si domanda: «Cosa c’è di così grande a New York? È una città che muore. Tu hai letto Morte a Venezia». «Non hai letto Morte a Venezia fino a quando non te l’ho comprato io» risponde Alvy.
Persino in una scena intima di Alvy con un’altra donna il riferimento letterario non manca. La ragazza infatti lo apostrofa così: «Fare sesso con te è un’esperienza di tipo kafkiano. E te lo dico come complimento».
Manhattan (1979)
Kafka ritorna come metro di paragone in un altro capolavoro di Allen, Manhattan. Per esempio in questo dialogo tra Mary (Diane Keaton) e Isaac (Woody Allen).
Mary: Oh, ti prego non psicanalizzarmi. Io pago un dottore per questo.
Isaac: Ehi, tu chiami quel tizio con cui chiacchieri “un dottore”? No, dico, non ti insospettisce quando il tuo analista ti chiama alle tre del mattino e scoppia in singhiozzi al telefono?
Mary: Va bene, non sarà ortodosso. Ma è un dottore altamente qualificato.
Isaac: Ah! Ha fatto un gran lavoro con te. Hai una stima di te che è solo di una tacca sotto Kafka.
In un monologo diventato di culto, Isaac ripercorre i motivi per cui vale la pena vivere e tra gli scrittori, cita Flaubert.
Be’, devo essere ottimista. Va bene, dunque, perché vale la pena di vivere? Ecco un’ottima domanda. Be’, esistono al mondo alcune cose, credo, per cui valga la pena di vivere. E cosa? Ok. Per me… io direi… il buon vecchio Groucho Marx tanto per dirne una, e Joe DiMaggio e… il secondo movimento della sinfonia Jupiter… Louis Armstrong, l’incisione Potato Head Blues… i film svedesi naturalmente… L’educazione sentimentale di Flaubert… Marlon Brando, Frank Sinatra, quelle incredibili… mele e pere dipinte da Cézanne, i granchi da Sam Wo, il viso di Tracy…
Tra gli amati svedesi (il regista Ingmar Bergman su tutti) Isaac non manca di fare riferimento al drammaturgo August Strindberg, autore della Signorina Giulia, e spesso etichettato come misogino:
«Quando si tratta di rapporti con le donne, io sono il vincitore del premio August Strindberg».
Hannah e le sue sorelle (1986)
In uno dei passaggi più romantici del film, Elliot (interpretato da Michael Caine) mette in scena un battibecco con la sorella di sua moglie Lee (Barbara Hershey), che ama segretamente. Dopo un’incursione improvvisata in una libreria, Elliott insiste per regalarle un volume del poeta Edward Estling Cummings dicendo di prestare attenzione alla poesia a pagina 112 «che gli ha fatto pensare a lei». Giunta a casa, Lee legge la poesia, che recita: «Il tuo più tenue sguardo / facilmente mi aprirà / benché abbia chiuso me stesso / come dita / sempre mi apri petalo per petalo / come la primavera fa / toccando accortamente / misteriosamente la sua / prima rosa / e io non so quello che c’è / in te che chiude e apre / solo qualcosa in me / comprende che è più / profonda la luce dei tuoi / occhi di tutte le rose / Nessuno… neanche / la pioggia ha… / così piccole mani».
Quest’ultimo verso è l’epigrafe di Lo zoo di vetro scritto da un altro dei padri letterari di Allen, Tennessee Williams.
Crimini e misfatti (1989)
Il documentarista Cliff Stern (Woody Allen), deluso della sua vita e di un rapporto coniugale che si trascina stancamente, vede in Halley (Mia Farrow), che lavora nel mondo del cinema, la via d’uscita ai suoi problemi. I due si conoscono durante la realizzazione di un documentario, a lui commissionato, sulla figura del miliardario Lester, uomo di successo e dalla dubbia moralità, che però ricopre di attenzioni proprio Halley. In questo dialogo, diventato famoso per il riferimento alle piogge acide, viene citato un mostro sacro della letteratura.
Cliff Stern: Posso farle la stessa domanda che ho fatto al produttore? Perché vi scomodate con quell’individuo? Voglio dire che è una palla, un trombone. Voi fate sempre profili fantastici.
Halley Reed: Be’, senta, glielo dico. Che resti fra me e lei. Io volevo fare il profilo di Gabriel García Márquez.
Cliff Stern: Quello è perfetto.
Halley Reed: Fanno questo e quello. Amano un po’ di varietà. Dopo tutto lui (Lester, ndr) è un fenomeno americano.
Cliff Stern: Lo sono anche le piogge acide.
Halley Reed: Sì, ma proprio non le piace, eh?
Cliff Stern: Io lo amo come un fratello. Vedi Caino e Abele.
È significativo ma anche dall’indubbio effetto comico che la rivalità tra Cliff e Lester si espliciti attraverso una “singolar tenzone” letteraria quando Cliff cerca di dimostrare la propria abilità nel recitare la poesia di Emily Dickinson Poiché non potevo fermarmi per la morte.
Ombre e nebbia (1991)
È in questo film che si palesa il debito di Allen a Franz Kafka. Tratto da una pièce teatrale dell’inizio degli anni ‘70 scritta dal regista stesso ma intitolata Morte (pubblicata nel libro Senza piume), è una parodia del personaggio “K” de Il processo. Il testo breve riprende i temi dell’incomprensione degli altri, cari all’autore praghese, e ne fa un umorismo intelligente. Così nel 1991 Allen riprende il proprio testo e lo amplia.
Si rifà inoltre alle atmosfere e ai personaggi de L’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht: uomini e donne che si agitano in un mare di criminalità che nasconde però una fortissima umanità. Per completare la citazione brechtiana usa due brani della famosissima colonna sonora che Kurt Weill compose per l’omonima rappresentazione teatrale.
Mariti e mogli (1992)
Se Amore e guerra era un omaggio alla letteratura russa, qui troviamo una perfetta sintesi della stima di Allen per i romanzieri dell’ex repubblica sovietica. E attraverso delle sapide metafore culinarie.
«Tolstoj… Tolstoj è un pasto… Turgenev io direi che è un favoloso dessert, così lo caratterizzerei…E Dostoevskij? Ah sì, Dostoevskij è un pasto completo con contorno di vitamina e germe di grano».
Davvero spassoso è anche il lapsus shakespeariano della giovane amante di Jack (Sydney Pollack), Sam (Lysette Anthony):
Jack: Fidati di me: è Re Lear, non Lehar. Shakespeare non ha mai scritto Re Lehar.
Sam: Lo so, signor intellettuale, ma pensavo che Lehar avesse scritto la musica.
Match Point (2005)
Il protagonista di questo film è una rielaborazione in chiave moderna di Rodion Romanovič Raskolnikov, l’antieroe di Delitto e castigo.
Chris (Jonathan Rhys-Meyers) è un giovane irlandese di origini modeste, da poco ritiratosi dal tennis professionistico, che viene assunto come istruttore in un club esclusivo di Londra. Chris è appassionato di Dostoevskij e di opera.
Una forte influenza sulla scrittura del personaggio di Chris e dell’intera sceneggiatura proviene proprio dal romanzo del 1866, che viene letto in alcune scene del film dal protagonista.
Chris come Raskolnikov uccide un’anziana donna per dimostrare di essere un individuo superiore, ma a differenza di quest’ultimo – che trova il suo castigo nel rimorso interiore che lo accompagna (confesserà il delitto) fino a che non troverà la via di salvezza nell’amore e nella fede – il protagonista di Allen manca totalmente di senso di colpa duraturo nonché di redenzione. Chris è solitario e meditabondo, e assassina Nola (Scarlett Johansson) perché considera i propri interessi preponderanti a quelli attorno a lui; ma non ha rimorsi. Le analogie con il romanzo di Dostoevskij sono ancor più manifeste in alcune scelte di Allen: entrambi i killer tentano di coprire il crimine simulando una rapina, entrambi sono messi sotto pressione da investigatori caparbi. Ma il regista non ammette che vi sia una redenzione, né tramite una punizione, né tramite Dio, né tramite l’amore.
Sul concetto di sorte, che apre il film, è imperniata la vicenda del protagonista che non a caso cita uno dei più grandi tragici greci, Sofocle: «Non venire mai alla luce, può essere il più grande dei doni».
Basta che funzioni (2009)
Boris Yellnikoff (Larry David) è un uomo di mezza età un tempo fisico di fama internazionale e candidato al Premio Nobel. Dopo aver tentato il suicidio divorzia e va a vivere da solo, cercando di isolarsi dalle persone che non ritiene siano al livello del suo intelletto. In un monologo in cui non risparmia nessuno – e in particolare i media – il centro nevralgico della sua argomentazione diventa l’espressione del celebre personaggio conradiano, il colonnello Kurtz, “l’orrore” (poi ripreso in chiave moderna in Apocalipse Now di Coppola).
Boris: Ma qual è il significato di tutto? Niente! Zero! Nulla! Tutto finisce in niente, anche se non mancano gli idioti farfuglianti. Non parlo di me, io la visione ce l’ho, sto parlando di voi, dei vostri amici, dei vostri colleghi, dei vostri giornali, della tv. Tutti molto felici di fare chiacchiere, completamente disinformati. […] Mio padre si è suicidato perché i giornali del mattino lo deprimevano e lo potete biasimare? Con l’orrore, la corruzione e l’ignoranza e la povertà e i genocidi e l’AIDS e il riscaldamento globale e il terrorismo e quegli idioti dei valori della famiglia e quei maniaci delle armi. «L’orrore» dice Kurtz alla fine di Cuore di tenebra, «l’orrore». E beato lui non distribuivano il Times nella giungla. Eh, se no l’avrebbe visto l’orrore. Ma che si può fare? Leggete di qualche massacro nel Darfur o di uno scuolabus fatto esplodere e attaccate “oh, mio Dio l’orrore!” e poi girate pagina e finite le vostre uova di gallina ruspante, perché tanto che si può fare, si è… si è sopraffatti. Anche io ho tentato di suicidarmi, ovviamente non ha funzionato […].
Midnight in Paris (2011)
Gil (Owen Wilson) è uno sceneggiatore di Hollywood in vacanza con la fidanzata Inez a Parigi. La sua vera aspirazione è tuttavia scrivere un romanzo e cerca nella Ville Lumière la sua ispirazione.
Verrà catapultato da un’auto d’epoca allo scoccare della mezzanotte nella Parigi degli Anni Venti frequentata da artisti e scrittori con cui converserà amabilmente e si troverà a trascorrere serate indimenticabili. Accanto a Picasso, Dalì, Buñuel, e Man Ray stringerà amicizia con Francis Scott Fitzgerald e con la moglie Zelda nonché avrà diverse conversazioni su amore, vita, scrittura e ispirazione con Ernest Hemingway. Eccone una:
Hemingway: Non scrivi mai bene se hai paura di morire. Tu ce l’hai?
Gil: Sì, io direi che forse è la mia paura più grande.
Hemingway: Be’, è una cosa che a tutti prima di te è successa e a tutti succederà.
Gil: Lo so.
Hemingway: Hai mai fatto l’amore con una vera meraviglia di donna?
Gil: Be’, ecco, la mia fidanzata è parecchio sexy!
Hemingway: E quando fai l’amore con lei, senti una vera e bellissima passione che almeno per quel momento dimentichi la paura della morte?
Gil: No, no… Questo non succede.
Hemingway: Io penso che l’amore vero, autentico, crei una tregua dalla morte; la vigliaccheria deriva dal non amare o dall’amare male, che è la stessa cosa, e quando un uomo vero e coraggioso guarda la morte dritta in faccia come certi cacciatori di rinoceronti o come Belmonte che è davvero coraggioso, è perché ama con sufficiente passione da fugare la morte dalla sua mente, finché lei non ritorna, come fa con tutti. E allora bisogna di nuovo far bene l’amore. Devi pensarci.
Il film è evidentemente ricco di allusioni ma solo una è stato oggetto di querela. Il gruppo che rappresenta l’eredità di William Faulkner ha fatto causa alla Sony Pictures Classics, sostenendo che una frase pronunciata da Gil ha violato il copyright: «Il passato non è morto! In realtà, non è nemmeno passato. Voi sapete chi lo ha detto? Faulkner. E aveva ragione. E l’ho incontrato, anche. L’ho incontrato a una cena», dice il protagonista del film. La citazione reale da Requiem per una monaca di Faulkner è «Il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato».
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