Una perla vintage, iconicamente anni ’90, irresistibilmente dissacrante. “Daria”, sitcom animata statunitense creata da Glenn Eichler e Susie Lewis Lynn, fu trasmessa tra il 1997 e il 2002 e nacque come spin-off di “Beavis and Butt-head”. Parliamo di un personaggio figlio del suo tempo, (la serie terminerà quando le atmosfere cupe e intrise di black humor lasceranno il posto al rutilante e ottimista pop dei primi anni Duemila), e anche per questo da riscoprire, che non è l’eroina di cui il mondo ha disperatamente bisogno: nella sua inazione possiamo leggere pigrizia, nichilismo, o una rigidità tipicamente adolescenziale…
Vi ricordate Beavis and Butthead? Linee caricaturali e vagamente inquietanti davano vita ai due protagonisti, orrendi e stolidi adolescenti appassionati di heavy metal, che occasionalmente abbandonavano la loro apatia per dedicarsi a ping pong di turpiloqui o all’attività più stupida e pericolosa a disposizione. Era, chiaramente, molto divertente.
Eravamo sintonizzati su MTV, ed era la fine del ventesimo secolo: il grunge era già esploso e lasciava spazio al post-grunge, meno abrasivo del suo predecessore, ma capace di scalzare definitivamente la cultura dominante di matrice boomer, molto più regimentata e tipica degli anni ’70 e di rendere finalmente cool sarcasmo, antiautoritarismo e quell’alienazione da materalismo e aspettative sociali che la Gen X e i primi Millennial ricorderanno bene.
La serie, nata nel 1993 e trasmessa in Italia nel 1998, piacque: commenti satirici e critica sociale facevano da contraltare alla violenza e alla demenzialità spesso totalmente gratuita dei due ragazzi.
Inutile però dire che lo show era anche parecchio sessista: uno degli scrittori, David Felton, racconterà di come la maggior parte delle donne odiasse la serie, puntellata come’era dall’ossessione di Beavis per le “fighette” e dai continui riferimenti di Butthead al lavoro della madre dell’amico, che il lettore può facilmente intuire.
Pare che lo stesso presidente di MTV, Judy McGrath, lamentasse l’assenza di persone intelligenti e ragazze nello show. Così, per riequilibrare la situazione, venne presto introdotta una crasi di questi due elementi mancanti, una sorta di anti-Beavis and Butthead capace di mettere i protagonisti “al loro posto”: Daria Morgendorffer.
Fu un successo. Quella liceale fuori moda, imperturbabile e sardonica al tempo stesso, non solo mise i protagonisti al loro posto, ma si ritagliò presto il proprio: nel 1997 nacque Daria, lo spin-off a lei dedicato.
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“If it weren’t so funny, it would be unbearably sad”
Daria si lascia alle spalle la cittadina texana di Highland e il soprannome “Diarrea” per trasferirsi nella fittizia città di Lawndale. Il distacco non è solo narrativo, ma anche stilistico: se B&B ha linee grezze, infantili, e una palette sbiadita, quasi scolorita, Daria ha linee piene, spesse e precise, e colori intensi e decisi. Per Susie Lewis, co-creatrice della serie, un riflesso della visione del mondo di Daria: piena, spessa e precisa.
Lawndale si presenta come la classica, classicissima cittadina americana, identica nell’immaginario a migliaia di altre città quasi esclusivamente bianche. Qui Daria conoscerà Jane, una giovane artista insieme alla quale navigherà nel panorama liceale popolato da personaggi emblematici, capaci di offrire il contraltare perfetto per il ficcante humor delle due ragazze – irresistibile per gli spettatori, quasi mai capito dai diretti interessati.
Ragazzi: “So… where have you girls been all our lives?”
Daria:”Waiting here for you. We were born in this room, we grew up in this room, and we thought we would die here… alone. But now you’ve arrived, and our lives can truly begin.” The Invitation, Stagione 1 Episodio 2
La serie fa la sua comparsa su un canale dove al tempo la rappresentazione del femminile era costantemente ipersessualizzata, o l’unico scopo del personaggio femminile era permettere al protagonista maschile di brillare. Poi è arrivata Daria, che non era solo intelligente. Non era il classico brutto anatroccolo un po’ witty segretamente innamorata del più bello della scuola, non è depressa, non è arrabbiata, non è geek e non è goth: è semplicemente – per dirla con le sue parole – realista.
I compagni di scuola, gli adulti di riferimento, la cittadina e le sue dinamiche: tutti questi elementi, che possono oggi apparire eccessivamente stereotipati, sono in realtà il costante pretesto per un critica di ampia portata, rivolta alla superficialità della cultura americana del tempo: patinata, superficiale, ipocrita, borghese, bianca.
Daria non solo rifiuta gli atteggiamenti e le pose che la società (sia i coetanei sia gli adulti) vorrebbero per lei, ma non ha mai paura di fare presenti le iniquità, i double standard e la manipolazione delle insicurezze adolescenziali che vede costantemente intorno a sé.
Daria: “As far as I can make out, ‘edgy’ occurs when middlebrow, middle-aged profiteers are looking to suck the energy – not to mention the spending money – out of the ‘youth culture’. So they come up with this fake concept of seeming to be dangerous when every move they make is the result of market research and a corporate master plan.”
(L’editor di una rivista di moda chiede a Daria la definizione del termine Edgy)
The Lost Girls, Stagione 3 Episodio 6
Il personaggio di Daria non è però l’eroina di cui il mondo ha disperatamente bisogno: non è onnisciente, e nemmeno impermeabile alle emozioni come spesso vorrebbe far credere. Considera superficiale chiunque intorno a lei si dimostri interessato alla cura di sé e agli oggetti di consumo, pur riconoscendo le nefaste influenze e pressioni culturali all’origine dell’ossessione per la propria immagine.
Ma soprattutto, Daria non agisce. Non agisce né per promuovere attivamente un cambiamento sociale, ma nemmeno per approfittare di quell’intelligenza che le permette di vedere davvero il mondo e le sue dinamiche, scegliendo di rimanere nel ruolo a lei più congeniale: quello di osservatrice della realtà, lucida perché ai suoi margini, ma limitata dalla sua stessa posizione. Un’inazione in cui possiamo leggere pigrizia, nichilismo, o una rigidità tipicamente adolescenziale che, in fondo, non ha un vero motivo se non un vago idealismo.
Insomma, a volte la visione del mondo di Daria potrebbe sembrarci oggi povera di sfaccettature: sarebbe interessante chiedersi se figure come la biondissima cheerleader Brittany fossero davvero i personaggi monodimensionali che appaiono agli spettatori o rappresentassero il percepito della protagonista, filtrato dalla sua visione rigida e purista che non prevede contaminazioni tra mondi.
Daria avrà comunque un’evoluzione nell’arco della serie, che ne metterà in luce fragilità e debolezze, e ci regalerà un cambiamento positivo nel rapporto con alcuni personaggi e nella revisione di alcune posizioni quasi estremiste.
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COSA RESTA DI DARIA OGGI?
Daria era un prodotto come non se ne vedevano in giro. Oggi ne è passata di acqua sotto i ponti… o forse no? Dopo l’esplosione dei cartoni animati per un pubblico adulto e serie con personaggi strutturati come Bojack Horseman (Diane Nguyen vi ricorda qualcuno?) possiamo ancora considerare Daria come attuale e godibile, pur con i suoi limiti?
Daria è figlia del suo tempo: dal sarcasmo alla critica sociale passando per le scelte musicali, tutto ci ricorda gli anni in cui ci troviamo, e forse non è casuale che la serie terminerà agli inizi del 2002, quando le atmosfere cupe e intrise di black humor lasceranno il posto al rutilante e ottimista pop dei primi anni Duemila.
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Ma nonostante sia fiorita dalle fertili ceneri del grunge, Daria è ancora oggi in grande forma.
Quella ragazza era e rimane un personaggio interessante, di cui è non è così semplice individuare veri eredi nel contemporaneo, perché Daria non è una it girl, un’anticonformista cool alla manic pixie dream girl, ma non è neanche una loser tout court: lei si comporta, si veste, e parla come una persona genuinamente non interessata all’opinione degli altri, al punto di dire cose che almeno una volta ognuno di noi ha sognato di dire – ma era troppo educato o preoccupato del giudizio sociale per farlo. È, insomma, una cool loser prima che i loser diventassero cool.
La ricetta perfetta della serie è stata forse il continuo bilanciamento tra una critica non edulcorata contro l’autorità e la profonda ipocrisia di una società che finge di non calpestare gli ultimi, ossessionata dal consumismo, e una più “digeribile” alienazione adolescenziale e le correlate dinamiche tra liceali. Temi come la politica, le disuguaglianze sociali ma anche i disturbi alimentari sono trattati con disincanto, arguzia, mai banalizzati: estremamente rinfrescante rispetto alla fastidiosissima retorica da pubblicità progresso che chi è cresciuto negli anni Novanta ricorderà bene.
Tutto questo ha contribuito a rendere Daria una perla vintage, iconicamente anni Novanta, irresistibilmente dissacrante.
Daria: “Is life always tawdry, stupid and humiliating or is it just a phase?”
Aunt Amy: “Just a phase. I’m expecting to grow out of it any time now.”
I Don’t, Stagione 2 Episodio 4
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