“Stacanovisti dello schermo, con la battuta pronta e la capacità di cambiare opinione anche più volte al giorno… e simili anche nella distanza tra le parole e i fatti…” – Su IlLibraio.it l’analisi di Davide Vecchi (giornalista de Il Fatto Quotidiano e autore de “L’intoccabile”) sull’ascesa di Salvini e i punti di contatto tra lui e il premier Renzi

Populisti, cresciuti a pane e tv commerciale, stacanovisti dello schermo con la battuta pronta e la capacità di cambiare opinione anche più volte al giorno: i due mattei hanno molto in comune, non solo il nome. Entrambi hanno costruito la loro immagine pubblica raccontandosi come “nuovi” della politica, quando in realtà, pur avendo appena 40 anni Renzi e 41 Salvini, più di metà della loro esistenza l’hanno trascorsa tra partiti e Palazzi. E ciascuno li ha sfruttati fin quando è stato utile. Ma se per raccontare l’insostenibile ascesa renziana, che in appena sei anni è riuscito a trasformarsi da anonimo presidente della provincia di Firenze a premier, mi è servito un libro (L’intoccabile – Matteo Renzi. La vera storia, ed. Chiarelettere); per ricostruire l’exploit salviniano è sufficiente qualche articolo di giornale. Sintetizzabile, fra l’altro, in poche frasi: allevato da Umberto Bossi dal 1990, spedito a Bruxelles nel 2004 col tutor Mario Borghezio, nominato segretario del Carroccio quando il partito era ormai annientato dai diamanti in Tanzania di Francesco Belsito e dalle lauree albanesi del Trota, ora star dei talk show più che politico concreto. Salvini è un “brillante attaccamanifesti”, per dirla con le parole di Giuliano Ferrara, o un “fannullone” come del resto ha ammesso lui stesso durante la sua partecipazione televisiva al Pranzo è servito (sì, anche lui come Renzi è passato dai quiz di Fininvest) e come lo ha definito il deputato socialista Marc Tarabella in aula a Strasburgo (come si vede nel video sotto) durante una delle rare sedute in cui l’eroe padano si è presentato: “Salvini è un fannullone assenteista, non ha mai lavorato insieme agli altri correlatori preferendo andare in televisione”.

Perché poi, ogni tanto, qualcuno se ne accorge. E anche in questo i due mattei sono simili: la distanza tra le parole e i fatti. Se Renzi è afflitto (o affetto) da annuncite e si smentisce a seconda dei giorni – le dichiarazioni sui dati relativi all’astensionismo sono da record (qui)  – Salvini va oltre: si scaglia contro le parentopoli ma sistema la compagna nella Regione dell’amico Roberto Maroni, impreca contro gli immigrati colpevoli di creare degrado nelle città ma poi specula acquistando a sprezzi stracciati un appartamento nel condominio più degradato di Milano, il fortino di viale Bligny. Ancora: annuncia di avere la ricetta per rilanciare l’economia ma poi è costretto a licenziare tutti i 71 dipendenti del partito e chiudere il quotidiano la Padania perché i bilanci della Lega sono in profondo rosso. “Però in tv funziona”. Come l’altro Matteo.

La campagna elettorale permanente, che Renzi ha inaugurato nel settembre 2010 lanciando la rottamazione con un’intervista a Repubblica, Salvini l’ha scoperta appena pochi mesi fa occupando, di fatto, uno spazio prima saldamente difeso da Renzi: la critica a prescindere. L’ex sindaco di Firenze ora non può più bollare “disastro” (lo disse a Veltroni) il segretario del Pd, perché è lui. E non può attaccare “i soliti inciucisti a larghe intese” come faceva un tempo perché oggi sarebbe un’autocritica: è alla guida di un governo tecnico non eletto da nessuno. Inoltre l’assenza dalla scena di Silvio Berlusconi, il pregiudicato condannato per frode fiscale, ha contribuito a spalancare la prateria a Salvini. Il risultato in Emilia Romagna di domenica ha spinto il leader del Carroccio a esprimersi in toni entusiastici annunciando l’approdo anche al Sud, ma non con i fucili, come diceva Bossi, ma a caccia di voti. Nella speranza che Napoli si sia dimenticato i suoi cori razzisti e il suo passato antimeridionalista. La coerenza del resto in via Bellerio è un valore. Come i confini della Padania, passati dalla linea del Po alle pendici dell’Etna.

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