Che cosa significa accettare di essere personaggi secondari nella vita dei propri genitori? La scrittrice e giornalista Elvira Lindo con “A cuore aperto” scrive un memoir toccante e a tratti ironico, per ripercorrere la vita dei genitori, la propria e quella dei fratelli all’insegna dei ricordi. La storia della Spagna si intreccia a quella di una famiglia insolita, che non si può mai dare per scontata, attraversata com’è da tante contraddizioni e da legami forti – L’approfondimento

“Ho sempre pensato di trasformare i miei genitori in personaggi da romanzo perché così li ho sempre visti, a volte con ammirazione, altre con turbamento, fin da piccola” (p. 335).

È tra i ringraziamenti che si trova la conferma di quanto emerge già durante la lettura: A cuore aperto, memoir della scrittrice e giornalista Elvira Lindo (foto di © Ivan Giménez-Seix Barral), tradotto da Roberta Bovaia e in libreria per Guanda, è un’immersione e una trasfigurazione della propria vita familiare.

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Ci si muove attraverso il presente, che vede il padre malato, ricoverato in ospedale, e il passato, osservato nei minimi dettagli da una figlia che, insieme ai fratelli, accetta di essere personaggio secondario nella storia dei genitori.

Osservare è la parola-chiave che accompagna la protagonista e io narrante, nella consapevolezza che la memoria ha fatto talvolta un lavoro di cesello, talaltra ha portato l’oblio (“la memoria/ ha fatto un buon lavoro/ censurando/ il nero di alcuni anni/ che mi hanno impedito/ anni dopo/ di amarti./ Di amare”, p. 166).

Il padre troneggia sul resto della famiglia: mai arresosi alle avversità, che ha affrontato fin da piccolo con grande forza d’animo, non accetta lagnanze e debolezze. Colpisce fin dall’inizio dell’opera il suo muoversi tra grandi contrapposizioni: pur essendo incapace di violare la legge, ammira i malviventi; è tanto un viveur all’esterno quanto un puritano in casa. Anche il sentimento che lo lega alla moglie è un “amore dolce e violento” (p. 264), intreccio di gelosia e possessività, ma non manca di accudimento, nel momento in cui si scopre che la donna deve essere operata a cuore aperto. Il padre spende la vita per i numeri, come contabile, che lo rassicurano con la loro razionalità, eppure non rinuncia a coltivare passionalità e irrazionalità.

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Lui, che sa “comandare e amare, ma in un modo concitato, intenso, a volte divertente e altre ingiusto” (p. 101), spinge la protagonista a temere di essere presa in giro o di essere poco considerata, semplicemente perché è la figlia minore. Non è semplice avere a che fare con i deliri che scattano se lui viene contraddetto o screditato, né accettare di dover cambiare così spesso città, scuola, casa e stile di vita, per seguire il padre nei suoi lavori qui e là per la Spagna.

Madrid, Malaga, Palma, Cadice sono solo alcuni dei luoghi che ospitano la famiglia, e alla madre, innamorata del marito e da sempre abituata a sopportare “il suo delirio e la sua arbitrarietà” (p. 104), non è ammesso opporre resistenza, né intristirsi, davanti all’ennesimo sradicamento (“mia madre a volte vuole essere triste, ma mio padre non glielo permette”, p. 133). La figura materna è destinata a subire notevoli cambiamenti nel corso del tempo, ora condizionati dal comportamento paterno, ora causati dalla sua patologia cardiaca, che la porterà a vedersi trasformata da una grande cicatrice che la segnerà dentro e fuori.

Queste e altre situazioni familiari portano la protagonista a crescere prima del tempo: “i miei genitori / mi hanno fatto diventare adulta/ a dieci anni”, ricorda in uno stralcio di poesia a p. 167. L’atmosfera in casa, le tensioni, le preoccupazioni, i continui cambiamenti a cui i figli devono sottostare senza mai esporsi, il senso bruciante di responsabilità e di minaccia condizionano la crescita (“la responsabilità è un peso che grava sul petto, la minaccia della morte, la stretta di un artiglio alla nuca”, p. 145). E questo traccia solchi profondi, che si manifestano nella protagonista sotto forma di tic nervosi, rituali nevrotici, che lei deve compiere metodicamente per scongiurare la morte, la malattia, o chissà quali altri pericoli. Lei coglie la fragilità e la transitorietà di tutto, e forse è anche questa precarietà ad alimentare l’interesse per l’osservare e prevedere (“osservare mio padre, cercare di capire un comportamento instabile, imprevedibile, che andava dalla tenerezza alla furia senza lasciarti il tempo di reagire”, p. 294).

O forse è per questo richiamo continuo all’adattarsi a una realtà complessa e a figure genitoriali instabili, chi per carattere, chi per problemi di salute, che la protagonista si trova “costretta a interpretare diversi personaggi” (p. 180), quindi a mostrarsi differente, a seconda di chi ha davanti. In casa continua a rimanere una bambina, anche quando ormai è cresciuta, mentre parla di sesso con le sue coetanee e tiene nascosta la tessera del partito comunista; a scuola prova a emergere, sperando di distinguersi, mentre prova a capire chi vuole diventare. Non è semplice accettarsi con le proprie debolezze e con i propri bisogni, né è facile aprirsi agli altri, costruire amicizie e relazioni, senza scimmiottare il comportamento di qualcun altro. Altrettanto difficile è accettarsi per come si è, tappa fondamentale per fare i conti con il passato (“A volte ci si impiega mezza vita per riuscire a guardare se stessi con compassione”, p. 69).

Quando nel racconto fa irruzione la grande Storia (lo sbarco dell’uomo sulla Luna o il passaggio del partito comunista dall’essere proibito alla liceità, la questione basca…), questa è sempre filtrata dai commenti di uno dei personaggi (si avvertono soprattutto lo sguardo e le parole giudicanti del padre).

È però la realtà familiare ad avere la meglio, con tanti personaggi minori che entrano nella costellazione della protagonista per qualche tratto, lungo o breve che sia, in ricordi che a volte fanno sorridere o che incupiscono. Si realizza così quel memoir che il padre avrebbe voluto tanto scrivere di sé, se ne avesse avuto le capacità (“fantasticavi di scrivere le tue memorie, ma la tua mente non era in grado di affrontare i ricordi, tantomeno riordinarli”, p. 257).

La protagonista e narratrice, colta da una vocazione “non letteraria ma avventuriera” (p. 301), rimastica così ciò che è accaduto in famiglia, consapevole della trasformazione che ha attuato il tempo: da un lato, “l’ironia ha coperto tutte le inquietudini famigliari trasformandole in un catalogo di aneddoti umoristici” (p. 23); dall’altro, “il tempo/ che si affanna/ nel suo lavoro di/ alleviare il dolore/ non cura le ferite/ le conserva/ e te le riporta tutte/ quando meno te l’aspetti”. Tra questi poli opposti, generatori di frammenti ed episodi che potrebbero essere letti anche come racconti auto-conclusivi, si muove A cuore aperto, un’opera composita, che si avvale di prosa, poesia, sezioni dai titoli significativi, per raccontare a cuore aperto non solo una vita, ma una famiglia dentro la storia.

Fotografia header: Foto © Ivan Giménez-Seix Barral

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