Emidio Clementi, scrittore e fondatore dei Massimo Volume, è in libreria con un nuovo romanzo, “L’amante imperfetto”. Per l’occasione, racconta su ilLibraio.it l’importanza che ha avuto la lettura di “Vicolo Cannery” di John Steinbeck: “Se non me ne fossi innamorato, probabilmente non avrei mai scritto un romanzo come ‘La notte del Pratello’…” – La rubrica #LettureIndimenticabili

Se nell’estate del 1993 -o era forse il ’92?- non avessi letto Vicolo Cannery e non me ne fossi innamorato, probabilmente non avrei mai scritto un romanzo come La notte del Pratello. O, se lo avessi scritto, di sicuro non avrebbe avuto quel tono e quel ritmo, e probabilmente neanche la visione di insieme.

Steinbeck mi ha indicato una possibilità di scrittura, che sembrava adattarsi alla perfezione alla storia che avrei voluto raccontare, in cui la struttura narrativa si piegava alle esigenze dei personaggi, alla loro vitalità e al loro modo confuso di agire, attraverso una frammentazione in grado di restituire la vita di una strada popolare, una strada distante da me sia nello spazio che nel tempo, ma per molti versi simile a quella in cui avevo passato gli anni più belli della mia giovinezza.

Uno stile che Steinbeck espone in maniera magistrale nelle pagine iniziali del romanzo.

Come si possono far rivivere il poema e il fetore e il rumore irritante; la qualità della luce, il tono, l’abitudine e il sogno? Se raccogliete animali marini, vi sono certi vermi piatti tanto delicati che è quasi impossibile imprigionarli interi, perché si rompono e sbrindellano al solo toccarli. Dovete lasciarli colare e strisciare di loro propria volontà lungo la lama di un coltello, e poi li dovete sollevare leggermente per metterli nella bottiglia piena d’acqua di mare. E forse questo potrebbe essere il modo per scrivere questo libro: aprire la pagine e lasciare che le storie v’entrino strisciando da sole.

A suo tempo avevo trovato quelle parole così toccanti ed esatte da utilizzarle poi come esergo del mio romanzo. Del resto era proprio la sensazione che avevo provato durante la stesura: non avevo bisogno di stimolare la mia immaginazione, quanto piuttosto restituire con efficacia quello che avevo vissuto.

Come La notte del Pratello, Vicolo Cannery è una storia d’amicizia e di appartenenza, di marginalità e di sereno disincanto. Quello che lega Doc, Lee Chong, Mack e gli altri inquilini del Palace Flophouse, è la loro visione del mondo e un sentire comune, lontano da ogni rivalsa sociale, animato piuttosto da un’aristocratica distanza dalle cose del mondo.

Lo spiega Doc a un amico, osservando dalla finestra del suo laboratorio gli inquilini del Palace Flophouse oziare fuori dall’ingresso di casa.

“Guardali. Ecco i veri filosofi. Credo che Mack e i ragazzi sappiano tutto quello che è accaduto, e forse anche quello che accadrà. Credo che sopravviveranno in questo nostro mondo meglio dell’altra gente. In un’età in cui le persone si logorano per ambizione, per nervosismo, per avidità, loro riposano. Tutti i cosidetti uomini che hanno successo sono malati, con lo stomaco e l’anima a pezzi, ma Mack e i ragazzi sono sani e stranamente puri. Possono fare quello che vogliono. Possono soddisfare i loro appetiti senza dare a essi un altro nome”.

Di lì a poco passerà lungo Lightouse Avenue il corteo del Quattro di Luglio e Doc intuisce in anticipo la reazione dei suoi vicini.

“Voltando la testa, potranno vedere il corteo; alzandosi, lo potranno osservare; facendo pochi passi, gli si potranno avvicinare. E io sono qui a scommettere con voi un quarto di birra, che non volteranno neppure la testa”.

“E se fosse così?” replica l’amico. “Che cosa proverebbe?”.

Doc non ha dubbi al riguardo.

“Semplicemente che loro sanno già quello che c’è nel corteo” risponde prontamente. “Hanno veduto ogni cosa. Non hanno bisogno di tornare a guardare”.

È lo stesso comportamento che, in una situazione del genere, avrebbero tenuto Leo, Rigoni e gli altri personaggi che ho narrato ne La notte del Pratello. Curiosi del mondo, preferiscono tenersene a distanza, troppo scaltri per non comprendere che il successo e il fallimento sono facce della stessa medaglia, ugualmente nocive.

Decidono così di accettare la vita così com’è, rinunciando all’ambizione, ma mantenendo intatto il loro desiderio.

Un atteggiamento del genere può sembrare passivo o qualunquista, e forse lo è. Ma a me sembra comunque la maniera migliore di affrontare l’esistenza: venirci a patti senza lasciarsi sopraffare.

Vicolo Cannery è però anche un romanzo d’ambiente. Tutto il libro gravita attorno a un pugno di edifici collocati lungo la strada: l’Istituto Biologico Occidentale, dove vive e lavora Doc; il Palace Flophouse di Mack e soci; la bottega di Lee Chong; il bordello di Dora e, più defilata, la caldaia dell’ex stabilimento Hediondo, dove si sono insediati i coniugi Malloy e che, nel sequel del romanzo, Quel fantastico Giovedì, diventerà temporaneamente l’abitazione di Suzy, ex prostituta e futura sposa di Doc. Più in là gli hangar della zona portuale di Monterey e la costa del Pacifico.

Sebbene non abbia mai visitato quella zona della California, continuo a trovare familiare quel paesaggio. Venendo da un paese di mare, ho sempre identificato Vicolo Cannery con una piccola strada, incassata tra due file di case basse, del porto di San Benedetto del Tronto, il mio paese di origine. La strada si chiama Via Vasco de Gama e ogni volta che la attraverso mi tornano in mente alcune pagine di Steinbeck.

La prima mattina è tempo di magia nel Vicolo Cannery. Nell’ora grigia, dopo l’apparire della luce e prima che il sole si sia levato, pare che il Vicolo penda sospeso fuori del tempo in una luce d’argento. I fanali si spengono e l’erba è d’un verde lucente. Il ferro ondulato brilla della lucentezza del platino o degli antichi peltri. Non passano automobili, allora. La strada è silenziosa di movimento e di faccende. E si odono l’impeto e il fragore delle onde, mentre il mare urta contro i piloni degli stabilimenti. È un tempo di grande pace, un tempo abbandonato, una piccola era di riposo.

Di solito le descrizioni mi annoiano, ma nel caso di Vicolo Cannery è come se riuscissero a rievocare, con uno sguardo più limpido e poetico, certi momenti di pura emozione provati durante la mia adolescenza, e che non sarei mai stato in grado di descrivere, né di ricordare, con la stessa efficacia.

Qualche lettore potrebbe lamentarsi del fatto che il romanzo non ha una trama ben definita (la stessa accusa che è stata mossa a La notte del Pratello). In realtà, a mio avviso, è la sua forza. A tenere unite le tante voci presenti ci pensa la prosa di Steinbeck, il suo modo unico di raccontare, capace di prendere il lettore per mano e accompagnarlo in giro, senza una meta precisa, come succede nelle passeggiate più belle.

LA RUBRICA – Letture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti. Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.
Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.

La notte del pratello

L’AUTORE – Emidio Clementi (1967), scrittore e musicista, fondatore e voce del gruppo musicale Massimo Volume. Come scrittore ha esordito con la raccolta di racconti Gara di resistenza, a cui hanno fatto seguito i romanzi: Il tempo di primaLa notte del PratelloL’ultimo dio e Matilde e i suoi tre padri. Nel 2012 per Playground ha pubblicato la raccolta di racconti La ragione delle mani, nel 2014 una nuova edizione di L’ultimo dio e nel 2016 una nuova edizione di La notte del Pratello.

L’amante imperfetto

Il suo nuovo romanzo è L’amante imperfetto: la scoperta in gioventù di alcune foto pornografiche amatoriali in cui il padre partecipa a un’orgia di provincia sono le radici sulle quali germoglia l’educazione sentimentale del protagonista-narratore, da una parte tormentato dal terrore di essere una ‘femminuccia’ (biondo e delicato, con un fisico non virile) e dall’altra travolto da un desiderio erotico (e di conferma della propria virilità) insaziabile che si traduce in una promiscuità compulsiva praticata in club privé e locali per scambisti. Il ricordo di quella smania erotica, con il suo carico di mistero, si riproporrà con forza quando, non più giovane e ormai padre di famiglia, verrà a sapere di un insignificante tradimento sentimentale da parte della moglie: un semplice e innocuo bacio con uno sconosciuto. A quel punto e inaspettatamente crolla: il tradimento della moglie diventa un’ossessione che lo fiacca e abbatte, rimettendo in discussione l’intera cornice della sua vita, così faticosamente costruita, e trasformandolo di nuovo nella ‘femminuccia’ di quando era un adolescente insicuro.

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