Elvis Malaj, classe 1990, albanese, si è trasferito in Italia dall’età di 15 anni. Come racconta su ilLibraio.it, è al debutto letterario con la raccolta “Dal tuo terrazzo si vede casa mia”, scritta direttamente in italiano

L’autobiografia del personaggio che poi sarei io

Sono nato nel marzo del Novanta, un anno di grandi cambiamenti per l’Albania. Alle famiglie delle zone rurali vennero concessi una mucca e qualche pecora, il che significava che non avrei patito la fame toccata a mio fratello più grande. Mentre trascorrevo un’infanzia spensierata scarrozzando per la campagna in uno stato brado, l’Albania attraversava una fase confusa dove non era chiaro il confine tra legale e illegale. Bajze, dove sono nato, si trova in una posizione strategica, e così in poco tempo è diventata una cittadina fiorente grazie al contrabbando con il Montenegro. Gli albanesi stavano assaporando la democrazia, ma poi si è rivelata non essere la democrazia che credevano e sono rimasti delusi.

Quando siamo arrivati in Italia avevo quindici anni. La lingua la sapevo abbastanza e degli italiani sapevo che erano molto amichevoli. Tutto questo grazie alla tv. Già il primo giorno, mentre eravamo in treno verso Alessandria, un signore siciliano seduto di fianco si è mostrato molto gentile quando gli ho detto che ero albanese. Mi ha messo una mano sul ginocchio e poi l’ha fatta scivolare verso l’interno della coscia. Io l’ho lasciato fare, non sapevo ancora dell’esistenza dei gay. Un’altra cosa che sapevo degli italiani, cioè che sapevamo tutti, è che erano ricchi e che buttavano la roba ancora buona. Lì nel condominio mi vedevano spesso insieme a mio fratello fare su e giù per le scale con divani scassati e tv rotte.

Mia madre l’italiano non lo sapeva per niente. Le prime parole che ha imparato sono state “katro figli scola, no lavore”. Era riuscita a scovare tutte le sedi della Caritas e associazioni simili di Alessandria. Una volta ho dovuto accompagnarla per fare da traduttore. Mentre mia madre mi dettava le parole da dire alla tipa, io mi guardavo intorno attonito; c’erano barboni, gente malmessa sul serio, una donna che parlava da sola, un uomo che fissava il vuoto in uno stato catatonico mentre un altro sembrava in crisi d’astinenza.

Ushqim” mi diceva mia madre, ma ero talmente imbarazzato che non sapevo più l’italiano. Alla fine è riuscita a farsi capire da sola e la tipa ha detto che non distribuivano cibo da portare via, ma potevamo mangiare lì se volevamo.

Mia madre stava per chiederci: “Ragazzi, volete sedervi e mangiare?”, ma si è girata verso i barboni e ha capito che non era il caso. Non sono mai stato così incazzato con mia madre come in quel momento.

In quel periodo stavo attraversando una fase critica, cominciata l’ultimo anno che ho passato in Albania, e che con il trasferimento in Italia si è acuita. Mi sono isolato ancora di più, e ho preso a parlare sempre meno. La cosa è diventata preoccupante quando, ormai già al secondo semestre inoltrato, m’è scappato un commento nei confronti dell’insegnate d’inglese e lei c’è rimasta secca: “Ma allora tu parli?!”. Ci ero rimasto male.

Io comunque facevo di tutto per sembrare un ragazzo normale, e ci tenevo ad esserlo. L’estate seguente l’ho passata chiuso in casa, le mie nevrosi, le mie fobie,  i miei complessi, le mie paranoie eccetera hanno avuto un’impennata. La cosa mi ha procurato un bel po’ di seccature con i miei. Non sapevo come spiegargli quell’isolamento, né la mia paura del mondo. Poi è ricominciata la scuola e ho dovuto riprendere a uscire.

Il primo ritorno in Albania è stato tre anni dopo averla lasciata. Ero diventato quello che ritorna, e in Albania le persone che ritornano assurgono a una categoria speciale che gode di grande stima. Quello che ritorna tornava a raccontare la sua vita bellissima nel paese in cui era emigrato e infondeva agli altri la speranza di toccare con mano un giorno quelle meraviglie. La parte più importante di quei racconti, ovviamente, riguardava il sesso. Sono riuscito a eludere la questione per un po’ finché, davanti alla stazione, davanti ai binari, Nard Shala mi ha chiesto senza mezzi termini: “A ke qi gja?”. A quel punto tutti si sono zittiti per ascoltare. Mi ha preso un leggero panico ma poi, dissimulando il peso della verginità, ho fatto il mio dovere: ho raccontato di quante me ne ero scopate, come me l’ero scopate, dove le avevo scopate, quante in una volta; ho raccontato di come le ragazze italiane facevano bene i pompini, e gli ho detto che andavano pazze per il cazzo albanese.

Serio in faccia, Nard Shala si è avvicinato ed è rimasto a guardarmi fisso. Io ero lì pronto a confessare, a chiedere perdono, solo che lui continuava a non dire niente. A un certo punto mi ha dato una bella pacca sulla spalla, orgoglioso di me. Dopo quella volta in Albania ci sono ritornato solo in un paio di occasioni, e solo perché la mia presenza era obbligatoria.

Nel frattempo ci eravamo trasferiti a Belluno, rinnovando la mia condizione di nuovo, estraneo, diverso. Nel 2009 mi sono diplomato come perito meccanico e mi sono iscritto alla facoltà di fisica a Milano; dopo due mesi mi sono trasferito a filosofia, e dopo altri due mesi ho lasciato definitivamente gli studi. Ho girovagato per i centri sociali insieme a un mio amico d’infanzia che avevo ritrovato a Milano, facendo grandiosi progetti mentre eravamo strafatti e continuando a sperperare i soldi dei miei, che non sapevano che avevo mollato gli studi.

Un giorno mi sono svegliato alle tre del mattino su una panchina di un parco mai visto prima, e così ho deciso di ritornare a Belluno. Il mio rientro è coinciso con un momento di difficoltà economiche dei miei, e il mio ritorno è stato interpretato come un gesto per non gravare sulla famiglia, con conseguenti sensi di colpa dei miei. Quando mi chiedevano se il motivo era proprio quello io rispondevo di no, ma ciò non faceva altro che aumentare la nobiltà del mio gesto. E così ho cominciato a lavorare, collezionando le più disparate occupazioni: muratore, addetto alle pulizie industriali, operaio manutentore, lavapiatti, magazziniere, lavacessi, archivista, guardia notturna eccetera. Ma sto cercando di smettere. Nel frattempo mi sono trasferito a Padova e sono riuscito a convincere quelli di Oblique Studio che sono uno scrittore, e loro mi hanno aiutato a convincere quelli di Racconti Edizioni che ho scritto un libro.

 

racconti edizioni

L’AUTORE – Elvis Malaj, classe 1990, è nato nel distretto di Malësi e Madhe, in Albania, e si è trasferito In Italia dall’età di quindici anni, prima ad Alessandria, e oggi a Padova, dove vive e lavora. Ha pubblicato un racconto sulla rivista Effe ed è un autore dell’agenzia letteraria Oblique di Leonardo Luccone. Ha terminato il suo primo romanzo, Il mare è rotondo, e una raccolta di racconti, Dal tuo terrazzo si vede casa mia (Racconti edizioni).

Malaj, che si definisce “un autodidatta della letteratura”, è il primo autore italiano di Racconti. Dal tuo
terrazzo si vede casa mia mette in scena lo smarrimento e l’inadeguatezza di ragazzi e ragazze di ogni paese alle prese con la prima volta o con il primo giorno di scuola, che poi forse è un po’ la stessa cosa, a qualsiasi latitudine. Il tutto scritto in una prosa che sembra semplice, ma non lo è.

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